Sposato, con due figli e tre nipoti, Ezio Aceti è esperto in psicologia dell’età evolutiva. Ha coordinato centri per disabili e aperto sportelli di ascolto per genitori e insegnanti. Diplomato in scienze religiose, si occupa di formazione per la Cei. Ha fondato l’associazione Parvus.
Riccordate Inside Out, il film di animazione della Walt Disney Pixar, del 2015, diretto da Pete Docter? Racconta una storia che ha per protagoniste delle emozioni: paura, disgusto, rabbia, tristezza e felicità. Ha avuto grande successo non solo perché ci presenta il mondo affascinante di queste forze interiori che ci travolgano e ci fanno provare tante volte un senso di impotenza, ma soprattutto perché la vicenda è sostenuta da studi accurati sulla natura delle emozioni.
Il misterioso mondo delle emozioni ha meritato un interessante dialogo con lo psicologo italiano Ezio Aceti che in modo originale e accattivante ci offre numerosi spunti di riflessione sulla l’importanza di conoscere queste “energie” e sui comportamenti adeguati nell’educazione dei figli.
Lei ha scritto tanti libri, dando spazio alle emozioni. Perché sono così importanti?
Ritengo che le emozioni siano l’energia della vita. Rappresentano l’attrazione o la repulsione che proviamo verso le persone e le cose. Sono energia al nostro servizio: se le usiamo bene, possiamo rinnovare la società e la famiglia; se utilizzate male, possono fare danni.
Quali sono le emozioni più importanti?
Le emozioni di base sono: sorpresa, paura, disgusto, rabbia, tristezza e felicità. La persona libera è quella che cerca di utilizzare bene le emozioni, anche quelle negative. In psicologia si parla di resilienza, che è la capacità di trasformare le emozioni negative in positive. È per questo che insegno l’utilizzo delle emozioni sin dall’infanzia. Se un bambino riesce a conoscerle e padroneggiarle, può realizzare cose utili e benefiche, anche per rinnovare il mondo. Se le azioni delle persone sono positive e altruiste, si genera una comunità felice e solidale. Viceversa, si rischia di vivere da soli, in modo aggressivo e violento. L’educazione alle emozioni è un compito primario.
Lei come vive le emozioni?
Sono sposato da 35 anni e ho due figli: uno disabile con problemi di apprendimento, un altro che ha una malattia, però ha dei figli. Quindi ho tre nipotini. Dal punto di vista umano, tutto questo può sembrare una cosa negativa e faticosa, ma nel rapporto con Dio, che non è nient’altro che l’umano rialzato, queste fatiche si trasformano in opportunità. Non c’è nulla da buttar via nella nostra vita, ma tutto da trasformare per vivere opportunità ed esperienze positive.
Perché ha scelto di dedicarsi alla psicologia?
Mentre frequentavo l’istituto per elettrotecnici, ho sentito che i valori dell’uomo dovevano essere messi al centro e così è nata in me questa passione. Poi, a forza di lavorare con i bambini, mi è venuta la predilezione per la psicologia infantile che ritengo il futuro, come scelta dell’uomo. Però la psicologia non è sufficiente; bisogna avere anche una radice antropologica sul “senso” dell’uomo, per questo ho conseguito la laurea in scienze religiose.
Con altri psicologi, ha fondato l’associazione Parvus, che si occupa di terapie infantili e supporto alla genitorialità. Come e perché è nata questa idea?
Parvus vuol dire bambino. Lo scopo è diffondere la cultura dell’infanzia. Abbiamo aperto molti sportelli di ascolto psico-pedagogici nelle scuole dell’infanzia, elementari, medie e superiori. Ci rivolgiamo soprattutto a genitori e insegnanti. Che bello sarebbe se in tutto il mondo un papà e una mamma, dopo aver avuto un figlio, facessero 3 o 4 incontri per capire come “funziona” il loro bambino. Quanti errori in meno farebbero! Sono stato in diversi Paesi del mondo e questa “ignoranza” sui bambini è diffusa. Dedicare tempo alla conoscenza dell’infanzia è dedicare tempo al futuro dell’umanità. Non possiamo lasciare che l’educazione dei figli rimanga fondata solo sul buon senso. È importante insistere nelle parrocchie e nei gruppi sociali perché sia obbligatoria l’“alfabetizzazione genitoriale”.
