23 – 24 – 25 dicembre 2018
Dall’avvento all’avventura.
1) Il natale del Precursore.
Nel vangelo di domenica 23 dicembre 2012, ascoltiamo, fra l’altro, la domanda di Elisabetta alla Madonna: “A che devo che la madre del mio Signore venga a me?” (Lc 1,43). E mentre la madre di Gesù, il Salvatore, rispondeva al saluto della madre di Giovanni il Precursore, Giovanni, esultando nel grembo della madre, salutava Gesù: tutti e due non apparivano nella carne, ed tutti e due erano fonte di gioia. Cristo era ospite del grembo di Maria, lieta di portare questa presenza, Giovanni era portato dal seno di Elisabetta, lieta di non essere più sterile. Come non applicare al Precursore le parole del profeta Geremia: “Prima di formarti nel grembo, ti conoscevo, prima che uscissi dal ventre, ti avevo santificato; ti ho stabilito profeta delle nazioni”(1,5).
In effetti, fin dall’inizio della vita di Gesù c’è il profeta Giovanni Battista, che svolge appunto il ruolo di precursore. Dobbiamo tener presente che Giovanni, in quanto figlio di Zaccaria e di Elisabetta, entrambi di famiglie sacerdotali, non solo è l’ultimo dei profeti, ma rappresenta anche l’intero sacerdozio dell’Antica Alleanza e perciò prepara gli uomini al culto spirituale della Nuova Alleanza, inaugurato da Gesù (cfr Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù, pp 27-28). Il natale del Precursore ci invita ad essere gli uni per gli altri segno di grazia e salvezza, in-segnando vale a dire indicando Cristo come l’Eterno fiorito nel tempo, indicando a tutti –come da grande farà il Battista- l’Agnello innocente che toglie i peccati del mondo.
E’ importante, poi, sottolineare che Elisabetta e Maria sono donne contente perché sono diventate madri di santi. La sterile nella sua vecchiaia ha messo al mondo Giovanni il Battista, la Vergine ha partorito Gesù, il cui nome vuole dire: “Dio salva”. Maria è benedetta tra tutte le donne e tutte le donne in lei sono benedette. Con questa benedizione tutte le donne possono essere madri di santi.
Questa vale veramente per tutte le donne sia che siano consacrate nel matrimonio o con il voto di castità.
“La verginità e il celibato per il regno di Dio non solo non contraddicono la dignità del matrimonio, ma la presuppongono e la confermano. Il matrimonio e la verginità sono i due modi di esprimere e di vivere l’unico mistero dell’alleanza di Dio con il suo popolo. Quando non si ha stima del matrimonio, non può esistere neppure la verginità consacrata; quando la sessualità umana non è ritenuta un grande valore donato dal Creatore, perde significato il rinunciarvi per il regno dei cieli.
Rendendo libero in modo speciale il cuore dell’uomo, «così da accenderlo maggiormente di carità verso Dio e verso tutti gli uomini», la verginità testimonia che il regno di Dio e la sua giustizia sono quella perla preziosa che va preferita a ogni altro valore sia pure grande, e va anzi cercato come l’unico valore definitivo. È per questo che la chiesa, durante tutta la sua storia, ha sempre difeso la superiorità di questo carisma nei confronti di quello del matrimonio, in ragione del legame del tutto singolare che esso ha con il regno di Dio. Pur avendo rinunciato alla fecondità fisica, la persona vergine diviene spiritualmente feconda, padre e madre di molti, cooperando alla realizzazione della famiglia secondo il disegno di Dio.
Gli sposi cristiani hanno perciò il diritto di aspettarsi dalle persone vergini il buon esempio e la testimonianza della fedeltà alla loro vocazione fino alla morte. Come per gli sposi la fedeltà diventa talvolta difficile ed esige sacrificio, mortificazione e rinnegamento di sé, così può avvenire anche per le persone vergini. La fedeltà di queste, anche nella prova eventuale, deve edificare la fedeltà di quelli. (Cfr Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, nn. 11 e 16).
2) Il Natale del Salvatore.
La notte tra il 24 ed il 25 dicembre, celebriamo la nascita di Gesù Cristo. E ne siamo profondamente contenti. Non solo perché è la festa del Figlio di Maria, ma è la festa di noi, figli di Maria, ai quali è concesso di incontrare il Figlio di Dio, il Fratello nostro. Se un incontro, ogni vero incontro cambia la vita, quello con Dio la cambia rinnovandola.
Ce ne danno l’esempio i Pastori.
