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Papa Francesco: "Il primo diritto umano: il diritto alla speranza"

Udienza ai partecipanti al Convegno nazionale della Federazione Maestri del Lavoro d’Italia

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Alle ore 11.45 di oggi, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti al Convegno nazionale della Federazione Maestri del Lavoro d’Italia, che si svolge a Roma dal 14 al 17 giugno 2018.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’Udienza:
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
Sono lieto di incontrarvi in occasione del vostro Convegno nazionale, che rappresenta una preziosa occasione di condivisione, oltre che di riflessione, su alcuni temi fondamentali per la nostra società e il nostro mondo. È importante il contributo che, come Maestri del Lavoro d’Italia e seguendo diverse strade, avete portato alla crescita di un contesto sociale più inclusivo e dignitoso per tutti. La vostra Federazione rappresenta in tal senso un esempio di impegno e di servizio al bene comune. Oltre a questo, visto il solenne riconoscimento pubblico ricevuto da ognuno dei suoi membri, essa porta il peso di una maggiore responsabilità, e il dovere di una costante e instancabile dedizione.
Fin dalla storica Enciclica Rerum novarum di Papa Leone XIII, la dottrina sociale della Chiesa ha posto il lavoro al centro delle questioni che riguardano la società. Il lavoro al centro. Il lavoro, infatti, sta al cuore della vocazione stessa data da Dio all’uomo, di prolungare la sua azione creatrice e realizzare, attraverso la sua libera iniziativa e il suo giudizio, un dominio sulle altre creature che si traduca non in asservimento dispotico, ma in armonia e rispetto. Siamo chiamati a contemplare la bellezza di tale progetto divino, che è fondato sulla concordia, quella tra gli esseri umani e quella con gli altri esseri viventi e la natura.
Al tempo stesso, guardiamo con preoccupazione alla condizione attuale dell’umanità e del creato, che portano impressi in profondità i segni del peccato, segni di inimicizia, di egoismo, di cieco privilegio di sé. Quante persone ancora rimangono escluse dal progresso economico. Quanti nostri fratelli soffrono perché schiacciati da violenza e guerre, o per il degrado dell’ambiente naturale. Quanti, ancora, sono oppressi per la marginalità in cui vengono relegati, e patiscono per la carenza di prospettive positive per il futuro, e quindi di speranza!
Non ci lascino mai passivi o indifferenti la debolezza e la sofferenza che toccano così tante persone, ma che possiamo diventare sempre più capaci di riconoscerle nei volti dei fratelli, per tentare di alleviarle. Che siamo sempre più solleciti nel cercare di rendere, a chi l’abbia perduta, la speranza di cui ha bisogno per vivere; essa infatti rappresenta, in qualche modo, il primo e più fondamentale diritto umano, dei giovani prima di tutto. Il diritto alla speranza, quella speranza cancellata oggi per tanta gente… Il primo diritto umano: il diritto alla speranza. La speranza in un futuro migliore passa sempre dalla propria attività e intraprendenza, quindi dal proprio lavoro, e mai solamente dai mezzi materiali di cui si dispone.
Non vi è infatti alcuna sicurezza economica, né alcuna forma di assistenzialismo, che possa assicurare pienezza di vita e realizzazione personale. Non si può essere felici senza la possibilità di offrire il proprio contributo, piccolo o grande che sia, alla costruzione del bene comune. Ogni persona può dare il suo apporto – anzi deve darlo! – così da non diventare passiva, o sentirsi estranea alla vita sociale. Per questa ragione, una società che non si basi sul lavoro, che non lo promuova concretamente, e che poco si interessi a chi ne è escluso, si condannerebbe all’atrofia e al moltiplicarsi delle disuguaglianze. All’opposto, una società che, in spirito sussidiario, cerchi di mettere a frutto le potenzialità di ogni donna e ogni uomo, di ogni provenienza ed età, respirerà davvero a pieni polmoni, e potrà superare gli ostacoli più grandi, attingendo a un capitale umano pressoché inesauribile, e mettendo ognuno in grado di farsi artefice del proprio destino, secondo il progetto di Dio.
Farsi artefici: quella dimensione “artigianale” dello sviluppo della propria vita, quella dimensione personale del lavoro. Nel dibattito di questi giorni di Convegno, avete messo in relazione la tematica del lavoro con il ricchissimo patrimonio ambientale, artistico e culturale italiano, che rappresenta per il Paese il bene comune più prezioso. I tesori del passato, infatti, vivono attraverso il tempo grazie alla cura di coloro a cui sono affidati, e l’ineguagliabile eredità di arte e cultura in Italia costituisce un potenziale unico, da mettere a frutto con politiche avvedute e strategie di lungo termine. Anche a voi, dunque, Maestri del Lavoro, spetta il compito morale e civile di diffondere, promuovere e ampliare la cura del “Bel Paese” (cfr F. PETRARCA, Canzoniere, CXLVI, v. 13).
Nel perseguire tale obiettivo, emerge come primaria la questione morale. Essa è giustamente posta al centro della vita della Fondazione, che si ispira ai valori della «correttezza, responsabilità e trasparenza» (Codice Etico, art.1), e si propone di vivere, testimoniare e diffondere questi stessi principi in tutto il contesto sociale, specialmente in quello lavorativo. Rinnovare il lavoro in senso etico significa infatti rinnovare tutta la società, bandendo la frode e la menzogna, che avvelenano il mercato, la convivenza civile e la vita stessa delle persone, soprattutto dei più deboli. Per fare questo, per testimoniare cioè i valori umani ed evangelici in ogni contesto e in ogni circostanza, è necessaria una tensione alla coerenza nella propria vita. Coerenza nella vita, e armonia nella propria vita.
C’è bisogno di concepire la totalità della propria vita «come una missione» (cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 23): una missione armonica. Solo con questo spirito oblativo, solo se l’amore per i fratelli ci brucia dentro come un “carburante spirituale” – il quale, a differenza di quelli fossili, non si esaurisce ma si moltiplica con l’uso – la nostra testimonianza sarà davvero efficace, e capace di incendiare, mediante la carità, tutto il nostro mondo. «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, – dice Gesù ai discepoli – e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). A noi, oggi, è affidata questa fiamma; a noi è dato lo Spirito del Signore, Spirito di forza, di coinvolgimento, di santità e misericordia: «Ecco ora il momento favorevole!» (2 Cor 6,2).
Ci siano di guida, in questo cammino arduo ma entusiasmante, le Beatitudini di Gesù nel Vangelo (cfr Mt 5,3-11; Esort. ap. Gaudete et exsultate, 67-94): ci portino a guardare sempre con amore a Gesù stesso, che le ha incarnate nella sua Persona; ci mostrino che la santità non riguarda solo lo spirito, ma anche i piedi, per andare verso i fratelli, e le mani, per condividere con loro. Insegnino a noi e al nostro mondo a non diffidare o lasciare in balìa delle onde chi lascia la sua terra affamato di pane e di giustizia; ci portino a non vivere del superfluo, a spenderci per la promozione di tutti, a chinarci con compassione sui più deboli. Senza la comoda illusione che, dalla ricca tavola di pochi, possa “piovere” automaticamente il benessere per tutti. Questo non è vero.
Vi auguro un proficuo cammino associativo e soprattutto buon lavoro! Vi chiedo per favore di pregare anche per me, e invoco su di voi e sui vostri familiari la benedizione di Dio. Grazie!

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ZENIT Staff

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