Un viaggio pontificio che avverrà in uno scenario di frontiera, in un crocevia delicato, che presenta un quadro geopolitico di particolare interesse.
Dopo aver spiegato che in Messico, papa Francesco sarà presumibilmente esigente con la chiesa locale, per i tanti doni ricevuti dalla provvidenza, che i cattolici dovranno saper crescere e fruttificare, Guzman Carriquiry, segretario e vicepresidente incaricato della Pontificia Commissione per l’America Latina, si è soffermato con ZENIT su altri aspetti dell’imminente visita pastorale.
“Il 60% degli immigrati ispanici negli Stati Uniti – ha spiegato il dirigente vaticano – sono di origine messicana, quindi molto legati al loro paese, alla tradizione cattolica e alla loro famiglia. Costoro, però, vivono negli Stati Uniti in una situazione di discriminazione, spesso sfruttati sul lavoro, e non dimenticano le loro radici”.
Secondo Carriquiry, “nonostante tale situazione, per amore della loro gente e del loro popolo, i messicani inviano in patria le rimesse che, assieme al turismo e al petrolio, costituiscono la maggiore capitalizzazione per il paese. Senza dimenticare che, nel giro di tre o quattro anni, gli ispanici diventeranno la metà dei cattolici, mentre, tra il 2040 e il 2050, saranno un terzo della popolazione degli Stati Uniti”.
Il numero due della CAL ha poi ricordato che il politologo Samuel P. Huntington, nel celebre saggio Scontro di civiltà, dedicò un capitolo al Messico, “in cui si rallegrava del fatto che il Messico avrebbe smesso di essere un paese latinoamericano, per diventare un paese nordamericano”.
“Huntington riflette il pensiero dei potentati del Nord America – spiega Carriquiry – e non aveva capito che le radici dei messicani sono più profonde di quelle degli Stati Uniti”. E non solo perché, in un altro libro, intitolato Chi siamo. Riflessioni sull’identità nordamericana al tempo della globalizzazione, Huntington cambiava completamente posizione. Così, dopo aver paragonato l’immigrazione messicana a un’invasione militare, aveva affermato che “l’unica soluzione era ‘americanizzarli a tappe forzate’. Vale a dire, cancellarne l’idioma, la religione cattolica, l’amor patrio e il legame alla propria terra. Povero Huntington, dimostra nuovamente di non aver capito nulla dei messicani!”.
C’è tuttavia un altro elemento in questo scenario, ha aggiunto il professor Carriquiry: “Il Messico è il più importante stato latinoamericano e rappresenta una sorta di frontiera che guarda a nord e a sud, attraverso la quale, l’espansione economica, culturale e religiosa degli Stati Uniti verso sud, gli investimenti, il turismo, gli evangelici e i pentecostali, così come le correnti spiritualiste neognostiche che, in California trovano i loro laboratori di esplorazione ed espansione”.
E d’altra parte “transitano da Sud a Nord sia i flussi di immigrati centroamericani, che la droga”.
Carriquiry ha anche dichiarato che “se la rete del narcotraffico si è sviluppata così violentemente in Messico, in America Centrale e lungo la catena andina, trasformandosi nella compagnia multinazionale più redditizia ed aggressiva dell’America Latina, è perché dagli Stati Uniti parte la maggior domanda di droga. E se la violenza in Messico, si realizza con armi ad alta precisione da parte di gruppi criminali è perché le abbondano le fabbriche e il commercio d’armi negli Stati Uniti, in particolare laddove, dagli Stati Uniti, ci si avvicina a questa grande frontiera”.
Tutto questo, ha spiegato il docente uruguaiano, fa in modo che il Messico “debba guardare a nord, perché lì vi sono capitali e investimenti, il trattato di libero scambio con gli Stati Uniti e il Canada, perché da lì viene il turismo ed è cruciale dal punto di vista economico”. Al tempo stesso, non bisogna smettere di guardare a sud, a paesi cui il Messico si trova affratellato per origini, lingua, tradizione cattolica, cultura e vicissitudini storiche”. Per tutte queste ragioni, “l’America Latina ha bisogno del Messico, lo stato latinoamericano più importante; al tempo stesso, però, il Messico ha bisogno dell’America Latina affinché la vicinanza con gli Stati Uniti non sia soffocante”.
“In ogni caso, è sorprendente che l’economia messicana – ha aggiunto il professor Carriquiry – dipenda da quella statunitense, in questo sistema di produzione globale integrata degli Stati Uniti, che ingloba tutti i Caraibi; dipendendo dal turismo americano, dalle fluttuazioni del dollaro… E nonostante questa dipendenza da questa potenza globale, nessun paese latinoamericano come il Messico mantiene così tanto la propria identità e sovranità culturale e ne è geloso”.
Il segretario della CAL ha quindi constatato che chi visita il paese “è stato sorpreso dal cibo, dalla danza, dalla musica, dalla letteratura, da questa straordinaria miscela di festa e dramma, da questo barocco che pervade l’intera realtà materiale e spirituale del Messico”.
Carriquiry conclude ricordando che, in questa incredibile sovranità culturale che il Messico conserva, un ruolo di primo piano lo ricopre la Madonna di Guadalupe e, a tal proposito, cita il Nobel per la letteratura messicano Octavio Paz, che “in un’intervista rilasciata prima della sua morte, ha sostenuto: ‘La Vergine di Guadalupe è stata più ‘antimperialista’ di 60 anni di fervorosi discorsi dei politici messicani’. Nel senso che i messicani hanno resistito all’invasione culturale degli Stati Uniti, grazie alla sua struttura familiare e comunitaria, alle madri di famiglia, ai loro costumi, alla loro religiosità, e, tutto questo, grazie a Nostra Signora di Guadalupe”.
RLG -ZENIT
Carriquiry: “È la Vergine di Guadalupe a difendere l’identità messicana”
Il segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina delinea il quadro geopolitico del paese, alla vigilia del viaggio del Papa