Conferenza Stampa di presentazione della Lettera “Samaritanus bonus” sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, redatta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede - Intervento S.E. Mons. Giacomo Morandi - Foto (Screenshot) Copyright Vatican Media

Mons. Giacomo Morandi: “L’obiettivo dell’assistenza deve mirare all’integrità della persona”

Conferenza Stampa di presentazione della Lettera “Samaritanus bonus” sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, redatta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede

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Alle ore 11.30 di questa mattina, presso l’Aula “Giovanni Paolo II” della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo una Conferenza Stampa di presentazione della Lettera Samaritanus bonus sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, redatta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Intervengono: l’Em.mo Card. Luis Francisco Ladaria Ferrer, S.I., Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; S.E. Mons. Giacomo Morandi, Segretario della medesima Congregazione; la Prof.ssa Gabriella Gambino, Sotto-Segretario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita; il Prof. Adriano Pessina, Membro del Direttivo della Pontificia Accademia per la Vita. Ne riportiamo di seguito l‘intervento di S.E. Mons. Giacomo Morandi:

Intervento di S.E. Mons. Giacomo Morandi

1) La Lettera Samaritanus bonus fa appello ad un’esperienza umana universale: quella per cui la domanda sul senso della vita si fa ancora più acuta allorquando la sofferenza incombe e la morte si approssima. Il riconoscimento della fragilità e vulnerabilità della persona malata – anche se, in radice, fragile e vulnerabile è l’essere umano come tale – apre lo spazio all’etica del prendersi cura: «Esercitare la responsabilità nei confronti della persona malata, significa assicurarne la cura fino alla fine: “guarire se possibile, aver cura sempre (to cure if possible, always to care)” (Giovanni Paolo II). Quest’intenzione di curare sempre il malato offre il criterio per valutare le diverse azioni da intraprendere nella situazione di malattia “inguaribile”: inguaribile, infatti, non è mai sinonimo di “incurabile”. […] L’obiettivo dell’assistenza deve mirare all’integrità della persona, garantendo con i mezzi adeguati e necessari il supporto fisico, psicologico, sociale, familiare e religioso» (parte I, p. 8).

2) In questo senso, è importante mettere bene a fuoco che il dolore è esistenzialmente sopportabile soltanto laddove c’è una speranza affidabile. E una speranza così può essere comunicata soltanto laddove c’è una “coralità di presenza” che spera attorno al malato sofferente. La Madre e il discepolo amato “stanno” vicino a Gesù e, «in questo loro “stare” presso la Croce, partecipano, con la loro umana dedizione al Sofferente, al mistero della Redenzione» (parte II, p. 11). Per questo, la risposta cristiana al mistero della morte e della sofferenza non è anzitutto una spiegazione, ma una Presenza, secondo la felice espressione di Cicely Saunders, citata nel paragrafo del Documento dedicato al ruolo della famiglia e degli hospice (cfr. p. 29). È la testimonianza, umile ma certa, della vicinanza di Dio alla nostra vita, vicinanza che ci abilita ad accompagnare con speranza affidabile, anche nella prova suprema della sofferenza e della morte.

3) È proprio della comunità cristiana, della Chiesa nella sua stessa natura, «accompagnare con misericordia i più deboli nel loro cammino di dolore, per mantenere in loro la vita teologale e indirizzarli alla salvezza di Dio». E la Chiesa non cessa di affermare «il senso positivo della vita umana come un valore già percepibile dalla retta ragione, che la luce della fede conferma e valorizza nella sua inalienabile dignità». Affermare la sacralità e l’inviolabilità della vita umana significa non misconoscere il valore radicale della libertà del sofferente, fortemente condizionata dalla malattia e dal dolore: tale misconoscimento si verificherebbe invece nel momento in cui si dovesse acconsentire alla richiesta di negargli, con l’eutanasia, ogni ulteriore possibilità di relazione umana benefica (cfr. parte III, pp. 13-14).

