Sono passati quarant’anni dall’atto finale della Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, primo vero tentativo di collaborazione per la pace e la coesistenza, in Europa e nel mondo, fra i paesi del blocco occidentale e quelli del blocco sovietico.
In occasione di questo importante anniversario, il collegio universitario della Fondazione comunità Domenico Tardini di Villa Nazareth, a Roma, ha organizzato il convegno Il governo di un mondo multipolare. Lo scopo è capire se nell’attuale contesto geopolitico, messo alla prova dalle sfide della globalizzazione, della tutela ambientale e del terrorismo, sia ancora possibile portare avanti lo spirito di Helsinki per riaffermare i principi della cooperazione e della coesistenza pacifica in un’Europa in cui le divisioni purtroppo aumentano.
La prima giornata dell’evento ha visto la partecipazione di Romano Prodi, due volte presidente del Consiglio (dal 1996 al 1998 e dal 2006 al 2008) e presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2005, Vincenzo Buonomo, professore di diritto internazionale presso la Pontificia Università Lateranense, monsignor Claudio Maria Celli, vicepresidente di Villa Nazareth, e Rosario Sapienza, professore di diritto internazionale presso l’Università di Catania.
Introducendo il convegno, monsignor Celli ha sottolineato l’importanza di aver scelto come sede proprio Villa Nazareth, fondata da Domenico Tardini, cardinale e segretario di Stato di Papa Giovanni XXIII. Un luogo quindi legato fin dalla sua origine alla politica estera vaticana che giocò un ruolo importantissimo nell’organizzazione della Conferenza di Helsinki attraverso le abilità diplomatiche di monsignor Achille Silvestrini.
“Viviamo in un’epoca di multipolarismo geopolitico – ha dichiarato Buonomo nel suo intervento – questo riguarda non solo le superpotenze, ma anche le organizzazioni internazionali governative e non governative. I vecchi strumenti diplomatici non sono più sufficienti ad affrontare le nuove sfide del mondo multipolare e globalizzato”. Il professore di diritto internazionale ha poi ricordato la fondazione dell’Onu 70 anni fa e si è chiesto se i principi con cui è stata costruita siano ancora validi in un contesto in cui l’Isis ha drammaticamente rinnovato la minaccia del terrorismo, cambiando il quadro delineatosi dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. “Rileviamo inoltre – ha concluso Buonomo – l’assenza di parametri etici nel diritto internazionale e nella diplomazia attuale. Questa assenza costituisce un vuoto non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per i leader politici. Non si tratta solo di retorica, ma di capire come, attraverso questi valori veri, si possa affermare un nuovo modello di approccio nella diplomazia e nelle relazioni internazionali. Capire se vogliamo puntare non solo a una coesistenza tecnica, ma ad una convivenza pacifica”.
Ha poi preso la parola Romano Prodi, partendo dalla constatazione inevitabile che gli Stati Uniti, nonostante la loro supremazia economica, tecnologica e militare, non sono più in grado reggere le sorti del mondo come unica superpotenza in campo. Lo dimostra, secondo il Professore, il loro atteggiamento nella questione siriana e l’intervento a ranghi ridotti nella guerra di Libia che ha abbattuto il regime di Gheddafi. “Washington – ha affermato l’ex presidente del Consiglio – ha commesso diversi errori, a partire dalla guerra in Iraq che ha rovesciato Saddam Hussein. Doveva essere un manifesto di forza militare e morale della superpotenza unica americana e invece ha causato i disastri che ben conosciamo. Tanto è vero che, pochi giorni fa, lo stesso Tony Blair, allora il principale alleato bellico del presidente George W. Bush, ha riconosciuto lo sbaglio. La seconda Guerra del Golfo ha inoltre spaccato il fronte europeo: da una parte Francia e Germania contrarie, dall’altra Gran Bretagna, scesa in guerra con gli Stati Uniti, e Italia e Spagna non ostili all’intervento. Senza dimenticare l’impantanamento americano in Afghanistan dove già avevano fallito i sovietici negli anni Ottanta”.
