Il grandioso complesso romano situato all’interno dello stabilimento idrominerale dell’Acqua Claudia ad Anguillara Sabazia continua ad arricchire gli archeologi di importanti notizie sulla storia del luogo. Come già sottolineato in passato, il complesso è stato recentemente datato tra il 40 e il 30 a.C. grazie ad un puntuale studio delle murature e all’osservazione delle cortine murarie che testimoniano un uso disinvolto della cosiddetta tecnica dell’opus reticolatum’ (l’uso di piccoli cunei in selce disposti a formare un reticolato) pur presentando alcune imperfezioni nella disposizione delle pietre. La struttura si incentra in una grande esedra delimitata da due ninfei (fontane) a formare una quinta scenografica davvero suggestiva, un tempo soppalcata con una terrazza panoramica prospiciente il fiume Arrone e la valle sottostante.
Dopo quasi cinquecento anni il complesso venne abbandonato intorno alla metà del V secolo d.C. Il territorio infatti venne devastato e messo a ferro e fuoco dalle ondate barbariche che saccheggiarono non soltanto i grandi centri urbani ma anche le residenze sparse in aperta campagna, completamente sguarnite da ogni difesa. Seppur il complesso non abbia restituito significative tracce di distruzione, è indubbio che all’atto dell’abbandono molto dell’antico arredo venne asportato, saccheggiato o traslato per altri edifici. Per molti secoli le strutture caddero nell’oblio, preda del tempo e della vegetazione che contribuì a distruggere tutto ciò che i crolli non riuscirono ad obliterare.
Uno dei pochissimi settori che rimase sempre allo scoperto fu quello centrale, ultimamente identificato con un ninfeo-triclinio. Questo tipo di ambienti era particolarmente amato dai Romani, in quanto destinati all’intrattenimento e al consumo dei pasti durante i periodi estivi e di maggior calura. La struttura infatti è stata ricavata sul fianco della collina e riparata per tre/quarti della sua altezza dal terreno pozzolanico, mentre l’unico lato scoperto, la fronte, in asse con l’ingresso centrale, creava una scenografia simile a quella del cosiddetto Ninfeo di Egeria situato nel parco della Caffarella a Roma o al cosiddetto ‘Inferno’ situato ai margini (ma pur sempre parte integrante) della Villa Adriana a Tivoli. Questo settore venne quasi completamente interrato alla fine dell’800 per diventare parte integrante di un moderno casale destinato al ricovero degli animali e alla conservazione del grano, in seguito abbattuto negli anni ’50 del secolo scorso per ripristinare l’antico contesto monumentale. L’obliterazione dell’originale piano di calpestio venne effettuata soprattutto con terreno inerte frammisto a scaglie di selce e materiale edilizio di epoca romana per un’altezza variabile di 2/2,5 metri. Se da un lato il trasporto di questa grande quantità di materiale ha protetto per oltre cento anni gli antichi mosaici, dall’altro ha creato seri problemi di comprensione della struttura a tal punto da rendere necessari due sondaggi in punti strategici dell’area.
Il primo sondaggio è stato effettuato lungo la parete di fondo del ninfeo-triclinio mentre il secondo nell’area immediatamente esterna alla struttura ma facente parte del contesto. Il sondaggio all’interno del ninfeo-triclinio ha riportato alla luce, al centro della parete, una grande nicchia absidata parzialmente scavata nella roccia con due fori speculari forse destinati ad alimentare la sottostante fontana romana oggi scomparsa. Lo scavo ha anche riportato alla luce alcuni frammenti di pavimentazione musiva di tipo geometrico corrispondente alla cornice realizzata in bianco e nero su fondo bianco. Questo mosaico presenta notevoli lacune causate della presenza di alcune tombe di epoca tardo antica o medievale non ancora ispezionate. La nicchia di epoca romana venne riutilizzata secoli dopo la sua costruzione con la creazione di un’abside poi intonacata e dipinta con immagini sacre, le quali, seppur molto rovinate e solo parzialmente leggibili, rappresentano una prova inequivocabile sulla destinazione del luogo. Il ritrovamento nel secondo sondaggio di un muro (la datazione del muro è incerta ma l’utilizzo del materiale di recupero di epoca romana e la sua precisa disposizione lo attribuisce all’inizio dell’epoca rinascimentale) che tampona parzialmente l’ingresso della struttura ha permesso di avanzare l’ipotesi che possa trattarsi di una edicola cristiana o nella migliore delle ipotesi di una vera e propria chiesa interamente ricavata in una struttura romana.
