“Mai, mai, mai”. Una risposta data con un tono un po’ troppo alto di voce che tradiva la frustrazione interna di non poter rispondere come voleva e come si era preparato. Nicola Maio, segretario di mons. Vallejo Balda ai tempi della Cosea, appariva profondamente agitato durante il suo interrogatorio di oggi nel processo cosiddetto Vatileaks 2 per fuga di documenti riservati.
Un interrogatorio più breve rispetto ai precedenti, in cui Maio su richiesta del presidente Dalla Torre ha dovuto mettere da parte i diversi fogli scritti a mano e che a prima mattina leggeva e rileggeva in aula, quasi per fissare alcuni punti bene in mente e non farsi sfuggire i particolari. Dalla Torre – che già aveva bloccato la sua richiesta di rilasciare una dichiarazione spontanea – ha però chiesto di posare i fogli sulla sua scrivania e di consultarli solo all’occorrenza. “Questo è un interrogatorio orale non scritto”, ha detto.
Affidarsi così solo alla sua memoria ha creato non poca agitazione nell’allora segretario esecutivo della Cosea, ruolo assunto nell’ottobre 2013 su proposta di un conoscente comune con mons. Vallejo, mentre svolgeva una tesi di dottorato alla Santa Croce. In virtù dell’incarico di segretario Maio aveva accesso illimitato a tutti i documenti in archivio; come pure a quello della Segreteria per l’Economia, presso cui prestava servizio.
Nella sua deposizione, l’uomo ha ripercorso tutto quel periodo fino alle dimissioni, date nel dicembre 2014. Un periodo di forte pressione, ha detto al Collegio giudicante: “Visto il momento e il luogo ero perennemente in soggezione psicologica. Mi dicevano ‘qua si fa la storia della Chiesa’. Sentivo i polsi battere… Chi mi ordinava diceva che era volontà del Papa. Certamente c’era pressione”.
La sua “catena di comando” – ha spiegato – era “il Santo Padre, Vallejo, io”. Il monsignore spagnolo, “mio superiore diretto e unico”, aveva “grande credito” presso il Papa, perciò ogni suo desiderio era un ordine. Anche perché, ha detto Maio, l’unico modo per verificare una richiesta di Vallejo era domandare direttamente al Santo Padre. “Potevo sapere la verità bussando alla porta del Papa”.
In particolare, a Nicola Maio è stato chiesto se in seno alla Cosea esistesse effettivamente una “Commissione-ombra” o una “Super Commissione”, come egli stesso l’aveva definita nella sua deposizione. “Ho utilizzato un’espressione infelice tradito dall’emozione – ha detto – Non c’era una Commissione-ombra ma solo un gruppo di contatto tra persone rilevanti in Curia in collegamento diretto con l’amministrazione economica”. Tutta queste gente era accomunate dalla preoccupazione che la riforma in corso potesse essere “dirottata o sabotata”. “Quando accompagnavo Vallejo, l’oggetto della conversazione era sempre sull’aprire gli occhi per informare il Santo Padre”.
E lui, Maio, in questo contesto che ruolo aveva? Era “l’occhio e l’orecchio di mons. Vallejo Balda”, ha risposto confermando una definizione della Chaoqui. Nella pratica, lui era rintanato nella sala 127 di Santa Marta per svolgere il suo lavoro logistico e di contabilità, insieme ad altri due segretari aggiunti individuati dal gruppo McKinsey. Raramente Maio si recava nella Prefettura per gli Affari Economici, come invece dichiarato in aula da alcuni testimoni. Lo faceva solo per chiedere le firme di Vallejo, conferire con lui e gli altri commissari.
La sua presenza nella stanza a Santa Marta (di cui, al contrario di tutti gli altri, non aveva neppure le chiavi) è durata fino all’8 luglio 2014, quando il lavoro della Cosea era già terminato. Da quel momento in poi Maio aveva iniziato a frequentare molto di più la Prefettura perché doveva riordinare l’archivio. Lavoro, questo, interrotto bruscamente dalla Segreteria per l’Economia tanto da entrare in contrasto con Balda che chiedeva più tempo.
Forse negli uffici del Dicastero guidato da Pell era giunta voce che Balda e Chaoqui entrassero nell’archivio anche dopo che era stato ritirata loro la tessera della Cosea durante una cena di “fine lavori” nella Casina Pio IV. Lo stesso Maio una volta si era ritrovato la pr tra i faldoni, e Vallejo si giustificò dicendo che “Francesca dava una mano per sistemare l’archivio. La sua presenza era importante per salvare la riforma”.
A questo punto dell’interrogatorio è arrivata quindi la domanda fatidica: “Lei ha mai sottratto documenti?”. “Mai!”, ha urlato Maio. E il Promotore di Giustizia ha replicato citando una dichiarazione di Chaoqui sul fatto che Maio avesse trafugato un rescritto ex ufficio del card. Calcagno e una lettera del Governatorato al cardinale Pell sui benefit dei cardinali (affermazione che la stessa donna aveva rettificato nel verbale del 6 febbraio).
