Papa Francesco e Card. Parolin (Foto: 2015) / © CCEW - Mazur/Catholicnews.Org.Uk, CC BY-NC-SA 2.0

Card. Parolin: L’uomo – "Non il solitario prodotto del caso, ma il figlio di un Padre premuroso"

Intervento del Cardinale Segretario di Stato all’VIII Simposio Internazionale “Diritti fondamentali e conflitti fra diritti”

Share this Entry

Si è aperto oggi alla LUMSA (Libera Università Maria Santissima Assunta) di Roma l’VIII Simposio Internazionale sul tema “Diritti fondamentali e conflitti fra diritti” (15-16 novembre 2018), organizzato dalla Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI in collaborazione con l’Università LUMSA, nel 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e nel 20° anniversario del conferimento della laurea honoris causa da parte dell’Università all’allora cardinale Joseph Ratzinger.
Pubblichiamo di seguito l’intervento che il Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin pronuncia nel corso del Simposio:
Intervento del Cardinale Segretario di Stato
Magnifico Rettore, Reverendo Presidente della Fondazione Ratzinger / Benedetto XVI
Illustri Relatori,
Signore e Signori,
ringrazio gli organizzatori, specialmente P. Federico Lombardi, Presidente della Fondazione Ratzinger / Benedetto XVI, per il cordiale invito a prendere parte a questo Simposio che precede la consegna del Premio Ratzinger. Particolarmente significativo è il tema scelto quest’anno per il Convegno, dal provocante titolo: Diritti fondamentali e conflitti fra diritti, integralmente dedicato ai diritti umani nel 70.mo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 10 dicembre 1948.
I diritti umani sono indubbiamente un tema di grande attualità, complesso e non di rado controverso. Le relazioni di questi giorni offrono importanti e significativi approfondimenti, che pongono in evidenza aspetti chiave della discussione, a partire dall’origine e dal fondamento stesso dei diritti umani, alla loro gerarchia e interazione reciproca fino ai limiti che possono o devono incontrare. Il tema che è affidato alla mia trattazione intende affrontare il campo di indagine da una prospettiva diversa, soffermandosi specialmente sugli interlocutori della Santa Sede nell’ambito dei diritti umani e, dunque, sul dialogo che essa instaura con la comunità internazionale.
Certamente non possiamo dimenticare che l’atteggiamento della Chiesa e la sua propensione a dialogare sul tema è andato evolvendosi lungo i secoli da quando l’espressione è comparsa agli albori della Rivoluzione Francese nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, del 26 agosto 1789. Come è noto, dapprincipio vi fu il rifiuto di ogni possibile dialogo al riguardo con la società. I diritti umani venivano percepiti esclusivamente come il tentativo di rovesciare gli autentici valori cristiani su cui si basava la convivenza civile[1] e la volontà di creare una società alla cui base ci fosse un impianto normativo affrancato dalla religione[2]. I diritti del cittadino apparivano dunque come «un’ingannevole propaganda diffusa da chi mirava in realtà a sovvertire ogni buon ordinamento della vita collettiva, mentre i reali “diritti umani” consistevano nell’obbedienza, secondo i dettami della Chiesa, ai doveri inculcati dalla legge naturale e divina e tradotti nella legge positiva»[3] . Il linguaggio dei diritti entra lentamente nella vita della Chiesa con lo sviluppo della dottrina sociale. L’Enciclica Rerum novarum di Leone XIII menzionerà il diritto di proprietà, legando il concetto di proprietà privata al diritto naturale e ricordando che «le leggi civili […], quando sono giuste, derivano la propria autorità ed efficacia dalla stessa legge naturale (Cfr. S. Th. I-I, q. 95, a. 4), confermano tale diritto e lo assicurano con la pubblica forza»[4] . In seguito agli eventi drammatici della Seconda Guerra Mondiale e con l’istaurarsi di un nuovo rapporto con la modernità negli anni del Concilio Vaticano II, la Chiesa ha abbandonato la dialettica iniziale e si è resa essa stessa promotrice dei diritti umani fondamentali, pur tuttavia non rinunciando a sottolineare le prerogative della legge divina.
