Gandolfini: “Famiglie sterilizzate dai condizionamenti economici”

Alla vigilia del raduno al Circo Massimo, il presidente del Comitato “Difendiamo i Nostri Figli” sottolinea: “Senza risorse pubbliche, chi finanzierà le pensioni di reversibilità delle unioni civili?”

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Tutelare il dato antropologico della famiglia fondata su uomo e donna ma anche promuoverla in tutti i modi possibili sostenendo in modo particolare i nuclei familiari più poveri. A quattro giorni dal grande raduno delle famiglie al Circo Massimo, il presidente del Comitato “Difendiamo i nostri figli”, Massimo Gandolfini, 64 anni, neuropsichiatra e neurochirurgo, sposato, padre di sette figli (tutti adottati) e nonno di sei nipoti, si è soffermato con ZENIT su tutte le principali finalità di una manifestazione che si annuncia epocale.
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Quale è la finalità principale che si propone la manifestazione del 30 gennaio?
La manifestazione ha lo scopo di dare voce a chi non ha voce. Una grande piazza in cui la gente comune possa dichiarare apertamente il proprio sentimento: nessun antagonismo verso alcuna persona, nessun odio, nessuna guerra contro qualcuno, ma una ferma e lucida determinazione nel bloccare il ddl Cirinnà, progetto ingiusto, iniquo ed inutile, che gravemente ferisce la famiglia come la descrive l’articolo 29 della Costituzione.
Perchè ritiene importante estendere questo evento a tutti, a prescindere dal proprio credo personale o religioso?
Come dicevo, è un grande evento di gente comune, che riunisce persone di culture, tradizioni, sensibilità, storie personali e sociali, appartenenze religiose più diverse, che trova una grande coesione nel voler strenuamente difendere la famiglia ed il sacrosanto diritto di ogni bimbo di avere una mamma ed un papà. Questi valori sono patrimonio della società civile e della storia della civiltà moderna, che appartengono a chiunque, credente e non, perché proprio su di essi si è costruita la civiltà stessa.
Tutelare la famiglia tradizionale, significa discriminare altre forme di unione?
L’istituzione familiare precede il diritto, e compito storico del diritto è stato quello di riconoscerlo, garantirlo e tutelarlo come bene sociale fondamentale. La nostra Costituzione ha fatto la scelta di dare alla famiglia una visibilità ed un privilegio giuridico particolare, che distinguesse chiaramente la famiglia da qualsiasi altra formazione sociale. Per questa ragione le ha dedicato un articolo (29) specifico e particolare. La definizione “società naturale fondata sul matrimonio” è una dichiarazione di alto valore, sociale ed antropologico. Vale a dire che la famiglia è il luogo dell’amore profondo e completo, che comporta l’unione dello spirito e del corpo di due persone complementari (femmina e maschio, moglie e marito, madre e padre) cui è affidata la più naturale e fondamentale delle funzioni: la procreazione. Ogni altra relazione affettiva è strutturalmente non omologabile alla famiglia e, quindi, non può essere trattata come essa. Discriminare significa trattare in modo difforme due condizioni uguali. Ma due situazioni che sono strutturalmente diseguali impongono che siano trattate in modo diverso, con specificità particolari, e questo non ha nulla a che fare con la discriminazione.
Perchè è importante custodire l’identità della famiglia tradizionale?
La risposta è facile: perché ogni bimbo ha diritto ad avere una mamma ed un papà. L’intera bibliografia mondiale, da Freud ad oggi, dichiara l’importanza della relazione genitoriale, chiamando “triade genitoriale” lo stretto legame che unisce madre/padre/figlio, nella prospettiva di garantire al bimbo l’ambiente più vantaggioso per la sua crescita, biologica e psicologica. L’istituto dell’adozione nasce proprio per ottemperare a questo diritto del bimbo ad avere una famiglia, la famiglia migliore possibile per lui (da qui i vari test di idoneità che esegue il Tribunale dei Minorenni): è una ferita personale e sociale gravissima l’esistenza di un bimbo abbandonato, che richiede di essere sanata al più presto. Così nasce l’adozione, come tentativo di dare una soluzione efficace ad un dramma esistenziale già in atto.
Si comprende bene, quindi, che abissale distanza c’è fra adozione e stepchild adoption: quest’ultima – soprattutto nella sua applicazione ad una coppia omosessuale maschile – significa fecondazione eterologa, utero in affitto, mercificazione del bimbo (oggetto che si compra… eppure la storia della civiltà ci ha insegnato che si comprano le cose e non le persone!). In una parola, si mette in atto una procedura che mette al mondo un bimbo orfano ancora prima di uscire dall’utero della madre comprata con contratto. Personalmente ritengo che stiamo raggiungendo l’abisso dell’inciviltà, con la perdita totale anche del più semplice buon senso.
