Come ridare la santa Comunione a tutti i fedeli?

Il 17 aprile scorso, venerdì nell’ottava di Pasqua, il nostro Papa Francesco ha pronunciato un’importantissima omelia spontanea nella Messa celebrata a Santa Marta. E’ un testo che dobbiamo rileggere e meditare per affrontare bene questa difficile “fase 2” della progressiva e prudente […]

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Il 17 aprile scorso, venerdì nell’ottava di Pasqua, il nostro Papa Francesco ha pronunciato un’importantissima omelia spontanea nella Messa celebrata a Santa Marta. E’ un testo che dobbiamo rileggere e meditare per affrontare bene questa difficile “fase 2” della progressiva e prudente ripresa delle attività e della vita ecclesiale. Lo stesso giorno, facendo già riferimento a questa omelia del Papa, avevo scritto un testo su i laici e l’Eucaristia nel tempo della pandemia del coronavirus (pubblicato poi in Zenit francese e italiano), partendo dall’iniziativa eucaristica dei medici di Prato, per dare la comunione ai malati di Coronavirus il giorno di Pasqua con l’accordo del vescovo. Vorrei prolungare questa riflessione a partire dall’omelia del Papa.

Commentando il racconto evangelico dell’ultima pesca miracolosa (Gv 21), Francesco insisteva sulla familiarità degli Apostoli con Gesù dopo la risurrezione, la stessa che noi siamo chiamati a vivere:

 

Anche noi cristiani, nel nostro cammino di vita siamo in questo stato di camminare, di progredire nella familiarità con il Signore (…). Una familiarità quotidiana con il Signore, è quella del cristiano. E sicuramente, hanno fatto la colazione insieme, con il pesce e il pane, sicuramente hanno parlato di tante cose con naturalezza. Questa familiarità con il Signore, dei cristiani, è sempre comunitaria. Sì, è intima, è personale ma in comunità. Una familiarità senza comunità, una familiarità senza il Pane, una familiarità senza la Chiesa, senza il popolo, senza i sacramenti è pericolosa. Può diventare una familiarità – diciamo – gnostica, una familiarità per me soltanto, staccata dal popolo di Dio. La familiarità degli apostoli con il Signore sempre era comunitaria, sempre era a tavola, segno della comunità. Sempre era con il Sacramento, con il Pane.

 

Poi, il Papa spiega il motivo di questa sua nuova insistenza, raccontando con tanta umiltà come ha accolto il “rimprovero” che gli ha fatto “un bravo vescovo”. Leggendo queste parole del Successore di Pietro, ho pensato a san Paolo che aveva rimproverato san Pietro ad Antiochia (cf Gal 2, 11-14). Bisogna citare il testo così sincero e spontaneo dell’omelia:

 

Dico questo perché qualcuno mi ha fatto riflettere sul pericolo in questo momento che stiamo vivendo, questa pandemia che ha fatto che tutti ci comunicassimo anche religiosamente attraverso i media, attraverso i mezzi di comunicazione, anche questa Messa, siamo tutti comunicanti, ma non insieme, spiritualmente insieme. Il popolo è piccolo. C’è un grande popolo: stiamo insieme, ma non insieme. Anche il Sacramento: oggi ce l’avete, l’Eucaristia, ma la gente che è collegata con noi, soltanto la comunione spirituale. E questa non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre.

Prima della Pasqua, quando è uscita la notizia che io avrei celebrato la Pasqua in San Pietro vuota, mi scrisse un vescovo – un bravo vescovo: bravo – e mi ha rimproverato. “Ma come mai, è così grande San Pietro, perché non mette 30 persone almeno, perché si veda gente? Non ci sarà pericolo …”. Io pensai: “Ma, questo che ha nella testa, per dirmi questo?”. Io non capii, nel momento. Ma siccome è un bravo vescovo, molto vicino al popolo, qualcosa vorrà dirmi. Quando lo troverò, gli domanderò. Poi ho capito. Lui mi diceva: “Stia attento a non viralizzare la Chiesa, a non viralizzare i sacramenti, a non viralizzare il popolo di Dio. La Chiesa, i sacramenti, il popolo di Dio sono concreti. È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci. E questa è la familiarità degli apostoli: non gnostica, non viralizzata, non egoistica per ognuno di loro, ma una familiarità concreta, nel popolo. La familiarità con il Signore nella vita quotidiana, la familiarità con il Signore nei sacramenti, in mezzo al popolo di Dio. Loro hanno fatto un cammino di maturità nella familiarità con il Signore: impariamo noi a farlo, pure. Dal primo momento, questi hanno capito che quella familiarità era diversa da quello che immaginavano, e sono arrivati a questo. Sapevano che era il Signore, condividevano tutto: la comunità, i sacramenti, il Signore, la pace, la festa.  Che il Signore ci insegni questa intimità con Lui, questa familiarità con Lui ma nella Chiesa, con i sacramenti, con il santo popolo fedele di Dio.