«Nessuna legge umana è – afferma la Gaudium et Spes – in grado di assicurare la dignità personale e la libertà dell’uomo, quanto il Vangelo di Cristo, affidato alla Chiesa. Questo Vangelo, infatti, annunzia e proclama la libertà dei figli di Dio, respinge ogni schiavitù che deriva in ultima analisi dal peccato, onora come sacra la dignità della coscienza e la sua libera decisione, ammonisce senza posa a raddoppiare tutti i talenti umani a servizio di Dio e per il bene degli uomini, infine raccomanda tutti alla carità di tutti. […] Perciò la Chiesa, in forza del Vangelo affidatole, proclama i diritti umani, e riconosce e apprezza molto il dinamismo con cui ai giorni nostri tali diritti vengono promossi ovunque. Questo movimento tuttavia deve essere impregnato dallo spirito del Vangelo e dev’essere protetto contro ogni specie di falsa autonomia. Siamo, infatti, esposti alla tentazione di pensare che i nostri diritti personali sono pienamente salvi solo quando veniamo sciolti da ogni norma di legge divina»[5] .
Se dunque da un lato nel corso del tempo si è aperto un confronto proficuo fra la Chiesa e la società sul tema, dall’altro non di rado si marcano le distanze in merito al contenuto e al linguaggio adottato. Nel suo approccio, la Chiesa parte dalle parole dell’Apostolo: «vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1Ts 5, 21). Essa perciò si sente libera di raggiungere ogni possibile interlocutore, anche a partire dalle posizioni più lontane. In pari tempo, non bisogna dimenticare che il punto di partenza di ogni dialogo, che voglia essere realmente efficace, è la consapevolezza di sé. Aprirsi all’altro non significa rinunciare alla propria identità e alle proprie prerogative. Laddove si promuovono “diritti” che la Chiesa reputa incompatibili tanto con la legge divina che con quella naturale, conoscibile con la retta ragione, la Santa Sede non cesserà di levare la sua voce in difesa anzitutto della stessa persona umana. Non si tratta di arroccarsi dietro a posizione preconcette, quanto di difendere lo sviluppo armonico e integrale dell’uomo, poiché purtroppo, come notava Papa Francesco, «vi può essere il rischio – per certi versi paradossale – che, in nome degli stessi diritti umani, si vengano ad instaurare moderne forme di colonizzazione ideologica» [6], così che alcuni diritti fondamentali vengono lesi in nome della promozione di altri diritti. Nello stesso tempo la pur legittima difesa di un’identità culturale, non può costituire un pretesto per esimersi dal rispetto dei diritti umani.
Nel dibattito odierno, è bene tenere presente alcuni elementi che risultano fondamentali per la Chiesa nel dialogo con i suoi interlocutori. Il primo che vorrei sottolineare è il carattere universale dei diritti. La Dichiarazione del 1948 si prefiggeva, infatti, lo scopo di formulare enunciati che fossero validi sempre, in ogni epoca, luogo e cultura, poiché essi ineriscono alla natura stessa della persona umana. Oggi si nota una presa di distanza, tanto in alcuni ambiti del cosiddetto Occidente, quanto in altri contesti culturali, quasi che il senso profondo dei diritti umani sia contestualizzabile e applicabile solo a certi luoghi e a una certa epoca, che sembra ormai irrimediabilmente avviata sulla via del tramonto. Occorre, invece, recuperare la dimensione oggettiva dei diritti umani, basata sul riconoscimento della «dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, [che] costituisce il fondamento della libertà della giustizia e della pace nel mondo»[7]. Senza una tale visione, si instaura un cortocircuito dei diritti che da universali e oggettivi divengono individuali e soggettivi, con la paradossale conseguenza che «ciascuno diventa misura di sé stesso e del proprio agire», si diventa «sostanzialmente incuranti degli altri e [si favorisce] quella globalizzazione dell’indifferenza che nasce dall’egoismo, frutto di una concezione dell’uomo incapace di accogliere la verità e di vivere un’autentica dimensione sociale»[8] .