Prodi ha poi sottolineato il ruolo importante avuto dalla crisi economica dell’Occidente e dalla contemporanea ascesa cinese. “Frequentando la Cina – ha continuato l’ex presidente della Commissione Europea – ho capito che loro si sono tenuti in disparte per lasciare i problemi geopolitici agli altri e continuare, nel frattempo, a crescere economicamente. Certo ora la crescita sta rallentando, lo sviluppo presenta molte disuguaglianze e contraddizioni e la corruzione del sistema è molto forte. Ciò nonostante, credo che Pechino possa diventare sempre più uno dei fulcri dell’economia mondiale. I politologi continuano a chiedersi se sarà inevitabile o meno uno scontro con gli Stati Uniti ma, in maggioranza, concordano sul fatto che stiamo andando sempre più verso un nuovo bipolarismo”.
Non poteva mancare un riferimento alla Siria: “La situazione è intricata come poche altre in passato. La Russia combatte l’Isis e appoggia Assad, ma Stati Uniti e Unione Europea sono nemici di entrambi e quindi non sanno che pesci prendere. Certo fare politica estera per un paese autoritario come la Russia è molto più facile che nelle democrazie occidentali dove il governo deve sempre confrontarsi con un parlamento. Senza dimenticare i diversi appuntamenti elettorali locali dei paesi democratici, che finiscono sempre per condizionare la politica nazionale, inclusa quella estera”. L’ex presidente del Consiglio ha ricordato come inizialmente Bashar Al-Assad avesse cercato amicizia e cooperazione con l’Unione Europea, ma poi tutto cambiò nel 2005 con l’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafiq Al-Hariri, amico dell’allora presidente francese Jacques Chirac. Il governo siriano fu accusato di essere il mandante dell’omicidio e la rottura dei rapporti con la Francia allontanò l’intera Ue.
Un’Europa che, secondo Prodi, di fronte a tutti questi eventi importanti “si è sempre mostrata divisa e quindi spettatrice”. “Fino a 10 anni fa – ha evidenziato l’ex presidente della Commissione Europea – l’Unione era avviata verso un processo di rafforzamento grazie all’euro e all’allargamento a Est. Ma con la bocciatura della Costituzione europea e lo scoppio della crisi economica, gli stati nazionali sono tornati i veri protagonisti e la politica europea si è frammentata. Pensiamo agli staterelli italiani del Quattrocento. Dominavano in settori come arte, agricoltura, scienza, filosofia, politologia, letteratura, ma sono stati tagliati fuori dalla prima prima forma di globalizzazione: la scoperta dell’America. E il mondo è finito in mano a Francia, Gran Bretagna, Spagna, quei paesi in grado di alimentare le rotte commerciali con il nuovo mondo. Oggi l’Unione Europea rischia lo stesso. Quelle che una volta erano le navi e le rotte commerciali oggi sono le grandi reti virtuali come Apple, Amazon, Google e così via. E queste reti sono tutte statunitensi e cinesi. Non ce ne è una europea”.
Infine un commento sul ruolo di primo piano che il Pontefice ha saputo ritagliarsi come promotore di pace e dialogo nell’attuale quadro geopolitico: “Il Papa si è affermato come riferimento importante in questo mondo multipolare. Certo non come grande potenza, ma con risultati notevoli come nella mediazione a Cuba con gli Stati Uniti e nei rapporti con la Bielorussia”.
L’intervento del professor Sapienza si è invece concentrato sull’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), figlia della Conferenza di Helsinki e diventata nel 1995 una vera e propria organizzazione internazionale permanente. Un’istituzione fondata solo sull’impegno politico degli stati partecipanti, senza nessun trattato istitutivo come base. Obiettivo dell’Osce è quello di gestire un’area di sicurezza e cooperazione “da Vancouver a Vladivostok” in cui sono inclusi, oltre ai paesi europei, anche St
ati Uniti e Canada e stati asiatici come il Kazakistan. Ma, secondo Sapienza, questa istituzione possiede strumenti ormai insufficienti per svolgere il suo compito, come dimostra la crisi in Ucraina.
“L’insufficienza dell’Osce – ha precisato il professore di diritto internazionale – è il manifesto dell’inadeguatezza degli strumenti europei di sicurezza comune. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il modello di mondo eurocentrico è crollato, ma i paesi europei forse non lo hanno ancora capito del tutto e non hanno imparato davvero come muoversi nel modo giusto”.