Quali sono i pericoli maggiori per le future generazioni se in Italia si diffondesse la cultura del gender?
L’ideologia gender è un veleno posto alle radici della società. Scindere l’identità sessuata, lo psichismo personale e l’ambiente culturale che plasma ogni persona è scientificamente un’idiozia e socialmente una deriva antropologica pericolosissima. Sessuazione biologica, psiche e cultura sono tre elementi che devono massimamente integrarsi fra loro, in modo armonico e coerente alla traccia primordiale e fondamentale che è rappresentata dal dato genetico. Cerco di spiegarmi in modo più semplice: di fronte ad un maschietto, il lavoro educativo in senso lato deve essere sempre e solo quello di rendere massimamente coerente la sua identità sessuata con la costruzione della sua personalità di maschio. Altrettanto per una bimba. Sottoporre i bimbi ad una condizione educativa priva di modelli, indifferenziata, o con un numero indefinito di modelli significa costruire una personalità confusa, debole, fragile, manipolabile e – in ultima analisi – facile preda del potente di turno. Ogni bimbo va rispettato nella sua identità globale e, qualora emergessero delle criticità, in totale collaborazione con i genitori, affrontare il singolo caso con tutto l’amore e le delicatezza possibile.
Perché è importante distinguere nettamente il matrimonio tra uomo e donna dalle nuove forme di unioni civili?
Perché si tratta – come dicevo – di due condizioni strutturalmente diverse. Uomo e donna condividono amore e procreano nella complementarietà della loro sessuazione. Uomo e uomo oppure donna e donna possono condividere affettività e convivenza ma non possono procreare. Una semplice formula, può rendere chiaro il concetto: A+B non è uguale a A+A o B+B. Una relazione affettiva priva della rilevanza procreativa è una “formazione sociale” che non ha nulla a che fare con la famiglia.
Perché lo stepchild adoption rischia di favorire la pratica dell’utero in affitto?
La stepchild adoption favorisce e di fatto legittima l’abominevole pratica dell’utero in affitto, perché è un passaggio obbligato per una coppia omosessuale maschile che vuole avere un figlio. Due sono gli aspetti più inquietanti, da condannare senza se e senza ma: il bimbo che viene “programmato” orfano fin dalla nascita e la mercificazione del corpo di una donna, ridotta di fatto a sottomettersi per denaro ai capricci altrui. Un illustre medico, un paio di giorni fa ha dichiarato che l’utero in affitto non è poi così esecrabile, perché – anzi – ha un aspetto positivo: dà denaro a chi ne ha bisogno. L’assurdità dell’affermazione si commenta da sola e fa torto alla civiltà moderna che ha proscritto e condannato ogni forma di schiavitù, anche quella a pagamento.
Quali provvedimenti possono essere utili per rilanciare e rafforzare l’istituto della famiglia tradizionale nel nostro paese?
L’istituto familiare – che è il più affidabile e sicuro ammortizzatore sociale della nostra epoca – è il figlio del dio minore delle politiche sociali. È il fanalino di coda delle attenzioni di chi dovrebbe prendersi cura del bene comune. Le famiglie sono assai spesso “sterilizzate” dai condizionamenti economici, non si fanno più figli, perché il figlio è un “lusso”, le famiglie numerose sono totalmente neglette ed oscurate, quasi fossero fenomeni da baraccone, i nonni – anziani, dementi, disabili, improduttivi – vanno spazzati via con scelte ghettizzanti e eutanasiche, le famiglie che vogliono adottare vengono deluse da una burocrazia scoraggiante. “Non ci sono risorse” è il mantra del politically correct che ci viene propinato ogni giorno. Nasce spontanea una domanda: se per questi atti di giustizia sociale non ci sono fondi, come mai saltano fuori dal magico cilindro quando si tratta di finanziare le unioni civili? Se non abbiamo soldi da investire nei “poveri”, dove troviamo quelli necessari per finanziare la pensione di reversibilità per le unioni civili? Negli anni della rivoluzione studentesca si parlava della “opzione preferenziale per i poveri”. Niente di più attuale: opzione preferenziale per le famiglia povere che – fonte ISTAT 2014 – sono un milione e quattrocentomila nel nostro Bel Paese.

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Osvaldo Rinaldi

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