Dalle bestemmie alla preghiera

Una maturazione crescente che ci fa stare in braccio a Colui che ci ama

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Mia nonna, alle cinque del mattino, mi svegliava per accompagnarla alla messa tutti i giorni. Agnellino di sei anni, non badavo alla levataccia, ma mi attraeva la novità dell’ora. Annoverato fra gli “zaghetti” a “servir messa”, mi sentivo protagonista di una cerimonia che mi faceva sentire importante.

Una volta, tornando a casa, sempre tenuto per mano, sentivo la nonna che, fermata dall’amica, Fanina, confidava il suo grande dispiacere di sentir ripetere le bestemmie. Scandalizzata da simili confidenze, Fanina chiedeva come reagire.

La mia saggia nonna assicurava che non perdeva occasione, non lasciava passare una bestemmia senza accompagnarla con una giaculatoria o un’ave Maria. “Come vedi, Fanina, sono sempre in preghiera, grazie alle frequenti espressioni blasfeme  che odo”.

Non nascondo che quelle strane litanie che fin da piccolo entravano anche nelle mie orecchie, qualche volta ora riemergono nella memoria e nella fantasia.

Al loro riaffiorare, non mi sconcertano più di tanto, perché dalla nonna ho imparato a moltiplicare serenamente, quasi un costante respiro, espressioni che mi educano e mi allenano al continuo contatto con Dio.

Ed è una maturazione crescente che mi fa  stare in braccio a Colui che ti ama e ti chiede, come base di preghiera, l’incondizionata fiducia che sintetizzo in queste tre espressioni, come unico atto di affidamento: in te confido, di te mi fido, a te mi affido.

Ciao da p. Andrea

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Andrea Panont

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