Sky and milky way seen from the desert

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La Fine e l’Inizio

Lectio Divina sulle letture per la Domenica XXXIII del Tempo Ordinario (Anno B) — 15 novembre 2015

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la Domenica XXXIII del Tempo Ordinario (Anno B) — 15 novembre 2015.

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Rito Romano

Dn 12, 1-3; Sal 15/16; Eb 10, 11-14. 18; Mc 13,24-32

Rito Ambrosiano

Is 13,4-11; Sal 67; Ef 5,1-11a; Lc 21,5-28
I Domenica di Avvento
La venuta del Signore

1) Il Signore è vicino, alle porte.

Il brano del discorso di Gesù, che è proposto dalla Liturgia di oggi, ha un linguaggio che gli esperti chiamano “apocalittico”. Questo aggettivo viene dal sostantivo “apocalisse”, che letteralmente vuol dire rivelazione. Tuttavia nel linguaggio comune il termine ha perso il significato originario di “rivelazione” e, soprattutto fuori dall’ambiente religioso, è passato a indicare qualsiasi evento di grande calamità o un succedersi di eventi disastrosi. Ciò è accaduto perché è un linguaggio ricco di immagini forti e spesso inquietanti, che hanno lo scopo di suscitare un ascolto rispettoso e attento perché venato di timore.

Infatti, nel Vangelo di oggi Gesù afferma: “Il sole e la luna si oscureranno e le stelle cadranno e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli (Gesù, il Figlio dell’uomo) manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo” (Mc 13, 24-27).

Dunque, con le parole apocalittiche (letteralmente rivelatrici) dei vv 24-25 di Marco 13, il Cristo ci dice che il mondo e l’umanità che lo abita sono fragili: in quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo. Ma nei vv 26- 27, Gesù fa intuire che se c’è un mondo che muore, c’è anche un mondo nuovo che nasce per Lui e in Lui. Dunque non stiamo andando verso la fine, verso il nulla, ma ci prepariamo all’incontro definitivo con Cristo, il fine della vita, il compimento del mondo. Noi implicitamente pensiamo che andiamo a finire male, per questo abbiamo paura e cerchiamo di non contare i nostri giorni perché poi dopo è la fine. Invece in questo racconto che è fondamentale per la fede cristiana, si presenta il termine della storia, di tutta quanta la storia e il termine della nostra vicenda personale come l’incontro con il Signore.

Il fine di tutta la storia è l’incontro con Lui e tutta la creazione è in cammino verso quest’incontro e tutta la vicenda umana nostra personale e dell’universo non è altro che l’andare avanti sempre più fino a quando traspare nel mondo la gloria del Figlio. Siamo figli, ciò che apparirà alla fine è la nostra gloria, allora vedranno il Figlio dell’uomo venire con molta potenza e gloria. Il senso della storia è la rivelazione del Figlio dell’uomo e in Lui di ogni uomo, nella potenza piena della vita e nella gloria stessa di Dio.

Quindi, il Messia non vuole tanto raccontare la fine del mondo, quanto rivelare il senso della storia. Lui ci dice ha la fine del mondo non è la distruzione di tutto, ma l’incontro di noi tutti con il Figlio dell’uomo. Egli è il Signore che perdona, lo Sposo che ci ama, il Signore del sabato: è colui che si mette nelle nostre mani e tutto ci dona, fino a dare la vita per noi. La fine del mondo non è come l’arrivo di un ladro che ci ruba tutto, ma l’incontro con lo Sposo che ci dà tutto, perché sulla croce di Gesù è già finito il mondo vecchio – si è oscurato il sole – ed è nato quello nuovo.

Come ogni essere umano, il cristiano sa che un giorno il sole si spegnerà, ma sa anche che la Luce di Dio risplenderà sempre. La fine del mondo non è la distruzione di tutto, ma l’incontro di noi tutti con il Figlio dell’uomo, con il Redentore dell’uomo e del mondo. Lui è il Signore che perdona. Insomma la fine del mondo non è un furto di un ladro che mi ruba tutto, è l’incontro con lo Sposo che ci dà tutto. Quindi, non è che andiamo verso il nulla, verso il vuoto, l’Apocalisse negli ultimi due capitoli rappresenta l’incontro proprio come quello della sposa con lo sposo. La Chiesa è la sposa che attende l’arrivo dello Sposo. Non dovremmo avere paura di incontrare l’Amore che viene da noi.