Una volta è riuscito a far cancellare un programma tv di contenuti inappropriati per i bambini…
In Italia abbiamo il Garante per l’infanzia. C’era una trasmissione che trattava i bambini come adulti. La conduttrice faceva cantare loro canzoni d’amore da grandi e alla fine chiedeva ad ognuno: «Chi è la tua fidanzata?». Il bambino di 8 anni, scimmiottando un adulto, raccontava della fidanzata… Questa è violenza pura sul bambino, che ha il diritto di essere rispettato nella propria infanzia. Siamo riusciti a far cancellare la trasmissione. Altri abusi? Dobbiamo combattere in tutte le nazioni la “parolaccia”, perché è devastante, fa male e denigra il bambino, il quale può essere ammonito, ma con linguaggio positivo e di sostentamento. La parolaccia invece penetra nell’intimo del bambino. Dobbiamo chiedere leggi che proibiscano l’uso delle parolacce in tv e nei mass media. Il bambino vede tutto e sente tutto. Se i grandi sapessero come sono visti dai bambini, chiederebbero scusa tutte le volte che usano parolacce.
Lei insiste sull’importanza dell’amore. Cosa significa amare i bambini?
L’amore concreto ama l’altro così com’è, non come se lo immagina. Allora, la prima cosa che serve per amare un bambino è conoscerlo a fondo. Si passa così dall’amore generico («ti voglio bene perché sei bello e carino») all’amore personale: «Ti voglio bene perché sei fatto così, così e così». Questo è amare un bambino. Più mi rapporto con lui, più capisco me stesso, perché l’amore è sempre relazione, reciprocità. Più vado verso l’altro, più l’altro mi aiuta a capire chi sono io.
E quando si litiga?
Il litigio non è del tutto negativo. L’esperienza peggiore è l’indifferenza. Il conflitto e il litigio, invece, contengono qualcosa di positivo: se si litiga con una persona, significa che ci interessa, che vogliamo discutere e sentire il suo parere. Ma se il litigio deborda in volgarità e sopraffazione, il risultato è pessimo e ci si allontana sempre di più. L’importante, allora, sarà litigare bene! Ciò permette all’altro di esprimere il suo parere, anche discordante dal mio, in modo tale che alla fine, dopo il litigio, ci si senta più uniti, con un’unità d’intenti che, anche se è costata fatica, comprende entrambi, in quanto è frutto dello sforzo di tutti e due. Occorre abituarsi a litigare bene, senza umiliare l’altro. Persino Gesù viveva le emozioni: ha sempre detto il suo parere, ma senza sminuire il valore dell’altro.
I nostri figli non hanno bisogno di genitori perfetti, ma di genitori umani, con difetti e fragilità, che ce la mettono tutta. E se qualche volta ci arrabbiamo, si chieda scusa
Come possono una madre e un padre comprendere il vero bisogno del loro figlio?
In primo luogo devono conoscerlo. Come seconda cosa, ascoltarlo. Quando un bambino parla, prima di intervenire, la madre deve chiedersi: perché ha detto questo? Questo spazio d’ascolto è amore. Come terza cosa, deve pescare dentro di sé quello che sente, mettersi nei panni dell’altro, entrando nell’altro. In questo modo, quello che mi dice il cuore sarà utile e positivo, perché non è frutto solo delle mie idee, ma anche dello spazio che ho dato all’altro. L’amore e l’ascolto sono dinamici, l’educazione è prima di tutto frutto di una relazione, di un rapporto. Poi viene la regola, ma questa, senza rapporto, non serve a niente.
Come conciliare autorità e regole con l’amore verso i bambini?
