L'inventore di favole

Martedì 11 febbraio va in onda alle ore 22.40 sul canale Sky Classic il film oro del regista Billy Ray sul giornalismo

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Il giovane Stephen Glass lavora come giornalista nella redazione del piccolo ma autorevole New Republic e si è guadagnato la fama di articolista brillante con una serie di pungenti articoli di costume. L’inchiesta parallela di un periodico Internet fa, però, emergere una falla nella sua documentazione quello che poteva sembrare un piccolo inconveniente fa però crollare una carriera costruita completamente sulla menzogna.

Questo piccolo film sul giornalismo, una parabola sulla verità ispirata alla storia autentica di un giovane e brillante articolista che aveva fatto dell’“inventare” le notizie una pratica ricorrente, si ispira ad una storia realmente accaduta (il protagonista, pur avendo dovuto rinunciare alla carriera giornalistica, ha trovato modo di lucrare sulla faccenda con un libro dal suggestivo titolo The Faboulist). Tuttavia, pur raccogliendo l’eredità della migliore cinematografia americana sul mondo dell’informazione (il riferimento a Carl Bernstein e Robert Woodward, i giornalisti che smascherarono il Wathergate, è esplicitato fin dalle prime battute), va ben oltre il semplice cinema di inchiesta e ci fa riflettere con insolita profondità sulla saldezza delle nostre convinzioni e sulla nostra capacità di riconoscere la verità. Anche quando essa si nasconde dietro particolari di poco conto come un frigobar…n’epoca di scandali capaci di coinvolgere i più bei nomi della stampa e della televisione americana, mentre documentari di successo strizzano l’occhio all’enterteinment, il meglio di questa storia che non si vergogna di costruire un apologo morale è, sorprendentemente, nella costruzione dei personaggi.

Il nostro “eroe” sembra, almeno all’inizio, Stephen Glass (che è anche il glass infranto del titolo originale), un personaggio che nella sua irriducibile opacità (chiusura alla verità a favore di una sfumatura che si confonde con la vera e propria menzogna) suscita sentimenti contrastanti. Lo vediamo all’inizio di fronte ad una platea di adoranti adolescenti, che aspettano solo di sentirsi spiegare come si fa a diventare giornalisti di successo. E lo vediamo durante tutto il film a tessere una trama di bugie così fitta da convincere anche se stesso. Stephen è poco più che un ragazzino, ma è capace di accattivarsi l’affetto di collaboratori e potenziali datori di lavoro, facendo leva sui loro desideri e bisogni inespressi ed esibisce costantemente una presunta debolezza che chiede implicitamente di essere difesa e scusata e che si dimostra un’arma efficacissima di fronte ad ogni obiezione di carattere razionale.

Tutto il contrario di Charles-Chuck Lane, neo-direttore della rivista, certamente meno “amabile”, ma fondamentalmente retto, anche se può apparire all’inizio perfino freddo, pedante e antipatico (se ci si perdona la citazione biblica, “non ha bellezza né decoro per attirare lo sguardo” Is 53,2). L’autore ci fornisce una contrapposizione così netta, dai contorni quasi biblici, una struttura narrativa quasi troppo ovvia per poter funzionare.

Eppure per una volta la semplice sequenza degli eventi, l’accumularsi degli indizi, per quanto filtrati dalla voce fuori campo manipolatrice e tendenziosa, per quanto accattivante, del protagonista, si dimostra la scelta vincente per dare efficacia alla pellicola e coinvolgere lo spettatore nell’intreccio di scelte e relazioni che è il cuore della storia.

Quella in cui cade Stephen, ci accorgiamo, non è solo la sua personale tentazione, ma quella di un intero mondo, tentato da quell’ibrido che oggi viene definitoinfotainment, sapientemente riassunto attraverso uno dei personaggi secondari, la giornalista scrupolosa che si preoccupa di non essere “divertente”.

Ma la riflessione del regista e sceneggiatore Billy Ray va oltre la pur acuta disamina del meccanismo complesso della costruzione del giudizio e della debolezza umana di fronte alla menzogna e per addentrarsi nel terreno ancor più minato della responsabilità personale (tema assai praticato, e spesso in modo deludente, dalla cinematografia recente). Quando le circostanze fanno definitivamente crollare l’elaborato castello di carte di Glass, per il suo direttore sarebbe una scelta facile e ovvia lavarsene le mani considerandolo una mela marcia.

Tuttavia, l’elaborato sistema di controlli della documentazione usato nella redazione del New Republic rende di fatto tutti i collaboratori almeno in parte responsabili della menzogna che hanno offerto al pubblico. Di più, è stata la loro più o meno consapevole connivenza con le bugie e le favole di Glass a permettere il perdurare di quel colossale imbroglio.

Al giorno d’oggi a nessuno interessa davvero la politica, a nessuno interessa la verità dei fatti (di fatto le menzogne di Glass non riguardano argomenti scottanti come la guerra in Iraq o qualche tema di politica interna o internazionale, ma semplici inchieste di costume). Quello che tutti vogliamo sentirci raccontare spesso è solo una bella storia, ben scritta e piena di ironia, purché in qualche modo titilli il nostro amor proprio o le nostre fragilità.

L’assunzione comune di responsabilità che Lane ritiene indispensabile e che i suoi collaboratori sottoscrivono con una pubblica lettera di scuse ai lettori, quindi, non è solo un efficace climax drammaturgico, ma un esempio solido e commovente di maturità umana e di retto uso della propria libertà (di giudizio e di azione).

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Titolo Originale: Shatterd glass
Paese: USA
Anno: 2003
Regia: Billy Ray
Sceneggiatura: Billy Ray
Produzione: Craig Baumgarten, Adam Merims, Gaye Hirsch e Tove Christensen per Lions Produttori Esecutivi / Tom Crisi e Paula Wagner per Cruise/Wagner Productions / Michael Paseornek, Mark Butan e Tom Ortenberg per Lions Gate
Durata: 95′
Interpreti:Hayden Christensen, Peter Sarsgaard, Chloe Sevigny

Per ogni approfondimento: http://www.familycinematv.it

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Laura Cotta Ramosino

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