2) Non tanto quando, ma come.

La Chiesa continua a proclamare, in particolare al termine dell’anno liturgico, il fatto di questo incontro d’amore da vivere nell’attesa. Dando peso alle parole di Cristo: “Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre” (Mc 13, 32), la Liturgia ricorda a noi fedeli che siamo chiamati ad essere sempre in attesa di Colui che è venuto secoli fa e che verrà alla fine dei tempi, ma che anche viene ogni giorno, nella nostra vita, nel nostro oggi. Per questo un inno del Breviario ci fa cantare “Notte, tenebre e nebbia,fuggite: entra la luce,viene Cristo Signore.Il Sole di giustizia trasfigura ed accendel’universo in attesa” (Inno delle Lodi, II settimana, mercoledì).

In effetti, in questa trasfigurazione del mondo anche, e soprattutto, il nostro cuore è dilatato così che il Cielo vi trova più spazio, così che abbia una più viva attenzione(nel senso più letterale del termine di tensione costante al Signore. Egli viene sempre, ma spesso l’incontro non avviene perché noi viviamo una vita superficiale sul piano spirituale, una certa dissipazione: le cose di quaggiù ci attraggono così tanto da rendere indisponibile l’anima a questo meraviglioso incontro. Solo raramente ci troviamo in condizioni spirituali tali da percepire questo “venire” di Dio. Di qui cosa ne viene? Non certo che cambi il Signore, Lui che sempre si fa presente, ma che cambi la nostra anima, in modo da vivere sempre un’attesa, una speranza.

La questione quindi non tanto sul “quando” (perché Dio ci raggiunge in ogni istante), quanto sul “come”. Quindi, oggi mi permetto di proporre come rispondere a questa domanda: “Come attendere la venuta definitiva del Regno?”

Due sono gli atteggiamenti possibili quello della paura e quello della speranza.

Se ci si ferma alla drammaticità di certe immagini del Vangelo di oggi, sembrerebbe che debba prevalere la paura. Ma Cristo aggiunge: “Imparate dalla pianta di fico: quando il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, voi sapete che ‘’estate è vicina” (Mc 13, 28). Se, da una parte, c’è la descrizione di distruzione, dall’altra, c’è la promessa di una vita tenera e nuova, simboleggiata dall’immagine della pianta di fico le cui nuove foglie insegnano che la morte dell’inverno è sconfitta è la vita dell’estate sta per fiorire e dare frutti di vita.

Paura e speranza si alternano sempre nella vita dell’uomo, anche del credente, tanto da formare una situazione ambigua e irrisolta.

La speranza umana è attesa di qualche cosa che deve venire ma sa che nessun essere umano può disporre del proprio futuro.

La speranza ebraica attendeva il Messia che doveva venire.

La speranza cristiana già fa presente il regno di Dio in noi, già implica la presenza di Dio nel nostro cuore e la presenza di Dio in noi ci rende capaci della vita eterna. “Mediante la speranza noi siamo già in paradiso, anche se il nostro cuore ha ancora paura” (Divo Barsotti).

Per sconfiggere questa paura possiamo riandare ai tanti passi della Bibbia in cui c’è l’invito a non temere, a non avere paura. Per esempio, pensiamo a Pietro, che camminava sulle acque incontro a Gesù, ma poi cedette alla paura del vento e delle onde e affondò. E si ritrovò la Mano tesa di Cristo verso di lui, che lo rialzò, lo perdonò e gli diede nuova forza.

Tutto questo ci spinge a coltivare la speranza e non la paura, la fiducia e non l
o sconforto.

Un modo importantissimo per vivere questo “come”, questa speranza è quello delle Vergini Consacrate nel mondo. Queste donne si impegnano a vivere la verginità perché in questo modo non solo attendono Cristo con speranza piena. Innamorate di Cristo, come “spose” che da tempo non vedono lo Sposo, Lo attendono ogni giorno non solo con speranza, ma anche con ansia e con passione. Ogni giorno pregano per vederLo tornare, di incontrarLo per sempre. Queste donne consacrate vivono la verginità con dedizione completa perché la verginità mantiene l’anima desta e tesa a Cristo. Si dedicano alla preghiera frequente, fatta nel silenzio, per tenere il cuore vigilante. In questo modo ci testimoniano come tutta la nostra persona si debba protendere verso il Signore, che viene a noi, che si dona a noi e che fa rinascere le nostre persone.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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