Solo mantenendo viva la consapevolezza della valenza universale dei diritti umani, si può evitare tale deriva, che sfocia nella proliferazione di una «molteplicità di “nuovi diritti”, non di rado in contrapposizione tra loro»[9] e, in pari tempo, intavolare un dialogo a tutto campo, specialmente nell’ambito onusiano dove si svolgono la maggioranza delle discussioni in materia. Tuttavia, occorre anche notare che la crescente insofferenza che si avverte da più parti nei confronti delle Organizzazioni internazionali e della diplomazia multilaterale, mette oggi in serio pericolo l’interlocuzione sui diritti umani.
Da parte sua, la Santa Sede ritiene fondamentale favorire il più ampio confronto possibile con tutti gli uomini di buona volontà e con quelle istituzioni che si adoperano per tutelare i diritti dell’uomo, e promuovere il bene comune e lo sviluppo sociale. Papa Francesco ci sprona costantemente a costruire ponti e ponti possono essere costruiti con molteplici interlocutori, sia nel campo multilaterale che in quello bilaterale, tanto con gli Stati che con le Organizzazioni non-governative, con interlocutori religiosi, come pure con soggetti laici e aconfessionali. In questo senso l’ambito diplomatico è privilegiato, poiché permette di sviluppare contatti e relazioni personali attraverso le quali la Santa Sede può raggiungere le terre più lontane e le sensibilità umane più distanti. Non bisogna dunque rinunciare a creare occasioni di incontro, sulla scia di quella felice intuizione che ebbe l’allora Sostituto della Segreteria di Stato, Mons. Giovanni Battista Montini, quando diede vita al Circolo di Roma, che fu una straordinaria tribuna e una sede privilegiata di rapporti internazionali. Esso seppe offrire un’opportunità di reciproca conoscenza e collaborazione a livello culturale e diplomatico, promuovendo tra l’altro studi sui problemi internazionali.
Anche oggi occorrono punti di contatto, nei quale ciascuno possa offrire il proprio contributo originale nel rispetto dell’opinione altrui. Purtroppo, si nota non di rado come alcuni preconcetti e luoghi comuni verso la Chiesa rendano più difficile una discussione serena. L’interlocuzione è più complicata soprattutto laddove si toccano gli ambiti più intimi della vita e della persona umana senza un ancoraggio oggettivo. Il cristianesimo infatti rimanda «alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto, […] all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio»[10]. Al contrario, in tempi recenti sembra aver prevalso una visione frammentata dell’uomo, sciolto da ogni nesso, tanto con il soprannaturale che con gli altri uomini, così che si è innescato un meccanismo in base al quale i diritti umani vengono assoggettati al “comune sentire” della maggioranza. Nella riflessione della Chiesa non ci sono però i diritti di “un uomo sciolto da ogni nesso”, non c’è un “uomo frammentato” nei suoi vari aspetti sociali, economici, religiosi, ecc., ma l’uomo nella sua integralità. La Chiesa approccia dunque i diritti umani a partire dalla loro universalità, razionalità e oggettività. In quest’ottica si comprende l’impegno concreto della Santa Sede in difesa di alcuni specifici diritti ai quali presta particolare attenzione e nella cui promozione essa è impegnata.
In primo luogo, vi è il diritto alla vita contenuto nell’articolo 3 della Dichiarazione del 1948[11] . Si tratta della vera base di tutti diritti umani. L’attività multilaterale della Santa Sede, in qualsiasi foro internazionale, come anche nei rapporti con gli Stati, è sempre volta a difendere questo diritto. Parimenti, non bisogna dimenticare l’impegno concreto della Chiesa attraverso gli ordini religiosi e le loro molteplici opere caritative, nonché mediante le numerose organizzazioni a carattere non governativo, cristianamente inspirate. Accanto alla difesa dell’inizio della vita e della sua fine naturale, che costituisce la premessa fondamentale della promozione del diritto alla vita, oggi si presentano nuove sfide legate alla moderna biotecnica e favorite talvolta da legislazioni piuttosto permissive. Spinose questioni si pongono circa la manipolazione genetica, la tratta degli organi e i nuovi sviluppi della “ibridazione” della persona umana con il genoma di altre specie. Di fronte a tali sfide la Chiesa è impegnata a sottolineare il valore unico e irripetibile di ogni singola vita, dono prezioso di Dio.