 

 

Questa riflessione autocritica di Francesco è esemplare per noi sacerdoti e illuminante per tutto il Popolo di Dio, per non accontentarci di una partecipazione “virtuale” alla Messa trasmessa dai media (anche a quella dello stesso Papa), preferendo la comunione spirituale alla comunione sacramentale al Vero corpo di Gesù (ciò che è già successo in qualche comunità religiosa). Si è visto anche il rischio di relativizzare l’Eucaristia, come se non fosse più centrale nella vita della Chiesa, meno importante della Parola, dissolvendo anche la Presenza Reale nelle altre modalità della Presenza del Signore in mezzo ai noi, e imponendo l’ideologia del così detto “digiuno eucaristico” (cf il mio scritto del 27 marzo su come vivere l’Eucaristia nel tempo del Coronavirus, pubblicato in Zenit italiano e francese).  Di fronte a questi vecchi errori, bisognerebbe rileggere la luminosa Enciclica Mysterium Fidei di san Paolo VI sull’Eucaristia alla luce del Concilio e il suo Credo del Popolo di Dio, nella grande crisi del 1968.

Nel Popolo di Dio, sono stati i laici che hanno più sofferto della totale privazione della comunione eucaristica durante la prima fase che sta adesso per finire, soprattutto nei giorni del Giovedì Santo e di Pasqua. Si può parlare di una profonda ferita eucaristica che dobbiamo adesso sanare con tanta carità, e per questo il principale rimedio è di dare abbondantemente e frequentemente a tutti il Cibo Eucaristico. E’ la nostra principale missione come sacerdoti, secondo le parole di santa Teresa di Lisieux: “Sento in me la vocazione del Sacerdote: con quanto amore, o Gesù, ti porterei tra le mani quando, alla mia voce, discenderesti dal Cielo… Con quanto amore ti darei alle anime!” (Ms B, 2v). Teresa, tanto cara a Papa Francesco, insisteva molto sulla familiarità con Gesù nell’Eucaristia.

Nella comunione ecclesiale e nel dialogo fiducioso e aperto tra i vescovi, i sacerdoti e i laici, bisogna cercare, esplorare e anche inventare tutte le vie possibili per dare Gesù Eucaristia a tutti, anche fuori della celebrazione della Messa, e fuori dei luoghi di culto, come si fa per i malati. Perché desso tutti i laici sono malati, soffrendo di questa dolorosa fame del Pane Eucaristico. Nelle chiese di Roma i sacerdoti danno la comunione ai singoli fedeli che la chiedono, ma in altri luoghi questo non è consentito.

Certo, bisogna assolutamente rispettare tutte le esigenze sanitarie fissate dai governanti, perché la pandemia non è finita, e questo limiterà molto, e forse per un lungo tempo, il numero dei partecipanti alle Messe. In Italia come in Francia, il dialogo tra i vescovi i governanti riguarda la ripresa delle Messe nei luoghi di culto: Chiese, basiliche, santuari, che sono dei luoghi pubblici. Ma bisogna ricordare che la vita sacramentale della Chiesa non è vincolata a questi luoghi di culto, che non esistevano nei tre primi secoli, al tempo delle persecuzioni. Allora c’erano le chiese domestiche, cioè le case dei fedeli.  Era lo stesso al momento della Rivoluzione Francese, quando i sacerdoti fedeli al Papa dovevano nascondersi. Più recentemente, c’era una situazione analoga nelle zone colpite dai terremoti, quando i sacerdoti non potevano celebrare nelle chiese pericolanti.

Così, si potrebbe allargare per i sacerdoti il permesso di celebrare delle Eucaristie domestiche nelle case dei fedeli, per raggiungere le famiglie, con anche il permesso di custodire la Presenza Eucaristica in queste case sicure, ricordando che già nel passato, alcune famiglie cristiane avevano questo permesso eccezionale dell’oratorio. Così, sarebbe anche possibile per queste famiglie e i loro vicini vivere insieme l’adorazione eucaristica, la celebrazione della Parola e la comunione.

Nel mio precedente testo su i laici e l’Eucaristia, ho insisto sul ruolo indispensabile dei ministri straordinari della comunione, manifestato in modo esemplare dai medici di Prato. Dovrebbero essere più numerosi, con una formazione accelerata e adatta a questa nuova situazione. In modo particolare, si potrebbe affidare la Presenza Eucaristica alla custodia delle consacrate dell’Ordo Virginum, per la loro vita di preghiera e il loro apostolato, che dovrebbe essere anche di ministri straordinari della comunione.

Più che mai dobbiamo essere uniti nella carità con tutti i membri del Popolo di Dio evitando le critiche e le polemiche, ma cercando sempre il dialogo. E’ importante superare ogni forma di clericalismo e dare grande fiducia ai laici e alla loro creatività, con l’esempio dei medici di Prato.

L’Amore di Gesù Eucaristia è stato sempre al cuore della vita e della testimonianza dei santi. Ho ricordato due esempi recenti: Il venerabile Cardinale Van Thuan e la Serva di Dio Vera Grita, cooperatrice salesiana (cf i miei testi pubblicati nel Zenit italiano e francese). Oggi è la memoria di san Luigi Maria Grignion de Montfort, ispiratore del Totus tuus di san Giovanni Paolo II, che insegnava ai battezzati il modo perfetto di vivere la santa Comunione con Maria e in Maria. Domani viene la festa di santa Caterina da Siena, patrona d’Itala e Dottore della Chiesa, Dottore del Corpo e del Sangue di Cristo e profetessa della  Comunione quotidiana.

Roma, 28 aprile 2020

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Britta Dörre

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