Più che autorità, userei la parola autorevolezza. A volte i nostri figli possono non capire quello che viene loro chiesto, perché non hanno ancora le competenze cognitive necessarie. Non comprendono certe cose, ma sono disponibili a farle se hanno fiducia in noi. L’autorevolezza è quando l’altro ha fiducia in me, anche se non comprende tutto. Ma si conquista solo se io “perdo tempo” con mio figlio, se gli sono stato vicino, se l’ho sostenuto e l’ho ammonito senza punirlo. La punizione non serve, è solo violenza, mentre l’ammonimento sostiene, incoraggia ad essere migliore. Educare non è dare norme, regole, castigare, punire… Educare è far sentire il bambino atteso, desiderato. Ogni volta che parliamo con lui, terminiamo con la parola “tu”, in modo da rispettare la sua dignità. Ad esempio, si può dire: «Non mi aspettavo questo da te, hai sbagliato qui, qui e qui… sono sicuro che “tu” farai meglio, sono sicuro che “tu” saprai cosa fare». Questo “tu” è il capolavoro dell’educazione.
Quando i genitori tornano a casa stanchi per il lavoro, hanno la disponibilità emotiva di donarsi al bambino?
Non è facile. Questa società non è al servizio dell’infanzia e neanche della famiglia. Il lavoro, le carenze, la competitività trascinano in un vortice di fatica enorme che a volte ci fa trascurare i figli e la famiglia, è comprensibile… Amare non sta nel fare cose giuste e perfette, ma nel mettercela tutta. I nostri figli non hanno bisogno di genitori perfetti, ma di genitori umani, con difetti e fragilità, che ce la mettono tutta. E se qualche volta ci arrabbiamo, si chieda scusa. È importante cercare momenti in famiglia, soprattutto nel fine settimana.
Quando un figlio presenta una disabilità, come amarlo?
L’handicap è un male oggettivo, di conseguenza la malattia va combattuta con tutte le forze, mentre la persona va amata. Non c’è differenza dal punto di vista della dignità fra un handicappato grave sul letto e un genio. Davanti agli occhi di Dio hanno la stessa dignità. Naturalmente l’handicappato grave ha più bisogno di attenzioni e suscita il coinvolgimento della mia persona. La mia dignità aumenta. Sembra assurdo, ma la disabilità altrui mi fa più uomo. Non dobbiamo desiderare la malattia, ma quando c’è, dobbiamo aiutare la persona a raggiungere il miglior livello di vita possibile. Un figlio disabile comporta anche momenti difficili, soprattutto per l’incertezza sul suo futuro. Preoccupazioni che mantengono vivo il nostro essere genitori e ci fanno comprendere l’essenziale della vita.
Quale consiglio darebbe a due genitori che pensano di adottare un bambino?
L’adozione è una cosa faticosa ma bellissima, perché significa occuparsi di una persona spesso ferita e abbandonata. Però ci vuole preparazione. Consiglio di farsi aiutare da uno psicologo.
Dal punto di vista scientifico è giustificabile una famiglia con genitori omosessuali?
Un bambino, se amato, cresce bene. Non dubito che due omosessuali possano voler bene a un bambino, ma c’è un problema: un bambino adottato spesso è ferito, abbandonato, per cui ha diritto a ricevere il meglio. E il meglio sono un padre e una madre, perché il bambino ha diritto di imparare la reciprocità. Per questo ritengo che l’adozione di un bambino debba essere fatta da una coppia eterosessuale.
Le piace il lavoro che fa?
Sono innamorato del mio lavoro, perché sento che mi realizza. Sono un professionista, ma anche un credente e ritengo che dare Gesù sia dare l’uomo, in quanto il cristianesimo è umanesimo realizzato. Non c’è differenza tra volere un mare di bene ai bambini, ai ragazzi e alle famiglie, come psicologo e come cristiano.
Grazie, Ezio, per il tuo tempo, la tua dedizione e il tuo impegno per l’ educazione dei bambini e dei loro genitori!
Pubblicato nelle riviste www.cittanuova.it , womanessentia.com