La notte in cui nacque Gesù, l’atteso delle genti, l’angelo apparve ai pastori dell’area di Betlemme e disse: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2, 10-12). E quando i pastori arrivarono alla Grotta, si inginocchiarono e adorarono in silenzio il mistero dell’Amore di Dio fatto carne. Questi poveri uomini stettero in silenzio davanti a Dio e misero la loro speranza in Lui. Confidarono nel Signore, cercarono la gioia in Dio loro salvatore, e i desideri del loro cuore furono esauditi (cfr Sal 36 (37), 2-3.7).
Con i canti e le parole angeliche e con la luce splendente nel cielo, Dio non solo invita i pastori ma li attira alla grotta dove il Figlio Gesù è nato. Quella povera gente si mosse e videro qualcosa di meraviglioso: un corpo di un bambino, che irradiava l’Eterna Verità e Bellezza: “La verità quando si esprime diventa amore e l’amore quando fiorisce diventa bellezza” (p. Pavel Florenskij).
Noi dovremmo vivere davanti a Dio come i pastori. Nella notte santa, il cielo esultava di gioia, ma quando hanno veduto, Gesù, Figlio di Dio, hanno veduto un bambino in una mangiatoia, deposto in una mangiatoia in una povera grotta. “Tutto il cielo gioiva, ma esultava per questa umiltà senza limiti di un Dio che si era spogliato di tutto per donare tutto agli uomini che Egli amava.
Rimanere dinanzi al Bambino Gesù ecco quello che io credo sarebbe opportuno per noi, per imparare come si vive, per imparare come si ama. Che il Signore ci doni una umiltà vera, che ci doni l’amore all’umiltà, che il Signore ci faccia comprendere che non c’è altro cammino per giungere a Lui che quello di spogliarci sempre di più di tutto perché Lui solo rimanga per noi”. (Divo Barsotti), il Verbo della Vita, il Verbo che si fa carne, il Verbo che si fa bellezza da contemplare e da vivere.
Il Natale di Cristo, nato poveramente, non è un racconto di cui emozionarsi, è l’annuncio di una presenza scomoda ma lieta. E’ sconvolgente questa “povertà” di Dio ed è pure sconvolgente non tanto il fatto che dei pastori, poveri, e dei Re Magi ricchi sono andati ad una grotta e si sono messi in ginocchio davanti a un bambino povero, deposto in una mangiatoia povera.
Cosa li ha spinti a lasciare la tranquillità dell’ovile o della reggia per andare a Betlemme? La loro natura umana? Secondo me no. Fu la grazia che diede loro l’audacia di intraprendere la strada, che era indicata dalla luce degli angeli per i pastori e della stella per i Re Magi.
3) Perché Gesù scelse Betlemme e non Nazareth o Gerusalemme o Roma?
Perché per nascere, per far apparire la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini (cfr Tt 3.4), Gesù non solo scelse una città piccola, la più piccola tra le città di Giuda, ma volle nascere in una grotta? La riposta alla seconda domanda è abbastanza facile. Il Vangelo dice: “perché non c’era posto per loro (Giuseppe e Maria) nell’albergo”. Ma credo di non tradire l’insegnamento teologico se scrivo che Gesù sta ancora cercando alloggio nel cuore nostro e dell’intera umanità. Inoltre non va dimenticato che Dio si propone, non si impone, quindi si rivela nell’umiltà, si rivela nella povertà, si rivela nella semplicità della vita. E venne di notte, perché Lui è la Luce che rischiare le tenebre del nostro cuore.
Per rispondere alla domanda “Perché Betlemme?” mi faccio aiutare dal profeta Michea e da San Tommaso d’Aquino.
Nella prima lettura della IV Domenica di Avvento il brano preso dal libro del profeta
Michea annuncia che il “liberatore” di Israele uscirà da Betlemme ma che “le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti”. Dopo che “Dio li metterà in potere altrui”, pur non avendo mai abbandonato il suo popolo, egli interverrà per liberarlo. Ciò avverrà “quando colei che deve partorire partorirà”. Betlemme, piccola e oscura città della Giudea, è il terreno fertile in cui germoglia e si sviluppa l’opera divina. Lo stesso connotato di piccolezza, tanto caro al Figlio di Dio si trasferisce a sua madre, che Lui ha guardato ammirandone l’umiltà, grazie alla quale la Madonna è lieta di essere a servizio di Dio.