La scoperta è eccezionale soprattutto alla luce del fatto che in epoca rinascimentale non risulta alcun centro abitato nelle immediate vicinanze. Si tratta probabilmente di un luogo di culto di tipo rurale destinato alle fattorie dislocate nei dintorni visto che la costruzione romana era situata in aperta campagna e il centro storico di Anguillara era piuttosto distante per i mezzi di trasporto dell’epoca.
Nel 1837 Antonio Nibby, celebre studioso e viaggiatore della campagna romana, visitò i pochi ruderi ancora visibili della villa romana ma non fece cenno ad alcuna struttura cristiana ne tantomeno ad affreschi di tipo religioso, nonostante nei suoi scritti faccia riferimento a ‘due spechi tagliati nel monte’, identificabili con l’ambiente ipogeo del mitreo e con la nicchia absidata.
Come spiegare il silenzio del Nibby sull’esistenza della chiesa? Il motivo è da ricercare attraverso la successione stratigrafica evidenziata nel saggio effettuato nei pressi dell’abside. Questa ha messo in evidenza strati riferibili al periodo di abbandono della chiesa e in particolare un suo riutilizzo come rifugio. Sono state infatti evidenziati numerosi depositi di cenere corrispondenti a focolai utilizzati probabilmente dai pastori che possedevano gli armenti nelle immediate vicinanze. L’analisi stratigrafica ha permesso inoltre di evidenziare negli strati immediatamente superiori alla pavimentazione romana ceramica tardo-cinquecentesca e alcune monete la più antica delle quali risalente al Pontificato di Paolo V e datata al 1610. I successivi strati vedono la quasi totale assenza di ceramica ma hanno restituito monetazione con datazioni sempre più recenti (Innocenzo XI 1676, Clemente XII 1730 ecc.) fino ad arrivare a Papa Pio XII con un baiocco datato al 1808. Di li a poco la struttura venne nuovamente abbandonata subendo un ulteriore riempimento alla fine dell’800 con circa 60 cm di pozzolana e poi rivestita da una pavimentazione in sanpietrini, probabilmente realizzata contestualmente alla costruzione del moderno stabilimento per lo sfruttamento della sorgente idrominerale, avvenuta intorno al 1895. Immediatamente al di sotto della pavimentazione sono stati ritrovati bullonati pertinenti al fissaggio delle traversine della vicina ferrovia inaugurata nel 1894. Inoltre al di sotto di una canaletta terminante in un fognolo di scarico e poggiante sopra le strutture di epoca romana è tornato alla luce un frammento di vetro moderno che testimonia la recentissima realizzazione del casale.
Il Nibby dunque visitò le antiche strutture in un’epoca in cui la stratigrafia aveva quasi del tutto colmato l’abside, occultando le tracce degli affreschi e i muri di chiusura del criptoportico, corrispondenti all’ingresso della chiesa. Un primo tratto murario è tornato alla luce nel secondo sondaggio che ha evidenziato come il muro più recente sfrutti l’antico pilastro di epoca romana come elemento d’appoggio.
La presenza dunque dell’abside con le tracce d’affresco, i muri di chiusura del criptoportico, la ceramica tardo cinquecentesca (con la relativa totale assenza di ceramica romana arcaica della seconda metà del XIV secolo) autorizza ad ipotizzare l’uso dell’antico ninfeo-triclinio trasformato in chiesa per circa un secolo, dalla fine del XV fino alla fine del XVI. Con il proseguo degli scavi si potrà fare piena luce sugli interrogativi ancora legati all’antica struttura romana e all’importanza che la chiesa ha ricoperto nel contesto territoriale.
Opus reticolatum, Villa Adriana, Tivoli / Wikimedia Commons - Pouwerkerk, CC BY-SA 3.0
La piccola chiesa cristiana presso la villa romana dell’Acqua Claudia ad Anguillara
L’uso dell’antico ninfeo-triclinio del complesso venne trasformato in chiesa per circa un secolo, dalla fine del XV fino alla fine del XVI.