- Raniero Cantalamessa ofmcap
“ BEATA COLEI CHE HA CREDUTO! “
Maria nell’Annunciazione
Prima Predica di Avvento 2019
Ogni anno la liturgia ci prepara al Natale con tre grandi guide: Isaia, Giovanni Battista e Maria; il profeta, il precursore, la madre. Il primo lo annunciò da lontano, il secondo lo additò presente al mondo, la madre lo portò in grembo. Per questo Avvento 2019 ho pensato di affidarci interamente alla Madre. Nessuno meglio di lei ci può predisporre a celebrare spiritualmente la nascita del Redentore.
Lei non ha celebrato l’Avvento, lo ha vissuto nella sua carne; come ogni donna incinta, Maria sa cosa significa essere “in attesa” e può aiutare anche noi ad attendere, in senso forte ed esistenziale, la venuta del nostro Redentore. Contempleremo la Madre di Dio nei tre momenti nei quali la stessa Scrittura ce la presenta al centro degli avvenimenti : l’Annunciazione, la Visitazione e il Natale.
“ Eccomi, sono la serva del Signore… “
Iniziamo dall’Annunciazione. Quando Maria giunse da Elisabetta, questa l’accolse con grande gioia e, “piena di Spirito Santo”, esclamò: Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore (Lc l, 45). L’evangelista san Luca si serve dell’episodio della Visitazione come di un mezzo per portare alla luce ciò che si era compiuto nel segreto di Nazareth e che solo nel dialogo con un’interlocutrice poteva essere manifestato e assumere un carattere oggettivo e pubblico.
La cosa grande che è avvenuta a Nazareth, dopo il saluto dell’angelo, è che Maria “ha creduto “ ed è diventata così “ Madre del Signore “. Non c’è dubbio che questo aver creduto si riferisce alla risposta di Maria all’angelo: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto (Lc 1, 38). Con queste poche e semplici parole si è consumato il più grande e decisivo atto di fede nella storia del mondo. Questa parola di Maria rappresenta il vertice di ogni comportamento religioso davanti a Dio. Con questa sua risposta – scrive Origene – è come se Maria dicesse a Dio: “Eccomi, sono una tavoletta da scrivere: lo Scrittore scriva ciò che vuole, faccia di me ciò che vuole il Signore di tutto”[1]. Egli paragona Maria alla tavoletta cerata che si usava, al suo tempo, per scrivere. Maria, diremmo noi oggi, si offre a Dio come una pagina bianca, sulla quale egli può scrivere tutto ciò che vuole.
“In un istante che non tramonta mai più e che resta valido per tutta l’eternità, la parola di Maria fu la parola dell’umanità e il suo “sì”, l’amen di tutta la creazione al “sì” di Dio “ (K. Rahner). In lei è come se Dio interpellasse di nuovo la libertà creata, offrendole una possibilità di riscatto. È questo il senso profondo del parallelismo: Eva – Maria, caro ai Padri e a tutta la tradizione. “Ciò che Eva aveva legato con la sua incredulità, Maria l’ha sciolto con la sua fede “ [2].
Dalle parole di Elisabetta: “Beata colei che ha creduto”, si vede come già nel Vangelo, la maternità divina di Maria non è intesa soltanto come maternità fisica, ma come maternità anche spirituale, fondata sulla fede. Su ciò si basa sant’Agostino quando scrive: “La Vergine Maria partorì credendo, quel che aveva concepito credendo… Dopo che l’angelo ebbe parlato, ella, piena di fede (fide plena), concependo Cristo prima nel cuore che nel grembo, rispose: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola “ 6. Alla pienezza di grazia da parte di Dio, corrisponde la pienezza della fede da parte di Maria; al “gratia plena“, il “fide plena“.
Sola con Dio
A prima vista, quello di Maria fu un atto di fede facile e perfino scontato. Diventare madre di un re che avrebbe regnato in eterno sulla casa di Giacobbe, madre del Messia! Non era quello che ogni fanciulla ebrea sognava di essere? Ma questo è un modo di ragionare assai umano e carnale. La vera fede non è mai un privilegio o un onore, ma è sempre un po’ un morire, e così fu soprattutto la fede di Maria in questo momento. Anzitutto, Dio non inganna mai, non strappa mai alle creature dei consensi surrettiziamente, nascondendo loro le conseguenze, ciò cui andranno incontro.
