Papa Francesco lo ha ribadito più volte. In ultimo, lo ha fatto nel Centro accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Castelnuovo di Porto, durante l’omelia della Messa del Giovedì Santo. A proposito delle stragi di Bruxelles, ha accusato che “dietro quel gesto ci sono i fabbricatori, i trafficanti delle armi”.
Li ha definiti in un’Udienza generale del giugno 2014 “mercanti di morte”, e in altra occasione anche cinici imprenditori che contribuiscono al Pil. In un’omelia a Santa Marta del novembre scorso rilevò infatti che la guerra gonfia le tasche: “Facciamo armi, così l’economia si bilancia un po’, e andiamo avanti con il nostro interesse”.
A guardare l’ultimo rapporto dell’Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia), appare evidente come le considerazioni del Pontefice siano tutt’altro che peregrine. Rielaborando dati Istat ed Eurostat riguardo le esportazioni sia di armi di tipo militare (destinate agli eserciti) sia di armi e munizioni comuni (armi per difesa personale, sportive, nonché destinate alle forze di sicurezza pubbliche e private), l’Opal ha registrato un fatturato di 1,25 miliardi per le sole aziende italiane nel 2015.
Il nostro Paese si conferma così leader europeo in questo settore, malgrado il leggero calo rispetto all’anno precedente, quando il fatturato derivato dall’export di armi fece registrare la cifra di 1,3 miliardi, seconda soltanto al record del 2012.
Ma dove vengono venduti questi strumenti di morte? In Egitto, Arabia Saudita, Turkmenistan, Emirati Arabi Uniti, Algeria. Ma anche Regno Unito, Russia, Francia, Stati Uniti. Oltreoceano, dove nel 2015 ci sono stati in media 36 morti al giorno da armi da fuoco, quelle made in Italy hanno prodotto 298milioni di euro. Molto florido il traffico con il Nord Africa, specie con l’Egitto, dove due mesi fa è stato ritrovato il corpo martoriato di un cittadino italiano, il ricercatore 28enne Giulio Regeni, motivo di uno scontro diplomatico tra i due Paesi.
L’Opal denuncia che nel 2014 sono partite dal nostro Paese oltre 30mila pistole con destinazione Il Cairo e che, successivamente, il Governo Renzi ha autorizzato anche l’invio di 3.661 fucili. Esportazioni che – fanno notare dall’Opal – sono state autorizzate nonostante sia tuttora in vigore la decisione del Consiglio Ue, arrivata non appena il generale Abdel Fattah Al-Sisi prese il potere in Egitto nell’agosto 2013, di sospendere le licenze di esportazione al Cairo “di ogni tipo di materiale che possa essere utilizzato per la repressione interna”.
Restano dunque gli interrogativi sul caso. Intanto le aziende continuano a far cassa. Traino dell’export resta la provincia di Brescia (un quarto delle vendite nazionali), seguita da Pesaro-Urbino e Lecco. Ha avuto eco nazionale nel 2015 il fatto che da Cagliari fosse partito un carico di bombe per 19,5milioni di euro destinato alle forze armate dell’Arabia Saudita. Le quali, secondo l’Opal, sono state usate dai sauditi nella guerra in Yemen, che ha causato quasi 7mila morti.
Il giro d’affari generato dalla vendita di armi è di 307 milioni di euro, il doppio dei 151 di un altro principale Paese esportatore come la Germania. E pensare che l’Italia, così come la Germania, ha sottoscritto il Trattato sul Commercio di Armi (Att) e che il nostro Paese ha anche la legge nazionale 185/90, che proibisce la vendita di armi a Stati che siano in conflitto armato.
Contattato da ZENIT, Piergiulio Biatta, presidente di Opal, ricorda che “nel settembre scorso abbiamo incontrato il sottosegretario del Ministero degli Esteri, Benedetto Della Vedova, per chiedere che il Governo facesse chiarezza sulla violazione delle legge 185”.
Ad oggi, regna ancora il silenzio da parte di Palazzo Chigi. “Ma di fronte a questi dati – rileva Biatta – diventa ancora più stringente una risposta, cresce la necessità di un maggior controllo del Parlamento sulle esportazioni di sistemi militari e di armi comuni”. C’è dunque bisogno di un intervento di coscienza delle Istituzioni, per arginare quelli che Papa Francesco non esita a chiamare “mercanti di morte”.
Weapons - Pixabay
Italia, dove proliferano i "mercanti di morte"
Con 1,25 miliardi di fatturato il nostro Paese resta leader europeo nell’export di armi. Tra gli acquirenti, Paesi in guerra e regimi repressivi. L’Osservatorio: “Serve una risposta del Governo”