“È vero – ha detto Maio – che molta documentazione ce l’avevo io nella valigetta”, tutti documenti della Prefettura e della Segreteria per l’Economia portati in giro per firme e timbri. “Cose pratiche ed esecutive, nulla di alto livello” che “quando me le chiedevano le facevo vedere. Ma mai ho sottratto documenti!”.
Però li ha passati a Balda. “Se me li ha chiesti perché non dovevo darglieli? Balda aveva un credito enorme presso il Santo Padre. Chi ero io per dirgli di no?”. Per la stessa ragione l’ex segretario Cosea assecondava tutte le richieste provenienti dal monsignore e dalla lobbista, fino a che queste si sono concretizzate in “lavoretti extra che non riguardavano il lavoro della Cosea”.
“Non ho mai avuto richieste anomale o illegittime”, ha precisato Maio, piuttosto erano proposte per attività “collaterali, diverse da quelle istituzionali” come quella di segretario di una struttura eterogenea per il coordinamento della Fondazione spagnola Santa Maria del Cammino, della fondazione Mensajero de La Paz e di una fondazione russo-spagnola intitolata a San Nicola.
“Erano attività con cui non mi sentivo a mio agio”, ha detto l’uomo, “il mio ruolo non era interessante”, “mi sentivo strumentalizzato”. Non solo: “C’era una dinamica para-vaticana e mi sembrava improprio che chi si era occupato di ricognizione e gestione di affari economici in Vaticano si occupasse di attività che andavano a coincidere con quelle della Santa Sede”.
Dei “conflitti d’interesse”, dunque, che convinsero Maio a rassegnare le dimissioni. “Il mio ruolo per la Santa Sede non era più fondamentale”, ha spiegato; inoltre “avevo la mia vita da vivere e altri scopi professionali da svolgere”.
E in queste dimissioni anche Balda “ha avuto un peso”: lui e quei cambiamenti improvvisi, specie dopo lo scioglimento della Cosea. “Si notava una mancanza di serenità… Alla fine non c’è più stata compatibilità”. Tutto, probabilmente – ha sottolineato Maio – era dovuto al “forte ascendente” che il sacerdote subiva da Francesca che aveva “catalizzato la sua vita privata”, al punto da suggerirgli anche come cambiare pettinatura e di fare esercizio fisico.
Dei due si è parlato anche in merito ad un messaggio Whatsapp per la famigerata ‘festa’ sul terrazzo dell’Apsa durante la canonizzazione di Giovanni Paolo II. “Dobbiamo verificare l’accesso alla Prefettura domenica. Maio può avere informazioni”, c’era scritto. Maio, innervosito, ha spiegato: “Per organizzare il catering c’era la questione di poter entrare nel palazzo. Io in questi eventi straordinari lavoro come volontario con i gendarmi, perciò avevo informazioni logistiche sulle strade chiuse e i punti di accesso del palazzo”. Tutto qua: “Non ero io a dover aprire, tanto Vallejo aveva le chiavi”.
Un altro messaggio recitava: “Andiamo a prendere Nicola e dopo andiamo da Nuzzi” “Non so di questo messaggio ma non ho mai conosciuto Nuzzi” ha affermato l’imputato, dicendo di aver visto per la prima volta i due giornalisti (l’altro, Emiliano Fittipaldi, oggi era assente ndr) durante il processo.
Maio ha poi dichiarato di non aver “mai avuto pressioni dalla dott.ssa Chaouqui per la sottrazione di documenti” e di aver usato l’account di Vallejo per alcune mail senza però avere la sua password, sempre alla presenza del monsignore. Ha anche confermato la sua presenza al noto pranzo con Luigi Bisignani, durante cui il faccendiere “parlò con familiarità con Chaoqui dell’estabilishment: classe dirigente, alta finanza, governo…”. In particolare, si parlò della “preoccupazione dei Servizi Segreti per possibili attacchi batteriologici”.
Infine nell’interrogatorio si è fatto cenno al “fatto gravissimo” sotto segreto pontificio già citato dalla Chaoqui nella sua udienza. Fu questo a dare il via ad un dossier, composto da ricerche su internet e articoli di giornale. Maio ha ammesso di essere a conoscenza di tutto e di aver redatto il documento, rivelando anche l’esistenza di un server installato nella stanza del cappellano delle Guardie Svizzere” mai utilizzato.
L’udienza si è conclusa intorno alle 13.20. La prossima è stata fissata a mercoledì 13 aprile, alle 10.30, su richiesta di Nuzzi, unico imputato fuori Roma e ultimo a dover essere interrogato.