«Continuamente – ricordava Benedetto XVI – il cristiano è chiamato a mobilitarsi per far fronte ai molteplici attacchi a cui è esposto il diritto alla vita. In ciò egli sa di poter contare su motivazioni che hanno profonde radici nella legge naturale e che possono quindi essere condivise da ogni persona di retta coscienza»[12]. Purtroppo, proprio il diritto alla vita sembra essere il più esposto all’individualismo che connota particolarmente le società occidentali. Nel costante tentativo di affrancare l’uomo da Dio, la vita cessa di essere un dono e viene piuttosto considerata alla stregua di una proprietà, di cui ciascuno può liberamente disporre nei limiti posti dal semplice consenso della maggioranza. Ciò rende il dialogo più complesso, per la difficoltà a reperire un comune terreno metafisico e lessicale sul quale incontrarsi. Nel contesto della difesa della vita, la Santa Sede è pure attiva nel favorire l’eliminazione universale della pena di morte. È un impegno che tiene conto tanto dell’articolo 3, quanto dell’articolo 5[13] della Dichiarazione del 1948, che vieta le punizioni crudeli, inumane e degradanti. Si tratta di una questione particolarmente cara al Santo Padre, che il 2 agosto scorso ha ritenuto di aggiornare il Catechismo della Chiesa Cattolica. «Per molto tempo – riporta la nuova formulazione – il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune.
Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi. Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che “la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona” (Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, 11 ottobre 2017), e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo»[14] . In questo ambito la Santa Sede interloquisce sia con gli organismi che promuovono l’abolizione della pena di morte sostenendone l’azione, tra i quali occorre menzionare specialmente l’Unione Europea con la quale vi è una profonda sintonia sulla questione, sia, laddove vi è la possibilità, con quei Paesi che ancora la ritengono, sottolineando lo scarso effetto deterrente che essa possiede, nonché l’anacronismo del ricorso ad una tale punizione in Stati che nel complesso sono attrezzati per tutelare adeguatamente la sicurezza dei propri cittadini.
D’altra parte, ricordava ancora il Papa, «la cautela nell’applicazione della pena dev’essere il principio che regge i sistemi penali, e la piena vigenza e operatività del principio pro homine deve garantire che gli Stati non vengano abilitati, giuridicamente o in via di fatto, a subordinare il rispetto della dignità della persona umana a qualsiasi altra finalità, anche quando si riesca a raggiungere una qualche sorta di utilità sociale. Il rispetto della dignità umana non solo deve operare come limite all’arbitrarietà e agli eccessi degli agenti dello Stato, ma come criterio di orientamento per il perseguimento e la repressione di quelle condotte che rappresentano i più gravi attacchi alla dignità e integrità della persona umana»[15] .
Con riferimento agli articoli 13[16] e 14[17] della Dichiarazione del 1948, la Santa Sede è impegnata a promuovere i diritti dei migranti e dei profughi. Nelle diverse crisi degli ultimi anni, il Santo Padre non ha mancato di far sentire la sua voce di fronte ad una tragedia di immane proporzioni, fortemente lesiva della dignità umana. Anche in questo caso gli interlocutori sono molteplici, a partire dalla comunità internazionale e dunque dalle Nazioni Unite, con cui la Santa Sede sta lavorando ormai da un paio d’anni nella definizione dei Global Compacts sui migranti e sui rifugiati, che saranno adottati entro l’anno. Purtroppo duole constatare come alcuni Paesi si stiano ritirando dalla discussione. Da parte sua, la Santa Sede, attraverso le Missioni Permanenti a New York, per quanto concerne i migranti, e a Ginevra, per quanto riguarda i rifugiati, continua ad offrire il proprio contributo attivo alle discussioni e nelle consultazioni preparatorie, promuovendo la visione del Pontefice, incentrata attorno a quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare[18] .