Nella Summa Teologica San Tommaso d’Aquino risponde così:
“Cristo volle nascere a Betlemme per due ragioni. Primo, perché egli, come dice S. Paolo, secondo la carne “è nato dalla stirpe di David”; e a David era stata fatta speciale promessa del Cristo, secondo le parole del Libro dei Re: “Così parlò (David) l’uomo a cui fu fatta la promessa del Cristo del Dio di Giacobbe”. Perciò egli volle nascere a Betlemme dov’era nato David, affinché dallo stesso luogo di nascita fosse manifesto l’adempimento della promessa. È quanto vuol dire l’Evangelista quando scrive: “Perché egli era della casa e della famiglia di David”. Secondo, perché, come nota S. Gregorio, “Betlemme significa casa del pane. E Cristo disse di sé: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.” (San Tommaso d’Aquino, Summa Teologica, III, q. 35, a. 7). ll grande Santo domenicano prosegue: |
“David nacque a Betlemme, ma scelse Gerusalemme come sede del suo regno, per costruirvi il tempio di Dio e fare di Gerusalemme una città regale e sacerdotale insieme. Ebbene, il sacerdozio di Cristo e il suo regno furono attuati soprattutto con la sua passione. Ecco perché egli scelse Betlemme come luogo di nascita e Gerusalemme per la sua passione.
In questo modo egli volle anche confondere la gloria degli uomini, i quali si vantano di essere nati in illustri città; e in esse bramano essere particolarmente onorati. Cristo al contrario volle nascere in una città umile ed essere oltraggiato in una città nobile.
Cristo volle fiorire per la santità. della vita, e non per l’origine carnale. Ecco perché volle esser nutrito ed educato nella città di Nazareth. Mentre a Betlemme volle nascere come un forestiero; perché, come dice S. Gregorio, ‘per l’umanità che aveva presa, nacque come in casa d’altri; uniformandosi ad essi non nella potenza, ma nella natura’. Inoltre, come afferma S. Beda, ‘col rendersi bisognoso di un ricetto, preparò a noi molte mansioni nella casa del Padre suo’. Come si legge in un sermone del Concilio di Efeso, ‘se (Cristo) avesse scelto Roma, la città più potente, si sarebbe potuto pensare che avrebbe cambiato il mondo per il potere dei concittadini. Se fosse stato figlio dell’Imperatore, la sua riuscita sarebbe stata attribuita al potere (imperiale). Ma per mostrare che il mondo sarebbe stato trasformato dalla sua divinità, si scelse una madre povera e una patria ancora più povera’. Ora, come afferma S. Paolo, ‘Dio ha scelto le cose deboli del mondo per confondere i forti’. Perciò, per manifestare meglio la sua potenza, stabilì a Roma, capitale del mondo, il centro della sua Chiesa, come segno di completa vittoria, affinché di là la fede si diffondesse su tutta la terra, secondo la profezia di Isaia:‘Umilierà la città sublime e la calpesteranno i piedi dei poveri’, cioè dei poveri di Cristo, vale a dire i piedi degli Apostoli Pietro e Paolo.” (Ibid.). |
Egli viene.
E con Lui che viene,
viene la gioia.
Se lo vuoi ti è vicino.
Anche se non lo vuoi ti è vicino.
Ti parla anche se non gli parli.
Se non l’ami, egli ti ama ancora di più.
Se ti perdi, viene a cercarti.
Se non sai camminare, ti porta e ti salva: per questo è nato, per vivere con noi e per noi un’ umana avventura e darci la vita in pienezza:
***
Consiglio per questi giorni la preghiera tratta da un Inno (VII e VIII strofa) di S.Efrem il Siro, uno dei più grandi scrittori cristiani del IV secolo (306 – 373), amico tra l’altro di Ambrogio di Milano. E una preghiera da rileggere con pazienza e da meditare, lasciando che le riflessioni di un grande cristiano di tanti secoli fa susciti nel vostro cuore lo stupore, la gioia, la meraviglia di un Dio che, per venire a confortarci e riaprire i nostri cuori alla speranza, ha fatto quello che ha fatto in Maria e attraverso di Lei.
“Signore Gesù Cristo,
tua Madre è causa di stupore:
è entrato in Lei il Signore
ed è divenuto un servo;
è entrato Colui che è la Parola
ed è divenuto silenzioso;
è entrato in Lei il tuono che scuote la foresta
ed è nato nel silenzio della notte;
è entrato il Pastore di tutti,
ed è diventato l’Agnello che toglie il peccato del mondo.
Tua Madre ha stravolto l’ordine delle cose:
il Creatore di tutto è entrato nella sua proprietà,
ma è uscito povero;
l’Altissimo è entrato in Lei
ma è uscito umile;
lo Splendore è entrato in Lei,
ma è uscito rivestito di debole luce.
Il Potente è entrato
e ha assunto insicurezza e timore;
Colui che nutre ogni cosa è entrato
e ha provato la fame;
Egli, che tutti disseta,
è entrato e ha provato la sete;
nudo e spogliato, ecco, viene fuori da lei
Colui che veste ogni cosa!”
Lettura patristica
Esichio di Gerusalemme
Sermo IV, de sancta Maria Deipara
Questo giorno di festa che stiamo ora celebrando, supera ogni gloria, in quanto contiene la solennità della Vergine che tutte sovrasta in prestigio; in esso invero ella ha ricevuto lo stesso Verbo Dio, quando egli volle; lui che ella stessa contiene al di là di ogni angustia di spazio.
