Cardinale Dias: missione ed evangelizzazione, sfide della Chiesa di oggi

Il porporato interviene alla Conferenza di Lambeth

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CANTERBURY, mercoledì, 23 luglio 2008 (ZENIT.org).- “Missione, Giustizia sociale ed Evangelizzazione” sono stati i temi affrontati affrontati questo martedì dal Cardinale Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, nel corso dei lavori della Conferenza di Lambeth, l’incontro decennale di tutti i Vescovi anglicani del mondo, in svolgimento a Canterbury (Inghilterra) dal 16 luglio al 3 agosto.

Secondo il porporato, riporta l’agenzia Fides, esiste uno stretto rapporto “tra la missione di annunciare la Buona Novella e la necessità di essere attenti alle necessità dei nostri fratelli riguardanti gli aspetti sociali e della giustizia”.

Per questo motivo, è necessario tradurre l’amore verso Dio in opere d’amore nei confronti del prossimo. 

Gesù, ha spiegato il Cardinale, ha dato ai suoi discepoli la missione di rinnovare la terra annunciando il messaggio di salvezza.

“Ha voluto che la sua Chiesa fosse dinamica, non statica, e trasformi l’umanità dall’interno, essendo sale della terra e luce del mondo e lievito nella pasta, per preparare l’avvento di una nuova creazione”. 

“Per un discepolo di Cristo quindi, predicare il Vangelo non è una opzione ma un comando del Signore”, ha aggiunto.

Per il Cardinale, “il mandato missionario ci fa entrare nella profondità del cuore di Dio, che vuole che tutti gli uomini, le donne e i bambini siano salvi e giungano alla conoscenza della Verità. Un cristiano quindi deve considerarsi in missione per proclamare la sacra persona e la missione salvifica di Gesù Cristo in tutti i tempi e senza compromessi, e per diffondere i valori del Vangelo in ogni cuore, in ogni casa, in ogni cultura”.

Se in passato le tradizionali aree di evangelizzazione erano “il cuore dell’uomo e la casa, la sanità e l’educazione, i malati e gli anziani”, ha proseguito, al giorno d’oggi “non possiamo ignorare i nuovi orizzonti che devono essere illuminati dalla luce di Cristo”.

Tra questi, ha citato soprattutto i mass media, il mondo della scienza e della tecnologia, quello delle comunicazioni politiche e sociali e dei rifugiati e migranti.

In questo contesto, il Cardinale ha incoraggiato i Vescovi ad agire: “fedeli alla nostra missione dobbiamo essere attivi e non solamente reattivi, leggendo i segni dei tempi e progettando i nostri impegni missionari, fermamente convinti che Colui che ha nelle sue mani il destino dell’umanità ha promesso di essere con i suoi discepoli fino alla fine dei tempi”.

Come nei primi tempi dell’era cristiana i pagani erano attratti dalla fede soprattutto vedendo il comportamento dei cristiani, ha osservato, anche oggi il mondo ha bisogno della “testimonianza credibile dei cristiani, che vivono nel mondo, con le sue gioie e dolori, speranze e tribolazioni, ma non sono del mondo”. 

Per questo motivo, i Vescovi devono incoraggiare i fedeli “a dare testimonianza della speranza che è in loro”, mostrando “la bellezza della fede cristiana senza vergogne o compromessi”.

Allo stesso modo, possono offrire un importante contributo alla causa dell’evangelizzazione l’inculturazione e il dialogo interreligioso.

La prima, ha ricordato, “è il processo attraverso il quale il messaggio del Vangelo viene incarnato nelle culture e nei contesti locali”.

“Purtroppo una delle grandi tragedie dei nostri tempi è il divorzio tra fede e cultura – ha lamentato -. I Vescovi devono quindi incoraggiare le iniziative che hanno per obiettivo l’armonica fusione di fede e cultura attraverso l’arte, la musica, la danza e la liturgia”.

Quanto al dialogo interreligioso, il Cardinale Dias ha affermato che “il patrimonio spirituale delle tradizioni religiose non cristiane è un invito a dialogare, non solo in quelle cose che esse hanno in comune con la cultura cristiana, ma anche nelle loro differenze”.

Il dialogo, constata, “non è mai un tentativo di imporre il nostro punto di vista agli altri, perché in questo modo il dialogo diventerebbe una forma di dominazione spirituale e culturale, e nemmeno significa abbandonare le nostre convinzioni”; “significa invece, mantenendo ferme le cose in cui crediamo, ascoltare rispettosamente gli altri per discernere tutto ciò che vi è di buono e santo, tutto quello che favorisce la pace e la cooperazione”. 

Sottolineando la dimensione ecumenica dell’evangelizzazione, il Prefetto del dicastero vaticano ha concluso osservando che l’evangelizzazione “è prerogativa unica dello Spirito Santo, che ha bisogno di canali attraverso cui possa fluire”.

“Questo sarà possibile nella misura in cui vi sarà unità e coesione tra i membri della Chiesa, tra loro e i loro pastori, e, soprattutto, tra gli stessi pastori, sia all’interno delle loro comunità come con le altre Confessioni cristiane”.

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ZENIT Staff

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