Lo vediamo in tutte le grandi chiamate di Dio. A Geremia preannuncia: Ti muoveranno guerra (Ger l, 19) e di Saulo, dice ad Anania: Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome (At 9, 16). Solo con Maria, per una missione come la sua, avrebbe agito diversamente? Nella luce dello Spirito Santo, che accompagna la chiamata di Dio, ella ha certamente intravisto che anche il suo cammino non sarebbe stato diverso da quello di tutti gli altri chiamati. Del resto, Simeone, ben presto, darà espressione a questo presentimento, quando le dirà che una spada le avrebbe trapassato l’anima.
Ma già sul piano semplicemente umano, Maria viene a trovarsi in una totale solitudine. A chi può spiegare ciò che è avvenuto in lei? Chi le crederà quando dirà che il bimbo che porta nel grembo è “opera dello Spirito Santo“? Questa cosa non è avvenuta mai prima di lei e non avverrà mai dopo di lei. Maria conosceva certamente ciò che era scritto nella legge di Mosè, e cioè che la fanciulla che al momento delle nozze non fosse stata trovata in stato di verginità, doveva essere fatta uscire all’ingresso della casa del padre e lapidata dalla gente del villaggio (cfr. Dt 22, 20 s).
Noi parliamo volentieri oggigiorno del rischio della fede, intendendo, in genere, con ciò, il rischio intellettuale; ma per Maria si trattò di un rischio reale! Carlo Carretto, nel suo libretto sulla Madonna, intitolato Beata te che hai creduto (Ed. Paoline 1986), narra come giunse a scoprire la fede di Maria. Quando viveva nel deserto, aveva saputo da alcuni suoi amici Tuareg che una ragazza dell’accampamento era stata promessa sposa a un giovane, ma che non era andata ad abitare con lui, essendo troppo giovane. Aveva collegato questo fatto con quello che Luca dice di Maria. Perciò ripassando, dopo due anni, in quello stesso accampamento, chiese notizie della ragazza. Notò un certo imbarazzo tra i suoi interlocutori e più tardi uno di loro, avvicinandosi con grande segretezza, fece un segno: passò una mano sulla gola con il gesto caratteristico degli arabi quando vogliono dire: “E stata sgozzata “. Si era scoperta incinta prima del matrimonio e l’onore della famiglia esigeva quella fine. Allora ripensò a Maria, agli sguardi impietosi della gente di Nazareth, agli ammiccamenti, capì la solitudine di Maria, e quella notte stessa la scelse come compagna di viaggio e maestra della sua fede .
Maria è l’unica ad aver creduto “in situazione di contemporaneità”, cioè mentre la cosa accadeva, prima di ogni conferma e di ogni convalida da parte degli eventi e della storia 8. Ha creduto in totale solitudine. Gesù disse a Tommaso: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno! (Gv 20, 29): Maria è la prima di coloro che hanno creduto senza aver ancora visto.
Di Abramo, in una situazione simile, quando anche a lui fu promesso un figlio benché in tarda età, la Scrittura dice, quasi con aria di trionfo e di stupore: Abramo ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia (Gn 15, 6). Oh, quanto ciò ora si dice più trionfalmente, presso di noi, di Maria! Maria ebbe fede in Dio e ciò le fu accreditato come giustizia. Il più grande atto di giustizia mai compiuto sulla terra da un essere umano, dopo quello di Gesù, che però è anche Dio.
San Paolo dice che Dio ama chi dona con gioia (2 Cor 9, 7) e Maria ha detto a Dio il suo “ sì “ con gioia. Il verbo con cui Maria esprime il suo consenso, e che è tradotto con “ fiat “ o con “ si faccia “, nell’originale, è all’ottativo (génoito); esso non esprime una semplice rassegnata accettazione, ma vivo desiderio. Come se dicesse: “ Desidero anch’io, con tutto il mio essere, quello che Dio desidera; si compia presto ciò che egli vuole “. Davvero, come diceva sant’Agostino, prima ancora che nel suo corpo ella concepì Cristo nel suo cuore.
