Si aggira intorno al 70% il consenso ottenuto dall’opposizione democratica nel voto avvenuto ieri, 8 novembre 2015, per eleggere Parlamento birmano e assemblee locali. In diverse aree urbane i voti a favore della Lega nazionale per la democrazia, di cui è leader Aung San Suu Kyi, già Premio Nobel per la Pace, è arrivato all’80%, mentre scende al 65% in quelle rurali e in Stati etnici, come Mon e Kayin.
Si profila dunque una sconfitta per il Partito per l’unione, la solidarietà e lo sviluppo (Usdp), erede del regime militare durato dal 1962 al 2010. Ammette già la sconfitta Shwe Man, presidente del Parlamento ed ex mediatore tra militari e Aung San Suu Kyi ai tempi della dittatura. “Abbiamo perso“, gli ha fatto eco il presidente ad interim del Usdp, Htay Oo, parlando a Reuters in un’intervista a margine del voto.
“E’ troppo presto per parlare del risultato, ma credo che ne abbiate tutti un’idea”. Aung San Suu Kyi si mostra cauta, ma fiduciosa. La sua eventuale vittoria rischia però di essere ridimensionata dalle regole che vigono in Birmania. Si tratta, in primis, di un emedamento alla Costituzione che le impedisce di ricoprire la carica di presidente, avendo due figli con passaporto straniero (britannico, come il marito). La stessa Costituzione, inoltre, prevede che il 25% delle Camere sia nominato dai militari.