Centro Ecumenico WCC - Foto © Vatican Media

Papa Francesco: "Camminare insieme, pregare insieme, lavorare insieme: ecco la nostra strada maestra"

Preghiera Ecumenica nel Centro Ecumenico di Ginevra – Pellegrinaggio Ecumenico a Ginevra (21 giugno 2018)

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Alle ore 11.15 di questa mattina, il Santo Padre Francesco arriva al Centro Ecumenico del World Council of Churches (WCC) per la Preghiera Ecumenica.
Al Suo arrivo è accolto dal Rev.do Dott. Olav Fykse Tveit, Segretario Generale del WCC; dalla Dott.ssa Agnes Abuom, Moderatrice; dal Metropolita Prof. Dott. Gennadios of Sassima, ViceModeratore; e da Bishop Mary Ann Swenson, Vice-Moderatrice, che lo accompagnano nella Cappella del Centro. Sono presenti i membri del Comitato Centrale del World Council of Churches, alcuni partner ecumenici e il Seguito papale.
Dopo la processione iniziale, la Preghiera Ecumenica si apre con i saluti introduttivi, prosegue con la preghiera di pentimento, la preghiera per la riconciliazione e per l’unità, e la Lettura. Quindi il Papa pronuncia un discorso. Al termine, dopo la recita del Padre Nostro e la preghiera per l’unità della Chiesa, Papa Francesco si reca in auto all’Istituto Ecumenico di Bossey.
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Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre pronuncia nel corso della celebrazione:
Cari fratelli e sorelle,
abbiamo ascoltato le parole dell’Apostolo Paolo ai Galati, che sperimentavano travagli e lotte interne. Vi erano infatti gruppi che si affrontavano e si accusavano a vicenda. È in questo contesto che l’Apostolo, per ben due volte nel giro di pochi versetti, invita a «camminare secondo lo Spirito» (Gal 5,16.25).
Camminare. L’uomo è un essere in cammino. Per tutta la vita è chiamato a mettersi in cammino, in continua uscita da dove si trova: da quando esce dal grembo della madre a quando passa da un’età della vita a un’altra; dal momento in cui lascia la casa dei genitori fino a quando esce da questa esistenza terrena. Il cammino è metafora che rivela il senso della vita umana, di una vita che non basta a sé stessa, ma è sempre in cerca di qualcosa di ulteriore. Il cuore ci invita ad andare, a raggiungere una meta. Ma camminare è una disciplina, una fatica, servono pazienza quotidiana e allenamento costante. Occorre rinunciare a tante strade per scegliere quella che conduce alla meta e ravvivare la memoria per non smarrirla. Camminare richiede l’umiltà di tornare sui propri passi e la cura per i compagni di viaggio, perché solo insieme si cammina bene. Camminare, insomma, esige una conversione continua di sé.
Per questo tanti vi rinunciano, preferendo la quiete domestica, dove curare comodamente i propri affari senza esporsi ai rischi del viaggio. Ma così ci si aggrappa a sicurezze effimere, che non danno quella pace e quella gioia cui il cuore aspira, e che si trovano solo uscendo da sé stessi. Dio ci chiama a questo, fin dagli inizi. Già ad Abramo fu chiesto di lasciare la sua terra, di mettersi in cammino equipaggiandosi solo di fiducia in Dio (cfr Gen 12,1). Così Mosè, Pietro e Paolo, e tutti gli amici del Signore hanno vissuto in cammino. Ma soprattutto Gesù ce ne ha dato l’esempio. Per noi è uscito dalla sua condizione divina (cfr Fil 2,6-7) e tra noi è sceso a camminare, Lui che è la Via (cfr Gv 14,6). Egli, il Signore e il Maestro, si è fatto pellegrino e ospite in mezzo a noi. Tornato al Padre, ci ha fatto dono del suo stesso Spirito, così che anche noi abbiamo la forza di camminare nella sua direzione, di compiere quello che Paolo chiede: camminare secondo lo Spirito.
Secondo lo Spirito: se ogni uomo è un essere in cammino, e chiudendosi in sé stesso rinnega la sua vocazione, molto di più il cristiano. Perché, sottolinea Paolo, la vita cristiana porta con sé un’alternativa inconciliabile: da una parte camminare secondo lo Spirito, seguendo il tracciato inaugurato dal Battesimo; dall’altra «soddisfare il desiderio della carne» (Gal 5,16). Che cosa vuol dire questa espressione? Significa provare a realizzarsi inseguendo la via del possesso, la logica dell’egoismo, secondo cui l’uomo cerca di accaparrare qui e ora tutto ciò che gli va. Non si lascia accompagnare docilmente dove Dio indica, ma persegue la propria rotta.
Abbiamo sotto gli occhi le conseguenze di questo tragico percorso: vorace di cose, l’uomo perde di vista i compagni di viaggio; allora sulle strade del mondo regna una grande indifferenza. Spinto dai propri istinti, diventa schiavo di un consumismo senza freni: allora la voce di Dio viene messa a tacere; allora gli altri, soprattutto se incapaci di camminare sulle loro gambe, come i piccoli e gli anziani, diventano scarti fastidiosi; allora il creato non ha più altro senso se non quello di soddisfare la produzione in funzione dei bisogni.