Ma Maria non disse “fiat” che è parola latina; non disse neppure “ génoito “ che è parola greca. Che cosa disse allora? Qual è la parola che, nella lingua parlata da Maria, corrisponde più ‘ da vicino a questa espressione? Cosa diceva un ebreo quando voleva dire “ così sia “? Diceva “ amen! “ Se è lecito cercare di risalire, con pia riflessione, all’ipsissima vox, alla parola esatta uscita dalla bocca di Maria – o almeno alla parola che c’era, a questo punto, nella fonte giudaica usata da Luca -, questa deve essere stata proprio la parola “ amen “. Amen – parola ebraica, la cui radice significa solidità, certezza – era usata nella liturgia come risposta di fede alla parola di Dio. Ogni volta che, al termine di certi Salmi, nella Volgata si legge “ fiat, fiat “ (nella versione dei Settanta: génoito, génoito), l’originale ebraico, conosciuto da Maria, porta: Amen, amen!
Con l’Amen si riconosce quel che è stato detto come parola ferma, stabile, valida e vincolante. La sua traduzione esatta, quando è risposta alla parola di Dio, è questa: “Così è e così sia“. Indica fede e obbedienza insieme; riconosce che quel che Dio dice è vero e vi si sottomette. E dire “ sì “ a Dio. In questo senso lo troviamo sulla bocca stessa di Gesù: “ Sì, amen, Padre, perché così è piaciuto a te… “ (cf Mt 11, 26). Egli anzi è l’Amen personificato: Così parla l’Amen… (Ap 3, 14) ed è per mezzo di lui che ogni altro “ amen “ pronunciato sulla terra sale ormai a Dio (cf 2 Cor l, 20). Come il “ fiat “ di Maria precorre quello di Gesù nel Getsemani, così il suo “amen” precorre quello del Figlio. Anche Maria è un “ amen” personificato a Dio.
Nella scia di Maria
Come la scia di un bel vascello va allargandosi fino a sparire e a perdersi all’orizzonte, ma comincia con una punta, che è la punta stessa del vascello, così è dell’immensa scia dei credenti che formano la Chiesa. Essa comincia con una punta e questa punta è la fede di Maria, il suo “ fiat “. La fede, unitamente alla sua sorella, la speranza, è l’unica cosa che non comincia con Cristo, ma con la Chiesa e perciò con Maria, che ne è il primo membro, in ordine di tempo e in ordine di importanza. Gesú non può essere il soggetto della fede cristiana perché ne è l’oggetto. La lettera agli Ebrei ci dà una lista di coloro che hanno avuto fede: Per fede Abele… Per fede, Abramo… Per fede, Mosè… (Eb 11, 4 ss). Ma questa lista non include Gesù. Gesù è chiamato “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12, 2), non uno dei credenti, sia pure il primo.
Per il solo fatto di credere, noi ci troviamo dunque nella scia di Maria e vogliamo ora approfondire cosa significa seguire davvero la sua scia. Nel leggere ciò che riguarda la Madonna nella Bibbia, la Chiesa ha seguito, fin dal tempo dei Padri, un criterio che si può esprimere così: “Maria, vel Ecclesia, vel anima “, Maria, ossia la Chiesa, ossia l’anima. Il senso è che quello che nella Scrittura si dice specialmente di Maria, va inteso universalmente della Chiesa e ciò che si dice universalmente della Chiesa va inteso singolarmente per ogni anima credente.
Attenendoci anche noi a questo principio, vediamo ora ciò che la fede di Maria ha da dire prima alla Chiesa nel suo insieme e poi a ciascuno di noi, cioè a ogni singola anima. Mettiamo in luce prima le implicazioni ecclesiali o teologiche della fede di Maria e poi quelle personali o ascetiche. In questo modo, la vita della Madonna non serve solo ad accrescere la nostra privata devozione, ma anche la nostra comprensione profonda della Parola di Dio e dei problemi della Chiesa.
Anzitutto Maria ci parla dell’importanza della fede. Non c’è suono, né musica là dove non c’è un orecchio capace di ascoltare, per quanto risuonino nell’aria melodie e accordi sublimi. Non c’è grazia, o almeno la grazia non può operare, se non trova la fede ad accoglierla. Come la pioggia non può far germogliare nulla finché non trova una terra che l’accoglie, così la grazia se non trova la fede. È per la fede che noi siamo “ sensibili “ alla grazia. La fede è la base di tutto; è la prima e la più “buona” delle opere da compiere. Opera di Dio è questa, dice Gesù: che crediate (cf Gv 6, 29). La fede è così importante perché è l’unica che mantiene alla grazia la sua gratuità. Non cerca di invertire le parti, facendo di Dio un debitore e dell’uomo un creditore. Per questo essa è tanto cara a Dio che fa dipendere dalla fede praticamente tutto, nei suoi rapporti con l’uomo.
