Santi Pietro e Paolo Apostoli – Santa Messa Basilica di San Pietro - Foto © Servizio Fotografico - Vatican Media

"Solo quando sperimentiamo il perdono di Dio rinasciamo davvero"

Benedizione dei Palli e Celebrazione Eucaristica nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo

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Nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo [29 giugno 2019], alle ore 9.20, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha benedetto i Palli, presi dalla Confessione dell’Apostolo Pietro e destinati agli Arcivescovi Metropoliti nominati nel corso dell’anno. Il Pallio verrà poi imposto a ciascun Arcivescovo Metropolita dal Rappresentante Pontificio nella rispettiva Sede Metropolitana. Dopo il rito di benedizione dei Palli, il Papa ha presieduto la Celebrazione Eucaristica con i Cardinali, con gli Arcivescovi Metropoliti e con i Vescovi Sacerdoti. Come di consueto in occasione della Festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Patroni della Città di Roma, era presente alla Santa Messa una Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, inviata da Sua Beatitudine Bartolomeo e guidata da Sua Eminenza Job, Arcivescovo di Telmessos, Rappresentante del Patriarcato ecumenico presso il Consiglio Ecumenico delle Chiese e Copresidente della Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. L’Arcivescovo Job era accompagnato da Sua Grazia Maximos, Vescovo di Melitini, e dal Rev.do Bodphorios Mangafas, Diacono Patriarcale. Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la lettura del Vangelo, il Santo Padre ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:
Omelia del Santo Padre
Gli Apostoli Pietro e Paolo stanno davanti a noi come testimoni. Non si sono mai stancati di annunciare, di vivere in missione, in cammino, dalla terra di Gesù fino a Roma. Qui lo hanno testimoniato sino alla fine, dando la vita come martiri. Se andiamo alle radici della loro testimonianza, li scopriamo testimoni di vita, testimoni di perdono e testimoni di Gesù. Testimoni di vita.
Eppure le loro vite non sono state pulite e lineari. Entrambi erano di indole molto religiosa: Pietro discepolo della prima ora (cfr Gv 1,41), Paolo persino «accanito nel sostenere le tradizioni dei padri» (Gal 1,14). Ma fecero sbagli enormi: Pietro arrivò a rinnegare il Signore, Paolo a perseguitare la Chiesa di Dio. Tutti e due furono messi a nudo dalle domande di Gesù: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» (Gv 21,15); «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4). Pietro rimase addolorato dalle domande di Gesù, Paolo accecato dalle sue parole.
Gesù li chiamò per nome e cambiò la loro vita. E dopo tutte queste avventure si fidò di loro, di due peccatori pentiti. Potremmo chiederci: perché il Signore non ci ha dato due testimoni integerrimi, dalla fedina pulita, dalla vita immacolata? Perché Pietro, quando c’era Giovanni? Perché Paolo e non Barnaba? C’è un grande insegnamento in questo: il punto di partenza della vita cristiana non è l’essere degni; con quelli che si credevano bravi il Signore ha potuto fare ben poco. Quando ci riteniamo migliori degli altri è l’inizio della fine. Il Signore non compie prodigi con chi si crede giusto, ma con chi sa di essere bisognoso. Non è attratto dalla nostra bravura, non è per questo che ci ama. Egli ci ama così come siamo e cerca gente che non basta a sé stessa, ma è disposta ad aprirgli il cuore.
Pietro e Paolo sono stati così, trasparenti davanti a Dio. Pietro lo disse subito a Gesù: «sono un peccatore» (Lc 5,8). Paolo scrisse di essere «il più piccolo tra gli apostoli, non degno di essere chiamato apostolo» (1 Cor 15,9). Nella vita hanno mantenuto questa umiltà, fino alla fine: Pietro crocifisso a testa in giù, perché non si credeva degno di imitare il suo Signore; Paolo sempre affezionato al suo nome, che significa “piccolo”, e dimentico di quello ricevuto alla nascita, Saulo, nome del primo re del suo popolo. Hanno compreso che la santità non sta nell’innalzarsi, ma nell’abbassarsi: non è una scalata in classifica, ma l’affidare ogni giorno la propria povertà al Signore, che compie grandi cose con gli umili.