Anche nel corso dei suoi Viaggi Apostolici, il primo dei quali proprio dedicato ai migranti, con la visita all’isola di Lampedusa, Papa Francesco non ha mancato di richiamare l’urgenza di prendersi cura di chi è costretto ad abbandonare la propria terra a causa di guerre e persecuzioni, come pure per fame e ristrettezze economiche. Sappiamo che questo Suo impegno nella promozione della dignità dei più deboli, specialmente dei bambini e degli adolescenti che sono forzati a vivere lontani dalla loro terra d’origine e separati dagli affetti familiari, Gli ha procurato talvolta un sentimento di ostilità specialmente tra quanti hanno visto il proprio territorio fortemente investito dalle recenti ondate migratorie. Non si deve tuttavia indulgere in fraintendimenti. Lo stesso Papa Francesco non ha mancato di sottolineare che l’accoglienza deve essere ragionevole, ovvero deve essere accompagnata dalla capacità di integrare e dalla prudenza dei governanti[19] . Affermare il diritto di chi è debole a ricevere protezione, non significa dunque esentarlo dal dovere di rispettare il luogo che lo accoglie, con la sua cultura e le sue tradizioni.
D’altra parte, il dovere degli Stati di intervenire in favore di chi è in pericolo, non significa abdicare al legittimo diritto di tutelare e proteggere i propri cittadini e i propri valori. Al riguardo, occorre rilevare che la politica non di rado in anni recenti ha rinunciato al suo ruolo di mediazione sociale per edificare il bene comune, cedendo all’imprudente tentazione della ricerca di un facile consenso e cavalcando le paure ancestrali della popolazione. Anche nel contesto internazionale, rincresce constatare la minore propensione a collaborare nel ricercare soluzioni condivise fra gli Stati, a fronte del prevalere di nuove forme di nazionalismo. Tali difficoltà non tolgono l’impegno della Santa Sede nel ricercare un dialogo costruttivo con tutti per difendere le vite in pericolo, né lo sforzo della Chiesa e delle sue istituzioni caritative a interagire con la società civile per favorire soluzioni concrete che allevino la sofferenza dei migranti e tutelino la vita e le attività dei cittadini.
Da ultimo, vorrei richiamare l’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ovvero «il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti». Come è noto, si tratta di un diritto su cui la Chiesa, dopo un lungo rifiuto, ha elaborato una propria approfondita riflessione a partire dagli anni del Concilio Vaticano II, con la Dichiarazione Dignitatis Humanæ, la quale afferma che «la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata»[20] .
Come ricordava Papa Ratzinger, per la Santa Sede «si tratta del primo dei diritti umani, perché esprime la realtà più fondamentale della persona»[21]. D’altronde, «quando la libertà religiosa è riconosciuta, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice, e si rafforzano l’ethos e le istituzioni dei popoli. Viceversa, quando la libertà religiosa è negata, quando si tenta di impedire di professare la propria religione o la propria fede e di vivere conformemente ad esse, si offende la dignità umana e, insieme, si minacciano la giustizia e la pace»[22]. A sua volta, Papa Francesco ha spiegato che «la ragione riconosce nella libertà religiosa un diritto fondamentale dell’uomo che riflette la sua più alta dignità, quella di poter cercare la verità e di aderirvi, e riconosce in essa una condizione indispensabile per poter dispiegare tutta la propria potenzialità. La libertà religiosa non è solo quella di un pensiero o di un culto privato. È libertà di vivere secondo i principi etici conseguenti alla verità trovata, sia privatamente che pubblicamente»[23]. Non pochi sono, infatti, i tentativi di ridurre la libertà religiosa alla sfera meramente privata della persona, come pure quelli di far dipendere i diritti civili dall’appartenenza religiosa. La Santa Sede è, quindi, in prima linea nel promuovere il diritto alla libertà religiosa, adoperandosi da un lato affinché si eviti la marginalizzazione della religione nella società civile, dall’altro perché in ogni società siano tutelati egualmente i diritti di tutti i cittadini indipendentemente dal loro credo religioso.