Grazia e fede: sono posti, in tal modo, i due pilastri della salvezza; sono dati all’uomo i due piedi per camminare o le due ali per volare. Non si tratta però di due cose parallele, quasi che da Dio venisse la grazia e da noi la fede, e la salvezza dipendesse così, in parti eguali, da Dio e da noi, dalla grazia e dalla libertà. Guai se uno pensasse: la grazia dipende da Dio, ma la fede dipende da me; insieme, io e Dio facciamo la salvezza! Avremmo fatto di nuovo, di Dio, un debitore, uno che dipende in qualche modo da noi, e che deve condividere con noi il merito e la gloria. San Paolo toglie ogni dubbio quando dice: Per grazia siete salvi mediante la fede e ciò (cioè il credere, o, più globalmente, l’essere salvi per grazia mediante la fede, che è la stessa cosa) non viene da voi, ma è dono di Dio perché nessuno possa vantarsene (Ef 2, 8 s). Anche in Maria l’atto di fede fu suscitato dalla grazia dello Spirito Santo.
Quello che ora ci interessa è mettere in luce alcuni aspetti della fede di Maria che possono aiutare la Chiesa di oggi a credere più pienamente. L’atto di fede di Maria è quanto mai personale, unico e irrepetibile. È un fidarsi di Dio e un affidarsi completamente a Dio. E un rapporto da persona a persona. Questo si chiama fede soggettiva. L’accento è qui sul fatto di credere, più che sulle cose credute. Ma la fede di Maria è anche quanto mai oggettiva, comunitaria. Ella non crede in un Dio soggettivo, personale, avulso da tutto, e che si rivela solo a lei nel segreto. Crede invece al Dio dei Padri, al Dio del suo popolo. Riconosce nel Dio che le si rivela, il Dio delle promesse, il Dio di Abramo e della sua discendenza.
Ella si inserisce umilmente nella schiera dei credenti, diventa la prima credente della nuova alleanza, come Abramo era stato il primo credente dell’antica alleanza. Il Magnificat è tutto pieno di questa fede basata sulle Scritture e di riferimenti alla storia del suo popolo. Il Dio di Maria è un Dio dai tratti squisitamente biblici: Signore, Potente, Santo, Salvatore. Maria non avrebbe creduto all’angelo, se le avesse rivelato un Dio diverso, che ella non avesse potuto riconoscere come il Dio del suo popolo Israele. Anche esternamente, Maria si adegua a questa fede. Si assoggetta infatti a tutte le prescrizioni della legge; fa circoncidere il Bambino, lo presenta al tempio, si sottopone lei stessa al rito della purificazione, sale a Gerusalemme per la Pasqua.
Ora tutto questo è per noi di grande insegnamento. Anche la fede, come la grazia, è andata soggetta, lungo i secoli, a un fenomeno di analisi e di frantumazione, per cui si hanno innumerevoli specie e sottospecie di fede. I fratelli protestanti, per esempio, valorizzano di più quel primo aspetto, soggettivo e personale, della fede. “ Fede – scrive Lutero – è una fiducia viva e audace nella grazia di Dio “; è una “ ferma fiducia “ 13. In alcune correnti del protestantesimo, come nel Pietismo, dove questa tendenza è portata all’estremo, i dogmi e le cosiddette verità di fede non hanno quasi alcuna rilevanza. L’atteggiamento interiore, personale, verso Dio è la cosa più importante e quasi esclusiva.
Nella tradizione cattolica e ortodossa ha avuto invece, fin dall’antichità, un’importanza grandissima il problema della retta fede o dell’ortodossia. Il problema delle cose da credere prese, ben presto, il sopravvento sull’aspetto soggettivo e personale del credere, cioè sull’atto di fede. I trattati dei Padri, intitolati “ Sulla fede “ (De fide) non accennano nemmeno alla fede come atto soggettivo, come fiducia e abbandono, ma si preoccupano di stabilire quali sono le verità da credere in comunione con tutta la Chiesa, in polemica contro gli eretici. In seguito alla Riforma, in reazione all’accentuazione unilaterale della fede-fiducia, questa tendenza si è accentuata nella Chiesa cattolica. Credere significa principalmente aderire al credo della Chiesa. San Paolo diceva che “ con il cuore si crede e con la bocca si fa la professione di fede “ (cf Rm 10, 10): la “professione “ della retta fede ha preso spesso il sopravvento sul “ credere con il cuore “.
