Domani sera, 13 febbraio, sarà di nuovo in scena La bottega dell’orefice, di Karol Wojtyla, diretta da Antonio Tarallo. L’appuntamento è alle ore 19.30 presso la parrocchia di Santa Emerenziana, in via Lucrino 53, a Roma. L’ingresso è gratuito.
Chiara Graziano, 30 anni, è la protagonista femminile dell’opera teatrale, affiancata da Alessandro Fiorenza. Al centro c’è la storia di una coppia, con le gioie e le sue crisi, di fronte al bivio di una scelta importante.
A ZENIT, la giovane attrice ha raccontato la sua esperienza artistica e le sue emozioni nel portare in scena un autore dal nome così importante. Un attore, poeta e drammaturgo, autore di opere pregevoli, diventato poi papa e santo.
La vostra compagnia ha debuttato lo scorso autunno portando in scena La bottega dell’orefice: Wojtyla è un vostro punto di riferimento in tutti i sensi?
Abbiamo iniziato a conoscere meglio Wojtyla come “uomo” nel momento in cui il nostro regista Antonio Tarallo ci ha sottoposto la visione di questo testo. Ricordo benissimo la prima lettura, l’immediata commozione per quelle parole che raccontavano una storia d’amore tra due come me ed il mio compagno, come il mio amico e la sua compagna, come ognuno di noi avrebbe potuto scrivere alla persona amata. Incredibile e così vero, come mai nessun testo letto fin ora.
Precedentemente alla lettura della Bottega Wojtyla era per noi una figura cattolica molto carismatica, alla quale nessuno credo sia mai rimasto indifferente. Leggere però un qualcosa di così vicino al nostro mondo terreno, quotidiano se meglio vogliamo esprimere la sensazione, allora posso dire che abbiamo conosciuto quest’uomo magnifico proprio con il suo testo La Bottega dell’Orefice.
Un testo di una verità disarmante, che ti mette davanti le problematiche più profonde dell’essere umano e soprattutto dell’esistenza su questa terra insieme a qualcun altro.
Credo che non ci possa essere vita che possa ritenersi vissuta a pieno se non condivisa attraverso l’amore verso gli altri e viceversa. Uno scambio continuo, una condivisione continua che è diversa dallo scontro. Wojtyla, sì, diventa allora riferimento per noi, nel momento in cui ci ritroviamo davanti una società poco abituata ad un linguaggio di pensiero, ad un momento di riflessione. Abbiamo il muro del consumismo, dell’indifferenza, dell’egoismo, del volere tutto e subito e scartare immediatamente ciò che non ci soddisfa, che ci mette in discussione. Troppo difficile. Ma proprio li arriva il Suo messaggio: lottare per ciò in cui si crede. Teresa dice: “L’amore non è forse un compromesso? Non deve forse nascere dalla lotta per l’amore dell’uno verso l’altro?” .
Sono domande alle quali ognuno darebbe una risposta diversa, io preferisco non arrendermi e in questo, ripeto, Wojtyla diviene esempio, nel cercare quell’amore, in ogni cosa che facciamo.
La bottega dell’orefice è una commedia secondo i crismi convenzionali o ha le sue peculiarità?
La parola commedia indica, oramai, moltissimi stili teatrali. Sicuramente la Bottega non ha lo stile canonico di commedia come racconto leggero o atto a suscitare il riso come quella all’italiana, né di commedia come intendevano i Greci compiuta nelle feste propiziatorie in onore di divinità elleniche. Mi piace definirla un racconto, un punto di vista emozionale. Andrea (protagonista maschile) parla di Teresa (protagonista femminile) affermando questo: “Teresa era un mondo intero distante, allo stesso modo, come ogni altro uomo, come ogni altra donna, eppure qualcosa mi permetteva di pensare che potessi gettare un ponte”.
La Bottega ha la peculiarità di gettare “un ponte”, come dice Wojtyla, tra ciò che di più bello possa essere l’amore ed il pubblico che ascolta. Noi attori vogliamo essere solo un tramite, un ponte nel vero senso della parola che possa avvicinare le persone, che possa spingere ad abbracciarsi, come facciamo noi sulla “scena”, che possa spingere ad alzare il telefono e perdonare qualcuno che non abbiamo più chiamato da anni, che possa spingere ad andare oltre i propri limiti mentali e circostanziali e credere che nell’amore non esiste paura, esiste ascolto. Per questo ritengo il testo della Bottega un testo con peculiarità a se, un testo che ha bisogno di ascolto e di riflessione e questo non sarebbe male a prescindere dallo spettacolo in sé.
Teresa, il tuo personaggio, come si caratterizza e come lo interpreti?
Il personaggio di Teresa è semplice, ma allo stesso tempo complicato. So che potrebbe sembrare un controsenso, ma credo che lei rappresenti, in ogni sua minima parte, ciò che di più vero ci possa essere nella parola: donna. È consapevole del suo amore e consapevole di non volerlo perdere. Ha voglia di lottare e si mette in gioco in prima persona, ma ha paura della quotidianità, nella sua accezione negativa di ripetitività, che ha un notevole peso sulla vita di coppia.
Teresa attraversa una crisi nella quale vede solo distanza da colui che ha amato e che ama ancora, da colui che soprattutto ha deciso di sposare. Ha paura delle sue assenze, dei suoi silenzi, che sempre più spesso sono motivo di incomprensioni tra le coppie o anche in generale, tra le persone.
Approcciarmi ad un personaggio come quello di Teresa non è stato facile. Sono una giovane donna di 30 anni e molte delle problematiche che ha vissuto Teresa sono state difficili da interiorizzare: una crisi matrimoniale preclude l’essere sposati ed io non lo sono ancora ma ho amato ed amo tutt’ora. Immagino che, dopo aver vissuto l’amore sponsale, con l’accezione cristiana appunto, non sia facile guardare in faccia la realtà e ritrovarsi davanti un cumulo di cose inutili. Richiede dolore, consapevolezza e forza d’animo nel rimboccarsi le maniche e ri-provarci, anche se a me piace solo la parola provarci, perché ci si prova sempre con uno spirito vitale nuovo.
La vita è un continuo divenire, nulla resta uguale. Dobbiamo rinnovarci ogni giorno e rinnovare il nostro amore per la persona che ci sta accanto. Il momento in cui la dai per scontata l’hai già persa.
Dopo questo primo ciclo di rappresentazioni, cosa vi piacerebbe portare in scena?
Questo ciclo di rappresentazioni ci ha portato molto affetto e tante soddisfazioni interiori alle quali, spero, potranno seguirne delle altre. In fondo non c’è cosa più bella per un attore che arrivare all’anima di qualcun altro ed fargli nascere un emozione. Per il resto sarebbe bello poter rendere visibili i nostri spettacoli (e ci sono in mente altri testi di Wojtyla e non solo) e la Bottega stessa, in strutture teatrali che permetterebbero una riuscita migliore, soprattutto per le attrezzature consone all’acustica dei microfoni, ad esempio, o alle luci che creerebbero atmosfera e renderebbero, con maggiore vigore, le diversità di momenti creati dal regista. Ma chiaramente ogni piazza, ogni singola persona che ha voglia di ascoltare è un dono e ovunque ci porterà questo testo o altri testi il nostro intento sarà sempre e solo uno: abbracciare d’amore!
A teatro per scoprire cos’è l’amore… con l’aiuto di Karol Wojtyla
L’attrice Chiara Graziano racconta le peculiarità de La bottega dell’orefice, in scena in questi giorni a Roma, di cui è la protagonista femminile