Qual è stato il segreto che li ha fatti andare avanti nelle debolezze? Il perdono del Signore. Riscopriamoli dunque testimoni di perdono. Nelle loro cadute hanno scoperto la potenza della misericordia del Signore, che li ha rigenerati. Nel suo perdono hanno trovato una pace e una gioia insopprimibili. Con quello che avevano combinato avrebbero potuto vivere di sensi di colpa: quante volte Pietro avrà ripensato al suo rinnegamento! Quanti scrupoli per Paolo, che aveva fatto del male a tanti innocenti! Umanamente avevano fallito. Ma hanno incontrato un amore più grande dei loro fallimenti, un perdono così forte da guarire anche i loro sensi di colpa. Solo quando sperimentiamo il perdono di Dio rinasciamo davvero. Da lì si riparte, dal perdono; lì ritroviamo noi stessi: nella confessione dei nostri peccati.
Testimoni di vita, testimoni di perdono, Pietro e Paolo sono soprattutto testimoni di Gesù. Egli nel Vangelo di oggi domanda: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Le risposte evocano personaggi del passato: «Giovanni il Battista, Elia, Geremia o qualcuno dei profeti». Persone straordinarie, ma tutte morte. Pietro invece risponde: «Tu sei il Cristo» (cfr Mt 16,13.14.16). Cristo, cioè Messia. È una parola che non indica il passato, ma il futuro: il Messia è l’atteso, la novità, colui che porta nel mondo l’unzione di Dio. Gesù non è il passato, ma il presente e il futuro. Non è un personaggio lontano da ricordare, ma Colui al quale Pietro dà del tu: Tu sei il Cristo. Per il testimone, più che un personaggio della storia, Gesù è la persona della vita: è il nuovo, non il già visto; la novità del futuro, non un ricordo del passato. Dunque, testimone non è chi conosce la storia di Gesù, ma chi vive una storia di amore con Gesù. Perché il testimone, in fondo, questo solo annuncia: che Gesù è vivo ed è il segreto della vita.
Vediamo infatti Pietro che, dopo aver detto: Tu sei il Cristo, aggiunge: «il Figlio del Dio vivente» (v. 16). La testimonianza nasce dall’incontro con Gesù vivo. Anche al centro della vita di Paolo troviamo la stessa parola che trabocca dal cuore di Pietro: Cristo. Paolo ripete questo nome in continuazione, quasi quattrocento volte nelle sue lettere! Per Lui Cristo non è solo il modello, l’esempio, il punto di riferimento: è la vita. Scrive: «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21). Gesù è il suo presente e il suo futuro, al punto che giudica il passato spazzatura di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo (cfr Fil 3,7-8).
Fratelli e sorelle, davanti a questi testimoni, chiediamoci: “Io rinnovo ogni giorno l’incontro con Gesù?”. Magari siamo dei curiosi di Gesù, ci interessiamo di cose di Chiesa o di notizie religiose. Apriamo siti e giornali e parliamo di cose sacre. Ma così si resta al che cosa dice la gente, ai sondaggi, al passato, alle statistiche. A Gesù interessa poco. Egli non vuole reporter dello spirito, tanto meno cristiani da copertina o da statistiche. Egli cerca testimoni, che ogni giorno Gli dicono: “Signore, tu sei la mia vita”. Incontrato Gesù, sperimentato il suo perdono, gli Apostoli hanno testimoniato una vita nuova: non si sono più risparmiati, hanno donato sé stessi. Non si sono accontentati di mezze misure, ma hanno assunto l’unica misura possibile per chi segue Gesù: quella di un amore senza misura. Si sono “versati in offerta” (cfr 2 Tm 4,6).
Chiediamo la grazia di non essere cristiani tiepidi, che vivono di mezze misure, che lasciano raffreddare l’amore. Ritroviamo nel rapporto quotidiano con Gesù e nella forza del suo perdono le nostre radici. Gesù, come a Pietro, chiede anche a noi: “Chi sono io per te?”; “mi ami tu?”. Lasciamo che queste parole ci entrino dentro e accendano il desiderio di non accontentarci del minimo, ma di puntare al massimo, per essere anche noi testimoni viventi di Gesù.
Oggi si benedicono i Palli per gli Arcivescovi Metropoliti nominati nell’ultimo anno. Il pallio ricorda la pecorella che il Pastore è chiamato a portare sulle spalle: è segno che i Pastori non vivono per sé stessi, ma per le pecore; è segno che, per possederla, la vita bisogna perderla, donarla. Condivide con noi la gioia di oggi, secondo una bella tradizione, una Delegazione del Patriarcato ecumenico, che saluto con affetto. La vostra presenza, cari fratelli, ci ricorda che non possiamo risparmiarci nemmeno nel cammino verso l’unità piena tra i credenti, nella comunione a tutti i livelli. Perché insieme, riconciliati da Dio e perdonatici a vicenda, siamo chiamati a essere testimoni di Gesù con la nostra vita.

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ZENIT Staff

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