Maria ci spinge a ritrovare, anche in questo campo, “ l’intero “ che è tanto più ricco e più bello di ogni singola parte. Non basta avere una fede solo soggettiva, una fede che sia un abbandonarsi a Dio nell’intimo della propria coscienza. È tanto facile, per questa strada, rimpicciolire Dio alla propria misura. Questo avviene quando ci si fa una propria idea di Dio, basata su una propria interpretazione personale della Bibbia, o su l’interpretazione del proprio ristretto gruppo, e poi si aderisce ad essa con tutte le forze, magari anche con fanatismo, senza accorgersi che ormai si sta credendo in se stessi più che in Dio e che tutta quella incrollabile fiducia in Dio, altro non è che una incrollabile fiducia in se stessi.
Non basta però neppure una fede solo oggettiva e dommatica, se questa non realizza l’intimo, personale contatto, da io a tu, con Dio. Essa diventa facilmente una fede morta, un credere per interposta persona o per interposta istituzione, che crolla non appena entra in crisi, per qualsiasi ragione, il proprio rapporto con l’istituzione che è la Chiesa. È facile, in questo modo, che un cristiano arrivi alla fine della vita, senza aver mai fatto un atto di fede libero e personale, che è l’unico che giustifichi il nome di “ credente “.
Bisogna dunque credere personalmente, ma nella Chiesa; credere nella Chiesa, ma personalmente. La fede dommatica della Chiesa non mortifica l’atto personale e la spontaneità del credere, ma anzi lo preserva e permette di conoscere e abbracciare un Dio immensamente più grande di quello della mia povera esperienza. Nessuna creatura infatti è capace di abbracciare, con il suo atto di fede, tutto quello che, di Dio, si può conoscere. La fede della Chiesa è come il grande angolare che permette di cogliere e fotografare, di un panorama, una porzione molto più vasta del semplice obiettivo. Nell’unirmi alla fede della Chiesa, io faccio mia la fede di tutti quelli che mi hanno preceduto: degli apostoli, dei martiri, dei dottori. I Santi, non potendo portare con sé in cielo la fede – dove essa non serve più -, l’hanno lasciata in eredità alla Chiesa.
C’è una potenza incredibile racchiusa in quelle parole: “Io credo in Dio Padre Onnipotente..”. Il mio piccolo “ io “, unito e fuso con quello grande di tutto il corpo mistico di Cristo, passato e presente, forma un grido più potente del fragore del mare che fa tremare dalle fondamenta il regno delle tenebre.
Crediamo anche noi!
Passiamo ora a considerare le implicazioni personali e ascetiche che scaturiscono dalla fede di Maria. Sant’Agostino, dopo aver affermato, nel testo citato sopra, che Maria “ piena di fede, partorì credendo quel che aveva concepito credendo “, trae da questo un’applicazione pratica dicendo: “ Maria credette e in lei quel che credette si avverò. Crediamo anche noi, perché quel che si avverò in lei possa giovare anche a noi” [3].
Crediamo anche noi! La contemplazione della fede di Maria ci spinge a rinnovare anzitutto il nostro personale atto di fede e di abbandono in Dio. Di qui l’importanza decisiva di dire a Dio, una volta nella vita, un “ si faccia, fiat “, come quello di Maria. Quando questo avviene, esso è un atto avvolto nel mistero perché coinvolge insieme grazia e libertà; è una specie di concepimento. La creatura non può farlo da sola; Dio perciò l’aiuta senza toglierle la sua libertà.
Che si deve dunque fare? E’ semplice: dopo averci pregato, perché non sia una cosa superficiale, dire a Dio con le parole stesse di Maria: “Eccomi, sono il servo, o la serva, del Signore: si faccia di me secondo la tua parola! “. Dico amen, sì, mio Dio, a tutto il tuo progetto, ti cedo me stesso!
