“Signore, abbi pietà del tuo popolo! Signore, perdono per tanta crudeltà!”; così Papa Francesco durante la sua visita ad Auschwitz il 29 luglio 2016. Il Santo Padre è rimasta da solo, in preghiera, “nel bunker della fame”, dove il 14 aprile 1941 morì anche Padre Massimiliano Kolbe. Il frate francescano polacco ha offerto volontariamente se stesso alla morte per salvare un giovane padre di famiglia.
Il 7 giugno 1979, Giovanni Paolo II ha visitato Auschwitz ricordando padre Massimiliano Kolbe: “Le parole della Lettera di San Giovanni mi vengono alla mente e mi penetrano nel cuore, quando mi trovo in questo posto dove ha avuto luogo una particolare vittoria della fede. Quella fede che fa nascere l’amore di Dio e del prossimo, l’unico amore, l’amore supremo che è pronto a “dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13; cfr. Gv 10,11). Vittoria dell’amore, che la fede ha vivificato fino agli estremi istanti dell’ultima e definitiva testimonianza.
Questa vittoria di fede e di amore è stata riportata – in questo luogo – da un uomo, il cui nome è Massimiliano Maria, il cognome: Kolbe; di professione (come si scriveva di lui nei registri del campo di concentramento): sacerdote cattolico; di vocazione: figlio di San Francesco; di nascita: figlio di semplici, laboriosi e devoti genitori, tessitori nei pressi di Łódź; per grazia di Dio e per giudizio della Chiesa: beato.
Vittoria di fede e di amore, ancor più brillante, in quanto riportata in un luogo costruito per la negazione totale della fede – quella in Dio e quella nell’uomo – e per calpestare radicalmente non soltanto l’amore, ma tutti i segni della dignità umana.
Luogo, costruito sull’odio e sul disprezzo dell’uomo nel nome di un’ideologia folle, luogo costruito sulla crudeltà. Ad esso conduce una porta, ancora oggi esistente, sulla quale è posta una iscrizione: “Arbeit macht frei”, che ha un suono beffardo, perché il suo contenuto era radicalmente contraddetto da quanto avveniva qua dentro
In questo bunker della fame, luogo del terribile eccidio che recò la morte a quattro milioni di uomini di diverse nazioni, Padre Massimiliano, offrendo volontariamente se stesso alla morte per salvare un fratello – che ancora oggi vive in terra polacca – riportò una vittoria spirituale simile a quella di Cristo stesso.
Ma Padre Massimiliano Kolbe fu l’unico? Egli, certo, riportò una vittoria che si ripercosse subito i compagni di prigionia e di cui, ancor oggi, si risente l’eco nella Chiesa e nel mondo.
[…]
Vengo qui oggi come pellegrino. Si sa che molte volte mi sono trovato qui… Quante volte! E molte volte sono sceso nella cella della morte di Massimiliano Kolbe e mi sono fermato davanti al muro dello sterminio e sono passato tra le macerie dei forni crematori di Birkenau. Non potevo non venire qui come Papa.
Vengo dunque in questo particolare santuario, nel quale è nato – posso dire – il patrono del nostro difficile secolo, così come nove secoli fa nacque sotto la spada in Rupella Santo Stanislao, Patrono dei Polacchi.
Ma vengo non soltanto per venerare il patrono del nostro secolo. Vengo per guardare ancora una volta negli occhi insieme a Voi, indipendentemente da quale sia la Vostra fede, la causa dell’uomo.
Vengo per pregare insieme con voi tutti che oggi siete venuti qui – e insieme con tutta la Polonia – e insieme con tutta l’Europa. Cristo vuole che io, divenuto il Successore di Pietro, renda testimonianza davanti al mondo di ciò che costituisce la grandezza dell’uomo dei nostri tempi e la sua miseria. Di quel che è la sua sconfitta e la sua vittoria.
Vengo allora e mi inginocchio su questo Golgota del mondo contemporaneo, su queste tombe, in gran parte senza nome, come la grande tomba del Milite Ignoto. Mi inginocchio davanti a tutte le lapidi che si susseguono e sulle quali è incisa la commemorazione delle vittime di Birkenau nelle seguenti lingue: Polacco, Inglese, Bulgaro, Zingaro, Ceco, Danese, Francese, Greco, Ebraico, Yiddish, Spagnolo, Fiammingo, Serbo-Croato, Tedesco, Norvegese, Russo, Rumeno, Ungherese, Italiano. […]”
Benedetto XVI ha spiegato che la sua visita ad Auschwitz nel 2006 “era ed è un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di essere qui come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo tedesco – figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di ricupero dell’onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell’intimidazione, cosicché il nostro popolo poté essere usato ed abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio..”
“Io sono oggi qui come figlio del popolo tedesco, e proprio per questo devo e posso dire come lui: Non potevo non venire qui. Dovevo venire. […] Sì, non potevo non venire qui. Il 7 giugno 1979 ero qui come Arcivescovo di Monaco-Frisinga tra i tanti Vescovi che accompagnavano il Papa, che lo ascoltavano e pregavano con lui. Nel 1980 sono poi tornato ancora una volta in questo luogo di orrore con una delegazione di Vescovi tedeschi, sconvolto a causa del male e grato per il fatto che sopra queste tenebre era sorta la stella della riconciliazione. È ancora questo lo scopo per cui mi trovo oggi qui: per implorare la grazia della riconciliazione – da Dio innanzitutto che, solo, può aprire e purificare i nostri cuori; dagli uomini poi che qui hanno sofferto, e infine la grazia della riconciliazione per tutti coloro che, in quest’ora della nostra storia, soffrono in modo nuovo sotto il potere dell’odio e sotto la violenza fomentata dall’odio. […]”
“Miei cari Fratelli e Sorelle, non ho più nulla da dire. Mi vengono solo in mente le parole della supplica”, con queste parole Giovanni Paolo II ha concluso la sua visita pregando:
“Santo Dio, Santo Potente, Santo e immortale!
Dalla pestilenza, dalla fame, dal fuoco e dalla guerra… e dalla guerra, liberaci, o Signore.
Amen.”