Oscar 2016: cinema ed impegno

L’88° edizione ha visto protagonisti illustri arrivare finalmente alla vittoria e ha gettato le linee guida politiche della prossima stagione cinematografica

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Leonardo Di Caprio ed Ennio Morricone. Sono questi i nomi principali attorno ai quali ruotano le cronache dell’88° edizione degli Oscar. La cerimonia avvenuta nella notte del 28 febbraio ha visto infatti la vittoria dell’attore americano e del compositore italiano, rispettivamente per il miglior attore protagonista e la migliore colonna sonora, e il mondo (l’Italia in particolare, nel caso di Morricone) non poteva non parlare di questo. Ma a mente fredda, sono altre le valutazioni che si possono fare e che non debbano implicare i mancati successi di Di Caprio.
In una cerimonia stranamente poco spettacolare, a stupire sono i messaggi, politici e polemici, che Hollywood ha voluto mandare. La polemica era di fatto alla base degli Oscar 2016 per via dell’assenza delle minoranze etniche tra le nomination. L’Accademy, organizzazione che conferisce gli ambiti premi, è stata così accusata di avere una tinta troppo “bianca”.
E se da questa polemica la notte degli Oscar nasceva, con la stessa si è avviata: l’attore e comico nero Chris Rock, che già dalla giacca bianca sembrava far intuire il tono della sua conduzione della cerimonia, non ha lesinato battute che si muovevano tra la denuncia al razzismo e la denuncia al politically correct. Così, se nel suo monologo iniziale la prima frase è “ho incontrato almeno quindici neri solo salendo qui sul palco”.
Ha poi proseguito dicendo: “Perché protestiamo? Perché questa polemica adesso? Siamo all’88° edizione, quindi per l’88° volta siamo qua e probabilmente almeno altre settantuno volte non ci sono state nomination per i neri. Anche negli anni ’50 e ’60 è successo, ma i neri non protestavano per gli Oscar perché avevano veri motivi per scendere in piazza e protestare in quell’epoca. Noi neri venivamo linciati, venivamo violentati e non ci fregava niente di sapere se il premio per la migliore fotografia veniva dato ad un nero. […] Comunque quest’anno le cose saranno diverse qui agli Oscar: nel pacchetto In Memoriam troveremo solo neri che sono stati uccisi dai poliziotti proprio mentre andavano al cinema”. Una comicità irriverente che forse non tutti hanno gradito, ma che di sicuro dimostra come le minoranze (anche se è assurdo parlare di minoranza per gli afroamericani) siano le sole a saper ironizzare su se stesse.
L’Accademy, dal canto suo, ha dato la sua risposta indiretta alla polemica: premiando Iñárritu come miglior regista per The Revenant, ha consegnato per il terzo anno consecutivo il premio più ambito ad un regista messicano. Polemiche e messaggi non si limitano qui, ma sembrano anzi configurare una nuova scala gerarchica di valori su cui rifondare la società americana. In testa a questa scala si trova la lotta alla pedofilia, almeno a quella nella Chiesa, come i premi per il miglior film e la miglior sceneggiatura originale dati a Il caso Spotlight stanno a testimoniare.
Lo stesso cardinale Sean O’Malley riconosce l’importanza di aver premiato tale film. “Fornendo dei report dettagliati sulla storia della crisi degli abusi sessuali del clero, i media hanno portato la Chiesa a riconoscere i crimini e i peccati del proprio personale e cominciare ad affrontare le proprie debolezze, il danno arrecato alle vittime e alle loro famiglie e le esigenze dei sopravvissuti”, ha detto il porporato.
Alla pedofilia fa eco la condanna ai crimini contro i minori e allo stupro, simboleggiata dalla vittoria di Brie Larson come miglior attrice protagonista per Room e dall’interpretazione di Lady Gaga della sua canzone ‘Til It Happens To You. Durante l’esibizione, la cantante è stata accompagnata sul palco da donne che hanno subito violenze sessuali, le quali sono state poi abbracciate una per una dalla stessa Larson.
Spazio anche per la diplomazia internazionale con Il Ponte delle Spie: lo straordinario film di Spielberg che inizialmente sembrava esser fuori dai giochi dei premi, ha ricevuto il riconoscimento per il miglior attore non protagonista andato a Mark Rylance, incredibile interprete della spia russa Rudolf Abel. Si strizza così l’occhio alla Russia e ai rapporti con Putin?
Per ultima, la riflessione sul cinema stesso: i sei premi “tecnici” dati a Mad Max: Fury Road (miglior montaggio, miglior montaggio sonoro, miglior sonoro, miglior scenografia, migliori costumi, miglior trucco e acconciatura) rappresentano un’importante passo in avanti nel criterio di giudizio americano e al contempo, forse, un’implicita ammissione di colpa. Se infatti gli Oscar si dimostrano ancora una volta non in grado di dare premi importanti, come quello alla regia, a film rivoluzionari e non-canonici come quello di George Miller, rimane il fatto che Mad Max è il film più premiato di questa edizione.
Non sono mancati poi i discorsi dei vari vincitori, e se Leonardo Di Caprio si è concentrato sul tema ambientale, il cantante Sam Smith vincitore dell’Oscar alla miglior canzone per Spectre ha voluto dedicare la vittoria “a tutta la comunità lgbt del mondo”.
Se l’anno precedente la promulgazione di determinati valori era affidata esclusivamente ai singoli protagonisti, quest’anno è l’Accademy stessa a farsi portavoce delle battaglie sociali di maggior impatto. Il risultato è la promozione non tanto di un cinema aderente alla realtà, quanto di un cinema politicamente impegnato, che continua a fare della narrazione il suo perno centrale. Gli Oscar non sono infatti semplicemente i premi cinematografici più prestigiosi al mondo, ma rappresentano soprattutto un fondamentale indice di tendenze e mode, in grado di orientare gusti del pubblico e produzioni dei film.
Allora sì, festeggiamo per Di Caprio che ha finalmente vinto la statuetta e per Morricone che ha ricevuto l’unico riconoscimento che gli mancava, ma meditiamo soprattutto sulle scelte politiche dell’Accademy e aspettiamoci una nuova ondata di film socialmente impegnati, perché questo è quello che gli Oscar 2016 hanno decretato.

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Gianluca Badii

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