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"Quando qualcuno parla al nostro cuore, la nostra solitudine finisce"

Catechesi del Santo Padre – Udienza generale

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L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 9.35, in Piazza San Pietro, dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Prima di recarsi in Piazza San Pietro, nell’Aula Paolo VI, il Papa ha incontrato vari gruppi di ammalati e in particolare un gruppo di ammalati di SLA in occasione della Giornata Mondiale sulla SLA che si celebra domani, 21 giugno.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando il nuovo ciclo di catechesi sui Comandamenti, ha incentrato la sua meditazione sul tema: “Dieci Parole” per vivere l’Alleanza. (Brano biblico: 2Corinzi 3,5b-6.17).
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Prima della conclusione dell’Udienza, dopo aver assistito a un breve numero degli artisti del Rony Roller Circus presenti, il Papa ha loro rivolto alcune parole di saluto.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.
 
Catechesi del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Questa udienza si svolge in due posti: noi, qui, in piazza, e in Aula Paolo VI ci sono più di 200 ammalati che seguono con il maxischermo l’udienza. Tutti insieme formiamo una comunità. Con un applauso salutiamo quelli che sono nell’Aula. Mercoledì scorso abbiamo iniziato un nuovo ciclo di catechesi, sui comandamenti.
Abbiamo visto che il Signore Gesù non è venuto ad abolire la Legge ma a dare il compimento. Ma dovremo capire meglio questa prospettiva.
Nella Bibbia i comandamenti non vivono per sé stessi, ma sono parte di un rapporto, una relazione. Il Signore Gesù non è venuto ad abolire la Legge, ma a dare il compimento. E c’è quella relazione dell’Alleanza1 fra Dio e il suo Popolo. All’inizio del capitolo 20 del libro dell’Esodo leggiamo – e questo è importante – «Dio pronunciò tutte queste parole» (v. 1). Sembra un’apertura come un’altra, ma niente nella Bibbia è banale. Il testo non dice: “Dio pronunciò questi comandamenti”, ma «queste parole». La tradizione ebraica chiamerà sempre il Decalogo “le dieci Parole”. E il termine “decalogo” vuol dire proprio questo.2 Eppure hanno forma di leggi, sono oggettivamente dei comandamenti.
Perché, dunque, l’Autore sacro usa, proprio qui, il termine “dieci parole”? Perché? E non dice “dieci comandamenti”? Che differenza c’è fra un comando e una parola? Il comando è una comunicazione che non richiede il dialogo. La parola, invece, è il mezzo essenziale della relazione come dialogo. Dio Padre crea per mezzo della sua parola, e il Figlio suo è la Parola fatta carne. L’amore si nutre di parole, e così l’educazione o la collaborazione. Due persone che non si amano, non riescono a comunicare. Quando qualcuno parla al nostro cuore, la nostra solitudine finisce. Riceve una parola, si dà la comunicazione e i comandamenti sono parole di Dio: Dio si comunica in queste dieci Parole, e aspetta la nostra risposta. Altro è ricevere un ordine, altro è percepire che qualcuno cerca di parlare con noi. Un dialogo è molto di più che la comunicazione di una verità.
Io posso dirvi: “Oggi è l’ultimo giorno di primavera, calda primavera, ma oggi è l’ultimo giorno”. Questa è una verità, non è un dialogo. Ma se io vi dico: “Cosa pensate di questa primavera?”, incomincio un dialogo. I comandamenti sono un dialogo. La comunicazione si realizza per il piacere di parlare e per il bene concreto che si comunica tra coloro che si vogliono bene per mezzo delle parole. È un bene che non consiste in cose, ma nelle stesse persone che scambievolmente si donano nel dialogo» (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 142). Ma questa differenza non è una cosa artificiale. Guardiamo cosa è successo all’inizio.
Il Tentatore, il diavolo, vuole ingannare l’uomo e la donna su questo punto: vuole convincerli che Dio ha vietato loro di mangiare il frutto dell’albero del bene e del male per tenerli sottomessi. La sfida è proprio questa: la prima norma che Dio ha dato all’uomo, è l’imposizione di un despota che vieta e costringe, o è la premura di un papà che sta curando i suoi piccoli e li protegge dall’autodistruzione? E’ una parola o è un comando? La più tragica, fra le varie menzogne che il serpente dice a Eva, è la suggestione di una divinità invidiosa – “Ma no, Dio è invidioso di voi” – di una divinità e possessiva – “Dio non vuole che voi abbiate libertà”. I fatti dimostrano drammaticamente che il serpente ha mentito (cfr Gen 2,16-17; 3,4-5), ha fatto credere che una parola d’amore fosse un comando. L’uomo è di fronte a questo bivio: Dio mi impone le cose o si prende cura di me? I suoi comandamenti sono solo una legge o contengono una parola, per curarsi di me? Dio è padrone o Padre? Dio è Padre: non dimenticatevi mai questo. Anche nelle situazioni più brutte, pensate che abbiamo un Padre che ci ama tutti.
Siamo sudditi o figli? Questo combattimento, dentro e fuori di noi, si presenta continuamente: mille volte dobbiamo scegliere tra una mentalità da schiavi e una mentalità da figli. Il comandamento è dal padrone, la parola è dal Padre. Lo Spirito Santo è uno Spirito di figli, è lo Spirito di Gesù. Uno spirito da schiavi non può che accogliere la Legge in modo oppressivo, e può produrre due risultati opposti: o una vita fatta di doveri e di obblighi, oppure una reazione violenta di rifiuto. Tutto il Cristianesimo è il passaggio dalla lettera della Legge allo Spirito che dà la vita (cfr 2 Cor 3,6-17). Gesù è la Parola del Padre, non è la condanna del Padre. Gesù è venuto a salvare, con la sua Parola, non a condannarci. Si vede quando un uomo o una donna hanno vissuto questo passaggio oppure no. La gente si rende conto se un cristiano ragiona da figlio o da schiavo. E noi stessi ricordiamo se i nostri educatori si sono presi cura di noi come padri e madri, oppure se ci hanno solo imposto delle regole.
I comandamenti sono il cammino verso la libertà, perché sono la parola del Padre che ci fa liberi in questo cammino. Il mondo non ha bisogno di legalismo, ma di cura. Ha bisogno di cristiani con il cuore di figli3 . Ha bisogno di cristiani con il cuore di figli: non dimenticatevi questo. _________________________
[1] Il cap. 20 del libro dell’Esodo è preceduto dall’offerta dell’Alleanza al cap. 19, in cui è centrale il pronunciamento: «Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,5-6). Questa terminologia trova sintesi emblematica in Lv 26,12: «Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete mio popolo» e giungerà fino al nome preannunciato del Messia, in Isaia 7,14 ossia Emmanuele, che approda in Matteo: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi» (Mt 1,23). Tutto questo indica la natura essenzialmente relazionale della fede ebraica e, al massimo grado, di quella cristiana. [2] Cfr anche Es 34,28b: «Egli scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole». [3] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor, 12: «Il dono del Decalogo è promessa e segno dell’Alleanza Nuova, quando la legge sarà nuovamente e definitivamente scritta nel cuore dell’uomo (cfr Ger 31,31-34), sostituendosi alla legge del peccato, che quel cuore aveva deturpato (cfr Ger 17,1). Allora verrà donato “un cuore nuovo” perché in esso abiterà “uno spirito nuovo”, lo Spirito di Dio (cfr Ez 36,24-28)».

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ZENIT Staff

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