Il viaggio di Papa Francesco a Bologna è stato un dono alla comunità degli uomini che, senza Dio, rischia di perdere la sua vera identità universale. Il Santo Padre ha come sempre seminato preziosità comportamentali rivolgendosi ai giovani; ai sacerdoti ed ai consacrati; agli ambienti universitari; ai migranti; alle comunità umane nelle loro varie articolazioni. A tutti ha chiesto di essere “Lottatori di Speranza” e di non fuggire mai dinnanzi alla realtà, affrontandola senza svendere alcun valore cristiano.
Oggi è risaputo che dire alcune cose in una società, cosciente e sicura per i suoi progressi terreni e le sue scalate sociali, può essere motivo di incomprensione, se non a volte di derisione. Nonostante questa possibile consolidata condotta reattiva, è impensabile non poter sottolineare che la vera relazione dell’uomo, da curare e rafforzare quotidianamente, è quella con il Padre eterno. “Dio dice, l’uomo esegue!”. Non metabolizzare questa verità significa remare contro il vangelo, faro illuminante per un mondo in cerca di svincolarsi da qualsiasi sistema contraffatto.
Le relazioni antropiche che si tessono in ogni istante, sotto i tetti e tra le vie di qualunque angolo della terra, rischiano sempre di falsare il cuore stesso di un incontro, se non ispirate dalla sapienza della Parola. La convinzione di molti è di tutta altra natura. In essi prevale la convinzione che l’uomo sia talmente libero da non dover sottostare a preordinate indicazioni, capaci magari di sotterrare le mille risorse intellettuali di cui dispone il singolo. Sulla carta sembrerebbe una considerazione inconfutabile, visto che il mondo continua incurante a mostrarsi sicuro di essere da sé stesso.
La storia ci insegna tutt’altro! Qualsiasi relazione che abbia rinnegato la propria corrispondenza celeste, fidandosi soltanto dalle proprie origini esclusivamente terrene, sarà nel tempo costretta a far venire fuori la sua caducità; i suoi limiti; le sue contraddizioni. Penso ad esempio a decisioni politiche, economiche, educative e formative di cui i possibili risultati nefasti andranno ad incidere sulle nuove generazioni. Ma la cosa vale anche per le piccole cose e i confronti quotidiani. In questi casi eventuali errori o riflessi negativi tendono di solito ad essere giustificati, riferendosi a coincidenze o al caso. Invenzioni mentali dell’uomo, a volte pure raffinate, per auto assolversi.
Ogni persona attenta sa benissimo che il caso o la coincidenza sono comunque la parte finale di una relazione o di un percorso, privi di buon senso e di verità assoluta. Un vero credente capisce come in tali situazioni sia venuta meno la connessione con la Parola del Signore. Tutto questo succede nel momento in cui eventuali atti intrapresi con altri, pubblici o privati che siano, vengono considerati di natura prettamente circoscritta ai soli calcoli materiali e agli interessi di parte di un certo contesto, per un tempo soggettivamente stimato. Il benessere comune resta così all’orizzonte o si ravviva nei proclami manipolati con i quali ci cerca di ammorbidire le tante tensioni generali e specifiche.
A parole, di conseguenza, tutti mettono al centro il bene e l’amore! Perché allora i conflitti, presenti ad ogni livello esistenziale, non trovano una salda strategia che li ponga ai margini del cammino personale e comunitario? Il motivo è da ricercare nella “gestione” occasionale del merito che risiede nella tenerezza del cuore di ognuno. Come possono l’amore e il bene sanare i mali del mondo, se la loro essenza ontologica è stravolta da un relativismo che pone il Figlio dell’uomo crocifisso in secondo piano. Si preferisce infatti partire dalle esigenze di gloria umana comunque da giustificare o liberare, forse anche con la costruzione di nuovi scintillanti idoli.
Essere cristiani è un obbligo “pesante”. Persino Sant’Agostino, prima di aprire il suo cuore a Cristo, “temeva” questo vincolo non certo facile da rispettare. Se all’opposto si facesse di tutto per riportare la propria vita in una autentica relazione con Dio, ogni Suo comando diventerebbe naturale obbedienza, nella consapevolezza, sempre secondo il vescovo di Ippona (“Vedo te ed obbedisco!”), della tutela soprannaturale che deriva dal contatto interiore con il Creatore di tutte le cose. Può un cristiano deludere perciò il suo Signore salito in croce per la sua salvezza? Può il figlio disingannare il Padre che lo invita a recarsi a lavorare nella sua vigna?
Tutto è possibile fare, ma colui che vuole indirizzare la propria storia personale verso la verità della Parola non può non obbedire al Verbo fattosi carne, per consentire la nascita di un uomo nuovo. Ciò che ruota intorno a chiunque abbia deciso di incamminarsi per il sentiero della verità cristiana è però spesso inquinato dalla presenza del maligno. Resistergli non è facile. Giobbe dalle antiche scritture ci insegna che è possibile rimanere obbedienti e fedeli al Padre, anche perdendo ogni cosa e subendo qualsiasi tormento fisico e dell’anima. Messaggi elevati che ritornano attuali, nonostante l’illusione di vivere oggi nel pieno tempo della felicità. Come Giobbe ogni cristiano non dovrebbe deludere il Signore.
Un monito essenziale che vale per chi è impegnato nel campo della finanza; della politica; delle professioni; della Chiesa. Per chi studia; lavora; costruisce o demolisce; per quanti siano poveri; ricchi; ammalati; sani; contenti o soddisfatti. Mettere al di sopra di ogni realtà oggettiva la propria relazione con Dio e rispettare la sua volontà, permette ad ognuno di comprendere il mistero del rapporto primario con il cielo, mai da classificare al di fuori di qualsiasi complessa realtà quotidiana.
Si tratta piuttosto di prendere coscienza di quel giusto valore che dovrebbe sovrintendere ogni relazione umana, per non continuare a fare arretrare, se mai consolidare, il benessere di una umanità seriamente ferita.
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Papa, Bologna, Hub Regionale, 1° ottobre 2017 / © PHOTO.VA - OSSERVATORE ROMANO
Il mistero e il giusto valore delle relazioni umane
Mettere al di sopra di ogni realtà oggettiva la propria relazione con Dio e rispettare la sua volontà