A lei, l’arcangelo Gabriele, con ammirazione, disse prima di tutto: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te; ecco concepirai e darai alla luce un figlio, e lo chiamerai Emanuele” (Lc 1,28 Lc 1,50).
Fausto annunzio quello di Gabriele che segnò il repentino inizio di letizia. Mentre, infatti, la prima vergine per la sentenza di condanna finiva nelle angustie inflitte a lei a seguito della trasgressione e da lei derivarono molti gemiti: ogni donna per causa sua, fu costituita nel dolore ed ogni parto, per lei, provava l’afflizione; la seconda vergine, per la denominazione angelica, respinse ogni miseria del sesso femminile, chiuse ogni fonte di tristezza che suole esser compagna delle partorienti, e dissipò ogni nube di disperazione che si addensava sulla donna in parto; e inoltre, fece brillare tra gli oppressi la luce di letizia.
Ascoltando da Gabriele le parole: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te“, ella non accolse il saluto con animo tranquillo; anzi, appena ebbe ascoltata quella voce e, per quella voce l’arcangelo Gabriele che le annunciava che avrebbe partorito, rimase turbata nei propri pensieri; era verosimilmente portata a respingere quelle affermazioni di Gabriele, introdottosi inaspettatamente in casa, magari dicendogli: «Tutto ciò oggi in te mi appare strano, e non tiene conto della pubblica opinione. E poi: Con qual diritto hai osato introdurti sconsideratamente da una vergine non sposata e pronunciare parole incredibili? Dici, infatti, che partorirò un figlio senza il seme; hai detto che concepirò senza che siano avvenute le nozze; che il mio grembo darà frutto senza la coabitazione e la convivenza con un uomo. Chi vide mai, chi, esperto sulla fertilità dei campi, ha mai sentito dire che un campo incolto abbia prodotto la spiga, o che un terreno non piantato abbia dato l’uva, il vino senza vite, o il fiume senza la sorgente da cui proviene? Un discorso del genere, sicuramente, nessuno lo ha mai ascoltato dagli inizi dei secoli, né, tanto meno avrà potuto vedere che si sia verificato. Per qual motivo e con quale garanzia per me dovrò prestarti fede?».
Cosa rispose Gabriele a lei che esitava?
«Dissi ciò che ho appreso, pronuncio ciò che ho sentito: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà da te sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35); come colui dal quale è e al quale tende ogni creatura, come Creatore e Artefice di tutti, come Padre dei secoli, come generatore del tempo, come costruttore di tutti, come più antico dei cieli, come artefice degli angeli e formatore dell’umanità, e di quelli, per finire, che, per altri motivi, sarebbero periti. Oltre questo non posso farti sapere altro. Infatti, non ho, o Vergine, un mandato per dirti con quale diritto su ogni singolo punto: bensì che io sia ministro di quelle cose che rendono fausto per te il mio annuncio.
Ammira dunque insieme a me il mistero e accogli la buona novella senza dubitare».
Lei, in verità, rispose: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola” (Lc 1,38).
Noi, perciò, informati della natività del Signore dai discorsi dell’arcangelo Gabriele, ci incamminiamo dietro alla sua progenie. Io, come lui e al di là della presente disquisizione, conosco la divina potenza di quel parto e dichiaro: dai Magi abbiamo appreso (cf. Mt 2,1ss), poi siamo stati istruiti a venerare religiosamente quella cosa. Infatti, coloro che cercavano il bambino, con la guida della stella, non dissero a quelli che interrogavano: Come avviene il concepimento divino? Come si spiega un utero senza il seme? Come un parto incorrotto? Come permane vergine la madre dopo il parto? Come soggiace al tempo colui che è prima del tempo? Come fa ad esistere nel tempo chi è prima dei secoli? Come poté l’utero contenere colui che è incontenibile? Come colui che è incorporeo, senza cambiamento, si fece carne? Come Dio Verbo, annientando se stesso nell’utero della Vergine (Ph 2,6 Ph 2,7), da insigne e glorioso fattosi uguale a servo, da quello in modo ineffabile si è incarnato? Come ciò che è perfetto poté farsi bambino? Come poté succhiare il latte colui che nutre? Come colui che copre e abbraccia l’universo, poté essere preso tra le braccia? Come il Padre del secolo venturo si fece bambino? Come fa ad essere in alto e in basso? Come viene avvolto in panni, colui che è l’auriga dei carri dei Cherubini? Come giace in una greppia, colui che è nel seno del Padre? Come è costretto in fasce, colui che conduce i prigionieri con fortezza? (Ps 67,7).
E molte altre cose che aborrisco riferire.
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Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.