4) Ci sono alcuni ostacoli di carattere culturale che, oggigiorno, limitano la capacità di cogliere il valore profondo e intrinseco di ogni vita umana. Il Documento ne segnala alcuni:
a) un uso equivoco del concetto di “morte degna”, allorché con tale espressione si intende trasferire anche all’ambito medico-clinico una prospettiva prevalentemente legata – come affermato da papa Francesco (cfr. Discorso al Congresso dell’Associazione Medici Cattolici Italiani nel 70° anniversario di fondazione, 15 novembre 2014) – «alle possibilità economiche, al “benessere”, alla bellezza e al godimento della vita fisica, dimenticando altre dimensioni più profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell’esistenza».
b) Una erronea comprensione del concetto di “compassione”, secondo cui, per non soffrire, sarebbe “compassionevole” aiutare il paziente a morire attraverso l’eutanasia o il suicidio assistito. In realtà, come recita con chiarezza il testo, «la compassione umana non consiste nel provocare la morte, ma nell’accogliere il malato, nel sostenerlo dentro le difficoltà, nell’offrirgli affetto, attenzione e mezzi per alleviare la sofferenza».
c) Ancora, l’individualismo crescente, che induce a vedere gli altri come limite e minaccia alla propria libertà.
d) Il tutto sintetizzabile, infine, in una concezione complessivamente utilitaristica dell’esistenza, secondo la quale la vita vale fino a quando è produttiva e utile, innescando i perversi dinamismi della cosiddetta “cultura dello scarto” (cfr. parte IV, pp. 15-17). 5) Il Magistero della Chiesa ha a cuore e desidera riaffermare con chiarezza il bene integrale della persona umana.

In questo senso il Documento dichiara: «Alimentazione e idratazione non costituiscono una terapia medica in senso proprio, in quanto non contrastano le cause di un processo patologico in atto nel corpo del paziente, ma rappresentano una cura dovuta alla persona del paziente, un’attenzione clinica e umana primaria e ineludibile» (p. 26). Nello stesso tempo qualifica le cure palliative come «simbolo tangibile del compassionevole “stare” accanto a chi soffre». Così, delle cure palliative fa parte anche l’assistenza spirituale al malato e ai suoi familiari: si tratta di «un contributo essenziale che spetta agli operatori pastorali e all’intera comunità cristiana, sull’esempio del Buon Samaritano, perché al rifiuto subentri l’accettazione e sull’angoscia prevalga la speranza, soprattutto quando la sofferenza si prolunga per la degenerazione della patologia, all’approssimarsi della fine» (parte V, pp. 26-27). 6)

Concludo con parole tratte da Sentieri di vita. La dinamica degli Esercizi ignaziani nell’itinerario delle Scritture di Francesco Rossi de Gasperis (vol. 3: Terza e Quarta Settimana. I Misteri della Pasqua del Messia Gesù, Paoline, Milano 2010, p. 509): «Bisognerà dunque aiutare e accompagnare saggiamente le persone a morire bene e nella speranza, ricapitolandosi secondo lo Spirito, e non addormentarle perché non si accorgano di ciò che sta accadendo loro. Bisognerà aver cura, fino alla fine, di nutrire in tutti, e con ogni modo, l’amore, più ancora dell’anestesia. Bisogna parlare della morte, specialmente quando si è ben vivi, raccontare come Gesù l’ha vissuta, come il capolavoro della propria vita. Bisogna prepararsi alla morte, convertirsi a recuperare e unificare, consumandola nell’amore, la nostra esistenza e la nostra storia: le amicizie e le inimicizie, le conoscenze e gli affetti, le sofferenze e le gioie, le fatiche, le malattie, le delusioni e le sconfitte, la giovinezza e la vecchiaia, l’età adulta e la senilità, ecc. Cogliamo tutto il tempo che ci è concesso per questo. La morte dovrebbe essere la più bella “opera d’arte” di un credente».

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ZENIT Staff

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