Dobbiamo però ricordarci che Maria disse il suo “ fiat “ all’ottativo, con desiderio e gioia. Quante volte noi ripetiamo quelle parole in uno stato d’animo di mal celata rassegnazione, come chi, chinando la testa, dice a denti stretti: “ Se proprio non si può farne a meno, ebbene si faccia la tua volontà! “. Maria ci insegna a dirlo diversamente. Sapendo che la volontà di Dio a nostro riguardo è infinitamente più bella e più ricca di promesse, di ogni nostro progetto; sapendo che Dio è amore infinito e che nutre per noi “ progetti di pace e non di afflizione” (cf Ger 29, 11), noi diciamo, pieni di desiderio e quasi con impazienza, come Maria: “ Si compia presto su di me, o Dio, la tua volontà di amore e di pace! “.
Con ciò si realizza il senso della vita umana e la sua più grande dignità. Dire “ sì “, “ amen “, a Dio non umilia la dignità dell’uomo, come pensa talvolta l’uomo d’oggi, ma la esalta. Del resto, qual è l’alternativa a questo “ amen “ detto a Dio? Proprio il pensiero contemporaneo che ha fatto dell’analisi dell’esistenza il suo oggetto primario, ha dimostrato chiaramente che dire “ amen “ bisogna e se non si dice a Dio che è amore, lo si deve dire a qualcos’altro che è solo fredda e paralizzante necessità: al destino, al fato.
“ Il mio giusto vivrà di fede “
Tutti devono e possono imitare Maria nella sua fede, ma in modo particolare deve farlo il sacerdote e chiunque è chiamato, in qualche modo, a trasmettere ad altri la fede e la Parola. “Il mio giusto – dice Dio – vivrà di fede “ (cf Ab 2, 4; Rm 1, 17): questo vale, a un titolo speciale, per il sacerdote: Il mio sacerdote – dice Dio – vivrà di fede. Egli è l’uomo della fede. Il peso specifico di un sacerdote è dato dalla sua fede. Egli inciderà nelle anime nella misura della sua fede. I1 compito del sacerdote o del pastore in mezzo al popolo, non è solo quello di distributore di sacramenti e di servizi, ma anche quello di suscitatore e testimone della fede. Egli sarà veramente uno che guida, che trascina, nella misura con cui crederà e avrà ceduto la sua libertà a Dio, come Maria.
Il grande essenziale segno, ciò che i fedeli colgono immediatamente in un sacerdote e in un pastore, è se “ ci crede “: se crede in ciò che dice e in ciò che celebra. Chi dal sacerdote cerca anzitutto Dio, se ne accorge subito; chi non cerca da lui Dio, può essere facilmente tratto in inganno e indurre in inganno lo stesso sacerdote, facendolo sentire importante, brillante, al passo coi tempi, mentre, in realtà, è anche lui, come si diceva nel capitolo precedente, un uomo “ vuoto “. Perfino il non credente che si accosta al sacerdote in uno spirito di ricerca, capisce subito la differenza. Quello che lo provocherà e che potrà metterlo salutarmente in crisi, non sono in genere le più dotte discussioni della fede, ma la semplice fede. La fede è contagiosa. Come non si contrae contagio, sentendo solo parlare di un virus o studiandolo, ma venendone a contatto, così è con la fede.
La forza di un servitore di Dio è proporzionata alla forza della sua fede. A volte si soffre e magari ci si lamenta in preghiera con Dio, perché la gente abbandona la Chiesa, non lascia il peccato, perché parliamo parliamo, e non succede niente. Un giorno gli apostoli tentarono di cacciare il demonio da un povero ragazzo ma senza riuscirvi. Dopo che Gesù ebbe cacciato, lui, lo spirito cattivo dal ragazzo, si accostarono a Gesù in disparte e gli chiesero: Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo? E Gesù rispose: Per la vostra poca fede (Mi 17, 19-20).
Il mondo, abbiamo detto, è solcato, come il mare, dalla scia di un bel vascello, che è la scia di fede aperta da Maria. Entriamo in questa scia. Crediamo anche noi perché quel che si avverò in lei si avveri anche in noi. Invochiamo la Madonna con il dolce titolo di Virgo fidelis: Vergine credente, prega per noi!
[1] Origene, Commento al vangelo di Luca, framm. 18 (GCS, 49, p. 227).
[2] S. Ireneo, Adv. Haer III,22,4.
[3] S. Agostino, Discorsi, 215,4 (PL 38,1074).