Mai come oggi appare necessaria una rivalutazione della figura di Zaccheo, per dare una spinta ad una società spesso vittima di una filosofia “santificata”che cerca, in tutti i modi, di mettere ai margini Cristo. In cambio vengono offerte mille altre soluzioni soprannaturali, magari più abbordabili e meglio capaci di sintonizzarsi con una visone relativistica della esistenza umana che copre, con arte, i peccati dell’uomo. L’essere umano è un amante sfegatato delle sue possibilità di distorcere la verità della Parola, per acquisire, nell’illusione, il controllo della storia che lo circonda.
Zaccheo era uomo senza Cristo e senza fratelli. Il suo compito si è esaltato sempre nell’arraffare ricchezza personale nella raccolta dei tributi, fuori di ogni controllo e giustizia. Nonostante tutto questo diventa il simbolo dell’uomo che cerca quella paternità di Dio, senza la quale non si potrà mai conoscere la vera fratellanza umana, inficiata della perdita del legame ontologico esistente tra la vita umana e quella del cielo. Il mondo stranamente rinuncia spesso di salire più in alto possibile per conoscere il mistero del Figlio dell’Uomo. Zaccheo, basso di statura, utilizza la sua scienza per poter vedere Gesù attorniato dalla folla che lo seguiva. Sceglie di salire su un albero, il sicomoro, da dove potrà vedere il Messia ed essere da lui visto.
Solo così la sua salvezza ha potuto superare le barriere di coloro che, scandalizzati, non avrebbero mai concesso ad un peccatore di voltare pagina. Scrive in proposito mons. Costantino Di Bruno: “Dal sicomoro si vede e si è visti. Dalla Chiesa l’uomo vede Cristo ed è visto da Lui. Dall’albero avviene quell’incontro di sguardi che è vera salvezza. Gesù vede Zaccheo, lo chiama, lo invita a scendere. Lui deve fermarsi in casa sua. Deve portare in essa la benedizione promessa da Dio ad Abramo per ogni uomo”.
La misericordia entra nella casa che aveva sempre sbarrato le sue porte alla grazia del Signore. Si tratta di un bene straordinario che, come recita il titolo dell’VIII convegno internazionale del Movimento Apostolico a Roma, presenti mons. Vincenzo Bertolone e mons. Nunzio Galantino, da germe divino può trasformare la storia e preparare una nuova umanità. Con Zaccheo il risultato di questa trasformazione avviene subito e segnala al mondo intero una possibilità di cambiamento nella verità per tutti.
Aggiunge sempre mons. Di Bruno: “È nella casa che si rivela quanto è potente lo sguardo di Cristo Gesù: ‘Io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto’. Lo sguardo di Cristo trasforma la vita e solo di Lui è questo sguardo. Miseri e meschini sono tutti quegli uomini che privano la Chiesa e l’umanità di Cristo Signore”.
Non bisogna perciò scoraggiarsi per la frequenza di eventi che vanno in tutt’altra direzione. La luce della Parola è più potente del buio del peccato e, prima o poi, potrà squarciare le tenebre più impietose. La misericordia è lo strumento principale per rivalutare e rinnovare in Cristo ogni cosa, qualsiasi esistenza, tutto ciò che ci appartiene. L’uomo credente deve però essere veicolo giornaliero di questa verità, necessaria per non perdere la bellezza e il senso straordinario della creazione divina sulla terra.
Satana che conosce Cristo e sa della sua magnificenza lavora alacremente per confondere l’uomo nella ricerca del Figlio di Dio.
La sua ostilità è grande fino al punto di far apparire il male, quale fonte di rigenerazione sociale in tutti i campi delle attività umane. La corruzione nella politica, nella Chiesa, nei posti chiave degli investimenti pubblici e privati, nei posti di potere, è uno spaccato eloquente del tentativo satanico, a cui spesso l’uomo aderisce, di scartare Cristo dalla vita di ognuno. I risultati saranno sempre devastanti, mentre l’uomo attratto da finte posizioni sociali, rinuncia di salire sul “sicomoro” più vicino per vedere la realtà divina che lo attende per salvarlo.
La comunità degli uomini in ogni sua piccola o grande espressione deve ad ogni costo riprendersi l’intelligenza smarrita che le consenta di riscoprire quelle cose fuori di essa, pronte ad aiutarla a completare il cammino della sua umanità. Ma ogni singola persona non può non sapere che essa stessa, come Cristo Gesù, è posta accanto ad ogni altro suo simile perché lo aiuti a ritrovare se stesso. È un indirizzo questo fondamentale, ormai fatto fuori da un modello di vita che punta ad altri appagamenti, sempre di più individuali, come se guardare l’altro fosse solo un bisogno di natura assistenziale fine a se stesso e non il completamento della propria natura.
C’è in atto un corto circuito, l’uomo non aiuta e non si fa aiutare. La stessa Chiesa spesso non è più vista come il sicomoro indispensabile, perché Cristo incontri l’uomo. Da più parti si rischia di lavorare per la vanità sia religiosa che umana. Si costruisce ogni cosa, probabilmente nell’apparenza più maestosa, ma facendola poggiare sul nulla. L’ostilità del maligno va affrontata e sconfitta, nonostante la folla “teleguidata a tavolino”, impedisca di toccare l’essenza naturale e divina delle realtà oggettive. Si alimenti pertanto nell’animo la sapienza di salire sul “sicomoro” più vicino per guardare in faccia la verità della Parola, senza filtri e doppie risultanze!
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Sicomoro, Ashkalon, Israel / Wikimedia Commons - Ian Scott, CC BY-SA 2.0
La sapienza di salire sul “sicomoro” per vincere l’ostilità del male!
“Dalla Chiesa l’uomo vede Cristo ed è visto da Lui. Dall’albero avviene quell’incontro di sguardi che è vera salvezza”