Accanto alla libertà religiosa è importante affermare la libertà di coscienza. «Il contenuto di una tale libertà – ricorda Dignitatis Humanæ – è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano»[24]. Ai nostri giorni, si assiste con preoccupazione ai tentativi di ridurre questo diritto che rischia di essere marginalizzato e limitato, soprattutto per ciò che concerne l’obiezione di coscienza su questioni delicate inerenti la vita. Per la Chiesa l’obiezione di coscienza è, invece, un diritto fondamentale poiché, come afferma la Gaudium et Spes, «la coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo»[25], e dunque non può essere violato senza ledere la stessa persona umana.
Illustri Relatori, Signore e Signori, nel concludere questa breve rassegna, vorrei da ultimo porre in evidenza l’elemento fondamentale per la Chiesa nella sua interlocuzione nell’ambito dei diritti umani. Lo faccio a partire da un’immagine che traggo dal decimo capitolo del Vangelo secondo Luca. È la parabola del Buon Samaritano che soccorre un malcapitato lungo la strada che attraversa il deserto di Giuda, una terra per lui straniera e ostile. Chi ha potuto percorrere quel tratto di strada ne comprende le difficoltà: le discese ripide e la calura soffocante accompagnano il viandante nei circa mille metri di dislivello che separano Gerusalemme da Gerico.
Luca ci racconta di un uomo che, scendendo per quella via impervia, incappa nei briganti che lo riducono in fin di vita. Né il sacerdote, né il levita si prendono cura di lui, anzi, vedendolo, lo scansano quasi a marcare volutamente una distanza. Solo uno straniero non ha paura di approcciare il malcapitato, lo cura, lo accompagna in una vicina locanda e provvede al suo mantenimento fino alla completa guarigione. In questa parabola che correda l’enunciazione del comandamento dell’amore, possiamo trovare espressa l’idea ispiratrice dei diritti umani. La esprimo con un paradosso: all’origine dei diritti umani non vi è alcun diritto, né tantomeno v’è un dovere. Non vi è il diritto del viandante ferito ad essere curato, né di per sé il dovere di alcuno dei passanti di assisterlo. All’origine vi è solo la compassione e la gratuità – in termini cristiani diciamo la carità – di un uomo che scorge un altro uomo in pericolo. Guardare all’uomo, indipendentemente dalle sue caratteristiche fisiche, psichiche, etniche o religiose, come a una persona con una sua connaturata dignità è precisamente la novità che Gesù introduce nel mondo con la parabola del Buon Samaritano. In tal senso, il concetto stesso di diritto umano porta iscritto nel suo DNA la carità evangelica, che completa e – potremmo dire – sublima la natura stessa dell’uomo. Con questo non intendo affermare una coincidenza fra messaggio evangelico e diritti umani.
Vi è una profonda e radicale differenza, poiché questi ultimi fanno appello alla ragione e al diritto naturale, mentre il primo alla rivelazione divina. Tuttavia, come non vi è coincidenza, nemmeno vi è contrapposizione laddove al centro vi è l’uomo nella sua integralità razionale, affettiva e sociale, e i diritti sono intesi ed approfonditi secondo la retta ragione. La Chiesa approccia dunque positivamente i diritti umani, poiché per loro tramite l’umanità intera assume consapevolezza circa la dignità di ogni persona umana. In tale prospettiva, la Santa Sede si adopera per un dibattito sereno, proficuo e onesto. Ciò richiede – come accennavo sopra –di evidenziare le possibili difficoltà e gli equivoci che nascono quando l’interlocuzione si fonda su un linguaggio liquido, come quello contemporaneo, in cui le parole assumo accezioni ambigue. A ben vedere ad essere ambigue non sono tanto le parole quanto l’antropologia sottesa, che forse un po’ troppo frettolosamente ha marginalizzato l’apporto giudeo-cristiano alla filosofia greca e al diritto romano. Se da un lato, infatti, il concetto dei diritti umani sorge nell’ambito rivoluzionario francese in contrapposizione alla Chiesa, non si può tacere però che esso paga un tributo innegabile alla sensibilità cristiana nella quale furono formati gli estensori della Dichiarazione del 1789. La difficoltà del nostro tempo non sta tanto nel tentativo di affrancare i diritti umani da un qualunque legame con il cristianesimo – non è questo che ci preoccupa –, bensì la perdita di ancoraggio filosofico e giuridico dei diritti stessi, così che, in una continua evoluzione bramosa di novità, il pensiero occidentale finisce per menomare l’architettura stessa dei diritti che aveva enunciato. Senza una chiara visione antropologica, ogni diritto chiama altri diritti, i quali finiscono per fagocitarsi e reprimersi a vicenda. La tentazione moderna è di accentuare molto la parola “diritti”, tralasciando quella più importante: “umani”.
