Il provvedimento con cui Papa Francesco abolisce il segreto pontificio per i casi di abusi sessuali si presta ad una duplice lettura. La prima è, ovviamente, interna alla Chiesa: il provvedimento in questione viene a modificare l’ordinamento giuridico canonico, ordinamento originario, quindi indipendente ed autonomo, allineandolo per quanto attiene alla questione degli abusi con i livelli di trasparenza e garanzia assicurati ormai dagli ordinamenti di più elevata civiltà giuridica.
In sostanza le ragioni che in passato avevano indotto il legislatore ecclesiastico ad introdurre, tra le materie sottoposte al segreto pontificio, i delitti più gravi contro i costumi riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede, vengono a cedere rispetto a beni che oggi si percepiscono come più elevati e degni di una particolare tutela. Innanzitutto il primato della persona umana offesa nella sua dignità, ancor più in ragione della sua debolezza per età o incapacità naturale. E poi quella piena visibilità dei passaggi nelle procedure canoniche dirette a punire il fatto criminoso, che contribuisce nel contempo al perseguimento della giustizia ed alla tutela dei soggetti coinvolti, tra cui anche quanti possono essere ingiustamente colpiti da accuse che si rivelano poi infondate.
Ma quest’ultimo provvedimento di Papa Francesco sulla riservatezza delle cause canoniche in materia di abusi, viene ad avere anche una particolare rilevanza esterna all’ordinamento canonico. Questo non è una monade che, nella storia, vive isolata rispetto agli altri ordinamenti ed alle altre esperienze giuridiche; e d’altra parte i fedeli sono al contempo cittadini e, in quanto tali, soggetti alle leggi dei loro rispettivi Stati, oltre che alle disposizioni ecclesiastiche. E il triste fenomeno degli abusi sessuali, come è ben noto, costituisce un fatto penalmente illecito per il diritto canonico così come per i diritti secolari. La caduta del segreto pontificio ha effetti generali sull’intero arco della vicenda diretta al perseguimento, in sede canonica, di comportamenti disonesti: dalla fase prodromica della denuncia, alla fase delle indagini preliminari ed a quella istruttoria, alla fase propriamente dibattimentale, fino alla decisione. Riguarda sia le procedure che si svolgono in sede locale, sia quelle che hanno luogo a Roma, presso la Congregazione per la Dottrina della Fede.
Resta comprensibilmente il segreto d’ufficio previsto dal can. 471 § 2 del codice di diritto canonico (can. 244 § 2, 2° del codice per le Chiese orientali), da rispettare in ogni fase e diretto a tutelare la buona fama, l’immagine e la sfera privata di tutte le persone coinvolte, sicché le informazioni relative devono essere trattate in modo da garantirne la sicurezza, l’integrità e la riservatezza necessaria. Ma sul punto il provvedimento è chiaro: “Il segreto d’ufficio non osta all’adempimento degli obblighi stabiliti in ogni luogo alle leggi statali, compresi gli eventuali obblighi di segnalazione, nonché all’esecuzione delle richieste esecutive delle autorità giudiziarie civili”. Ciò significa che qualora la legge statale preveda un obbligo di denuncia da parte di chi sia informato dei fatti, il venire meno del segreto pontificio e la precisazione sui limiti del segreto d’ufficio consentono tranquillamente l’adempimento di quanto previsto dalla legge, favorendo così la piena collaborazione con le autorità civili ed evitando illegittime incursioni dell’autorità civile nella sfera canonica. Lo stesso dicasi quando si tratti addirittura di provvedimenti esecutivi dell’autorità giudiziaria statale, l’inottemperanza ai quali sottoporrebbe – tra l’altro – la competente autorità ecclesiastica a gravi sanzioni per violazione della legge penale.
Giova notare che l’Istruzione ora pubblicata si premura di precisare che nessun vincolo di silenzio riguardo ai fatti di causa può essere posto, da parte di qualsivoglia autorità, a chi effettua la segnalazione di abusi, alla persona che afferma di essere stata offesa e ai testimoni. In questo modo si chiude il cerchio garantistico che il provvedimento pontificio intende assicurare. S’è detto che l’Istruzione è un atto interno alla Chiesa, ma con ricadute all’esterno dell’ordinamento canonico. È ovvio però precisare che, per quanto riguarda l’esercizio della giustizia secolare nella materia in questione, occorrerà stare a quelle che sono le disposizioni interne di ogni Stato. Per esempio, per gli ordinamenti che prevedono il perseguimento dei reati di abuso solo su querela di parte, la caduta del segreto pontificio e, nel senso accennato, del segreto d’ufficio, potranno operare solo una volta che la parte lesa abbia attivato il procedimento penale con la dovuta richiesta all’autorità giudiziaria di procedere nei confronti dell’autore del reato. Ancora: negli Stati a regime concordatario le nuove disposizioni pontificie troveranno attuazione in armonia con le peculiari norme eventualmente vigenti a tutela del sacro ministero.
Resta, infine, una diversità di fondo a seconda che le richieste delle autorità civili vengano indirizzate alle autorità ecclesiastiche locali (Vescovi, Superiori Maggiori nel caso di religiosi), o alla Santa Sede e, più precisamente, alla Congregazione per la Dottrina della Fede. In quest’ultimo caso, infatti, esse debbono avvenire attraverso quelle forme di cooperazione giudiziaria tra diverse autorità giurisdizionali, per il compimento di attività relative ad un processo (come assunzione di informazioni o di documenti ecc.), che si chiamano rogatorie. Nel primo caso, invece, tali richieste avverranno secondo le disposizioni interne dei singoli ordinamenti statali. Certo, nell’un caso e nell’altro l’autorità civile procedente dovrà formulare le richieste con indicazioni circostanziate, precise e non generiche, ma questo è un problema tutto interno agli ordinamenti statali, che esula dalla sfera di competenza dell’ordinamento canonico.
In conclusione si può dire che le modifiche del segreto pontificio ora operate da Papa Francesco vengono ad inserirsi nel lungo iter diretto alla repressione di un abominevole fenomeno, di cui il motu proprio Vos estis lux mundi, del 7 maggio scorso, costituisce un momento fondamentale; per altro verso, esse contribuiscono a favorire il passaggio dell’ordinamento canonico da un atteggiamento di diffidenza e di difesa nei confronti degli ordinamenti statali, ad un atteggiamento di fiducia e di sana collaborazione. E ciò in linea con quanto indicato dal Concilio Vaticano II nel par. 76 della costituzione pastorale Gaudium et spes.