Cari fratelli e sorelle, oggi più che mai queste parole dell’Apostolo Paolo ci interpellano: camminare secondo lo Spirito è rigettare la mondanità. È scegliere la logica del servizio e progredire nel perdono. È calarsi nella storia col passo di Dio: non col passo rimbombante della prevaricazione, ma con quello cadenzato da «un solo precetto: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (v. 14). La via dello Spirito è infatti segnata dalle pietre miliari che Paolo elenca: «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (v. 22).
Siamo chiamati, insieme, a camminare così: la strada passa per una continua conversione, per il rinnovamento della nostra mentalità perché si adegui a quella dello Spirito Santo. Nel corso della storia, le divisioni tra cristiani sono spesso avvenute perché alla radice, nella vita delle comunità, si è infiltrata una mentalità mondana: prima si alimentavano gli interessi propri, poi quelli di Gesù Cristo. In queste situazioni il nemico di Dio e dell’uomo ha avuto gioco facile nel separarci, perché la direzione che inseguivamo era quella della carne, non quella dello Spirito. Persino alcuni tentativi del passato di porre fine a tali divisioni sono miseramente falliti, perché ispirati principalmente a logiche mondane.
Ma il movimento ecumenico, al quale il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha tanto contribuito, è sorto per grazia dello Spirito Santo (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Unitatis redintegratio, 1). L’ecumenismo ci ha messi in moto secondo la volontà di Gesù e potrà progredire se, camminando sotto la guida dello Spirito, rifiuterà ogni ripiegamento autoreferenziale. Ma – si potrebbe obiettare – camminare in questo modo è lavorare in perdita, perché non si tutelano a dovere gli interessi delle proprie comunità, spesso saldamente legati ad appartenenze etniche o a orientamenti consolidati, siano essi maggiormente “conservatori” o “progressisti”. Sì, scegliere di essere di Gesù prima che di Apollo o di Cefa (cfr 1 Cor 1,12), di Cristo prima che “Giudei o Greci” (cfr Gal 3,28), del Signore prima che di destra o di sinistra, scegliere in nome del Vangelo il fratello anziché sé stessi significa spesso, agli occhi del mondo, lavorare in perdita.
L’ecumenismo è “una grande impresa in perdita”. Ma si tratta di perdita evangelica, secondo la via tracciata da Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc 9,24). Salvare il proprio è camminare secondo la carne; perdersi dietro a Gesù è camminare secondo lo Spirito. Solo così si porta frutto nella vigna del Signore. Come Gesù stesso insegna, non quanti accaparrano portano frutto nella vigna del Signore, ma quanti, servendo, seguono la logica di Dio, il quale continua a donare e a donarsi (cfr Mt 21,33-42). È la logica della Pasqua, l’unica che dà frutto. Guardando al nostro cammino, possiamo rispecchiarci in alcune situazioni delle comunità della Galazia di allora: quant’è difficile sopire le animosità e coltivare la comunione, quant’è ostico uscire da contrasti e rifiuti reciproci alimentati per secoli! Ancora più arduo è resistere alla tentazione subdola: stare insieme agli altri, camminare insieme, ma con l’intento di soddisfare qualche interesse di parte. Questa non è la logica dell’Apostolo, è quella di Giuda, che camminava insieme a Gesù ma per i suoi affari.
La risposta ai nostri passi vacillanti è sempre la stessa: camminare secondo lo Spirito, purificando il cuore dal male, scegliendo con santa ostinazione la via del Vangelo e rifiutando le scorciatoie del mondo. Dopo tanti anni di impegno ecumenico, in questo settantesimo anniversario del Consiglio, chiediamo allo Spirito di rinvigorire il nostro passo. Troppo facilmente esso si arresta davanti alle divergenze che persistono; troppo spesso si blocca in partenza, logorato di pessimismo. Le distanze non siano scuse, è possibile già ora camminare secondo lo Spirito: pregare, evangelizzare, servire insieme, questo è possibile e gradito a Dio!
Camminare insieme, pregare insieme, lavorare insieme: ecco la nostra strada maestra. Questa strada ha una meta precisa: l’unità. La strada contraria, quella della divisione, porta a guerre e distruzioni. Il Signore ci chiede di imboccare continuamente la via della comunione, che conduce alla pace. La divisione, infatti, «si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura» (Unitatis redintegratio,1). Il Signore ci chiede unità; il mondo, dilaniato da troppe divisioni che colpiscono soprattutto i più deboli, invoca unità.
Cari fratelli e sorelle, ho desiderato venire qui, pellegrino in cerca di unità e di pace. Ringrazio Dio perché qui ho trovato voi, fratelli e sorelle già in cammino. Camminare insieme per noi cristiani non è una strategia per far maggiormente valere il nostro peso, ma un atto di obbedienza nei riguardi del Signore e di amore nei confronti del mondo. Chiediamo al Padre di camminare insieme con più vigore nelle vie dello Spirito. La Croce orienti il cammino perché lì, in Gesù, sono già abbattuti i muri di separazione ed è vinta ogni inimicizia (cfr Ef 2,14): lì comprendiamo che, nonostante tutte le nostre debolezze, nulla ci separerà mai dal suo amore (cfr Rm 8,35-39).

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ZENIT Staff

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