Se i diritti perdono il loro nesso con l’umanità, diventano solo espressioni di gruppi di interesse e prevale, come afferma Papa Francesco, « una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (μονάς), sempre più insensibile alle altre “monadi” intorno a sé»[26]. Parimenti, come si è accennato cadono anche i doveri che sono ad essi correlati e così nell’affermare i diritti del singolo, non si tiene più conto che «ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa».[27] Nel dibattito sui diritti, la sfida per la Chiesa e dunque anche per la Santa Sede nei vari fori internazionali non è quella di difendere posizioni o di «possedere spazi»[28], come direbbe il Papa, bensì di proporre in modo semplice e trasparente la sua visione dell’uomo: non il solitario prodotto del caso, ma il figlio di un Padre premuroso, che «dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa» (At 17, 25). È un cammino impegnativo, che senz’altro merita di essere percorso. Grazie.
_______________________
[1] Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, Il Mulino, Bologna 2012, 28. [2] Ciò risultò particolarmente evidente nella Dichiarazione francese. Il tema dei diritti era apparso già qualche anno prima nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, la quale tuttavia mantiene un riferimento a Dio Creatore. Cfr. Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America: «We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty and the pursuit of Happiness». [3] D. Menozzi¸ Chiesa e diritti umani, cit., 39. [4] Leone XIII, Lett. enc. «Rerum novarum», 15 maggio 1891, 8. [5] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale «Gaudium et Spes» sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 7 dicembre 1965, 41. [6] Francesco, Discorso ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Sala Regia, 8 gennaio 2018. [7] Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, 10 dicembre 1943 (di seguito: DDU), preambolo. [8] Francesco, Discorso al Consiglio d’Europa, Strasburgo, 25 novembre 2014. [9] Francesco, Discorso ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, cit. [10] Benedetto XVI, Discorso al Bundestag, Berlino, 22 settembre 2011. [11] DDU, art. 3: «Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona». [12] Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti all’Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, Sala Clementina, 24 febbraio 2007. [13] DDU, art. 5: «Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti». [14] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2267. [15] Francesco, Discorso alla Delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, Sala dei Papi, 23 ottobre 2014. [16] DDU, art. 13, n. 2: «Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese». [17] DDU, art. 14: «1. Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni. 2. Questo diritto non potrà essere invocato qualora l’individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite». [18] Cfr. Francesco, Discorso ai partecipanti al Forum Internazionale “Migrazioni e Pace”, 21 febbraio 2017. [19] Cfr. Francesco, Conferenza stampa durante il volo di ritorno dall’Irlanda, 26 agosto 2018: «C’è l’apertura del cuore per tutti, soffrire; poi, l’integrazione come condizione per accogliere; e poi la prudenza dei governanti per fare questo». [20] Concilio Ecumenico Vaticano II, Dichiarazione «Dignitatis Humanae», 2. [21] Benedetto XVI, Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Sala Regia, 9 gennaio 2012. [22] Benedetto XVI, Messaggio per la XLIV Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2011), 8 dicembre 2010, 5. [23] Francesco, Discorso ai partecipanti al Convegno internazionale «La libertà religiosa secondo il diritto internazionale e il conflitto globale dei valori», Sala del Concistoro, 20 giugno 2014. BOLLETTINO N. 0846 – 15.11.2018 8 [24] Dignitatis Humanae, cit., 2. [25] Gaudium et Spes, cit., 16. [26] Francesco, Discorso al Parlamento Europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014. [27] Ibid. [28] Francesco, Es. ap. «Evangelii gaudium», 24 novembre 2013, 223.

Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione