Udienza Generale (06/05/2020) - Foto © Vatican Media

“La fede è protesta contro una condizione penosa”

L’Udienza Generale – Catechesi del Santo Padre

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L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 9.30 nella Biblioteca del Palazzo Apostolico Vaticano. Nel discorso in lingua italiana il Papa ha iniziato un nuovo ciclo di catechesi sul tema della preghiera (Mc 10, 46-52). Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai fedeli. Quindi ha pronunciato un appello a favore del mondo del lavoro e in particolare dei lavoratori sfruttati. L’Udienza Generale si è conclusa con la recita del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

Catechesi del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi iniziamo un nuovo ciclo di catechesi sul tema della preghiera. La preghiera è il respiro della fede, è la sua espressione più propria. Come un grido che esce dal cuore di chi crede e si affida a Dio.

Pensiamo alla storia di Bartimeo, un personaggio del Vangelo (cfr Mc 10,46-52 e par.) e, vi confesso, per me il più simpatico di tutti. Era cieco, stava seduto a mendicare sul bordo della strada alla periferia della sua città, Gerico. Non è un personaggio anonimo, ha un volto, un nome: Bartimeo, cioè “figlio di Timeo”. Un giorno sente dire che Gesù sarebbe passato di là. In effetti, Gerico era un crocevia di gente, continuamente attraversata da pellegrini e mercanti. Allora Bartimeo si apposta: avrebbe fatto tutto il possibile per incontrare Gesù. Tanta gente faceva lo stesso: ricordiamo Zaccheo, che salì sull’albero. Tanti volevano vedere Gesù, anche lui. Così quest’uomo entra nei Vangeli come una voce che grida a squarciagola. Lui non ci vede; non sa se Gesù sia vicino o lontano, ma lo sente, lo capisce dalla folla, che a un certo punto aumenta e si avvicina… Ma lui è completamente solo, e nessuno se ne preoccupa. E Bartimeo cosa fa? Grida. E grida, e continua a gridare. Usa l’unica arma in suo possesso: la voce. Comincia a gridare: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (v. 47). E così continua, gridando. Le sue urla ripetute danno fastidio, non sembrano educate, e molti lo rimproverano, gli dicono di tacere: “Ma sii educato, non fare così!”. Ma Bartimeo non tace, anzi, grida ancora più forte: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (v. 47).

Quella testardaggine tanto bella di coloro che cercano una grazia e bussano, bussano alla porta del cuore di Dio. Lui grida, bussa. Quella espressione: “Figlio di Davide”, è molto importante; vuol dire “il Messia” – confessa il Messia –, è una professione di fede che esce dalla bocca di quell’uomo disprezzato da tutti. E Gesù ascolta il suo grido. La preghiera di Bartimeo tocca il suo cuore, il cuore di Dio, e si aprono per lui le porte della salvezza. Gesù lo fa chiamare. Lui balza in piedi e quelli che prima gli dicevano di tacere, ora lo conducono dal Maestro. Gesù gli parla, gli chiede di esprimere il suo desiderio – questo è importante – e allora il grido diventa domanda: “Che io veda di nuovo, Signore!” (cfr v. 51). Gesù gli dice: «Va’, la tua fede ti ha salvato» (v. 52).

Riconosce a quell’uomo povero, inerme, disprezzato, tutta la potenza della sua fede, che attira la misericordia e la potenza di Dio. La fede è avere due mani alzate, una voce che grida per implorare il dono della salvezza. Il Catechismo afferma che «l’umiltà è il fondamento della preghiera» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2559). La preghiera nasce dalla terra, dall’humus – da cui deriva “umile”, “umiltà” –; viene dal nostro stato di precarietà, dalla nostra continua sete di Dio (cfr ibid., 2560-2561). La fede, lo abbiamo visto in Bartimeo, è grido; la non-fede è soffocare quel grido. Quell’atteggiamento che aveva la gente, nel farlo tacere: non era gente di fede, lui invece sì. Soffocare quel grido è una specie di “omertà”. La fede è protesta contro una condizione penosa di cui non capiamo il motivo; la non-fede è limitarsi a subire una situazione a cui ci siamo adattati. La fede è speranza di essere salvati; la non-fede è abituarsi al male che ci opprime e continuare così.

Cari fratelli e sorelle, cominciamo questa serie di catechesi con il grido di Bartimeo, perché forse in una figura come la sua c’è già scritto tutto. Bartimeo è un uomo perseverante. Intorno a lui c’era gente che spiegava che implorare era inutile, che era un vociare senza risposta, che era chiasso che disturbava e basta, che per favore smettesse di gridare: ma lui non è rimasto in silenzio. E alla fine ha ottenuto quello che voleva. Più forte di qualsiasi argomentazione contraria, nel cuore dell’uomo c’è una voce che invoca. Tutti abbiamo questa voce, dentro. Una voce che esce spontanea, senza che nessuno la comandi, una voce che s’interroga sul senso del nostro cammino quaggiù, soprattutto quando ci troviamo nel buio: “Gesù, abbi pietà di me! Gesù, abbi pietà di me!”. Bella preghiera, questa. Ma forse, queste parole, non sono scolpite nell’intero creato? Tutto invoca e supplica perché il mistero della misericordia trovi il suo compimento definitivo. Non pregano solo i cristiani: essi condividono il grido della preghiera con tutti gli uomini e le donne. Ma l’orizzonte può essere ancora allargato: Paolo afferma che l’intera creazione «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Gli artisti si fanno spesso interpreti di questo grido silenzioso del creato, che preme in ogni creatura ed emerge soprattutto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è un “mendicante di Dio” (cfr CCC, 2559). Bella definizione dell’uomo: “mendicante di Dio”. Grazie.

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Britta Dörre

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