Pubblichiamo di seguito l’omelia che l’Em.mo Cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, ha pronunciato questa sera a Sotto il Monte (Bergamo) durante la Santa Messa a conclusione della Peregrinatio dell’urna con le spoglie di San Giovanni XXIII:
Eminenze, Eccellenze, Distinte Autorità, Rev.di Sacerdoti, cari religiosi e religiose, cari fratelli e sorelle nel Signore,
Vorrei innanzitutto portarvi il saluto e la benedizione del Santo Padre Francesco, a cui va il nostro cordiale ringraziamento per aver reso possibile questa peregrinatio delle spoglie mortali del Santo Papa Giovanni XXIII. Sono grato al Vescovo, Mons. Francesco Beschi, per avermi invitato a presiedere questa Santa Eucaristia e, al saluto del Papa, unisco la mia letizia per essere con voi in questa felice occasione. Rivolgo il mio cordiale pensiero ai Cardinali e Vescovi qui presenti, ai sacerdoti, ai consacrati e alle consacrate, e a ciascuno di voi. È giusto poi dire una parola di gratitudine a tutti coloro che hanno contribuito all’organizzazione e allo svolgimento di questo evento – che si è dispiegato nell’arco di 18 giorni – in modo particolare ai numerosi volontari, che con la loro preziosa collaborazione e disponibilità hanno assicurato la sua buona riuscita, e alle Forze dell’Ordine che ne hanno garantito la sicurezza.
Questa peregrinatio è stata un evento di grazia, che ha registrato una straordinaria partecipazione di fedeli, moltissimi dei quali si sono accostati ai Sacramenti, in particolare alla Confessione. Si è trattato di un’iniziativa che ha coinvolto profondamente l’intera Diocesi di Bergamo in una gioiosa testimonianza di fede e di amore e che lascia ben sperare per il futuro. Auspico, pertanto, che essa possa rivelarsi una speciale opportunità di rinnovamento ecclesiale e civile, sulle linee tracciate dal vostro Vescovo in preparazione alla peregrinatio e come frutto di essa: la povertà di spirito, la profondità dell’anima, la luminosità della cordialità e il coraggio dell’ecumenismo. Povertà, anima, cordialità, ecumenismo, che diventano acrostico pace.
Papa Giovanni è stato un uomo buono, divenuto Santo perché fu un uomo abbandonato interamente al progetto che Dio aveva su di lui. Con la sua umiltà e saggezza ebbe a dire: “Il Signore mi ha fatto nascere da povera gente e ha pensato a tutto. Io l’ho lasciato fare” (Giornale dell’anima, giugno 1957). Egli assecondò il soffio dello Spirito Santo, che lo plasmò, trasformandolo in riconoscibile presenza di Cristo tra i suoi fratelli. Divenne perciò un vero ponte fra cielo e terra, un pontefice nel senso letterale del termine, via di collegamento per permettere alla libertà umana di incontrare la maestà, la bontà e la santità di Dio. Le sue parole e i suoi gesti esprimevano autorità e gentilezza, serena fermezza e benevolenza, audacia e prudenza, paternità spirituale e condiscendenza fraterna e il mondo ne fu stupito, perché istintivamente, anche i più lontani e i meno istruiti, percepivano che quella semplicità e giovialità del tratto erano il risultato di un costante lavoro di affinamento del carattere, erano l’esito di un percorso sincero e profondo di un’anima alla ricerca dell’essenziale, il frutto di una lunga esperienza e di molte letture meditate, erano lo splendido salario della preghiera e della carità.
Il 1° ottobre del 1959 scrisse nel Giornale dell’anima: “Si incomincia dalla terra dove sono nato e poi si prosegue fino al cielo”. Ad imitazione del Figlio di Dio – che da Betlemme e Nazareth sviluppò la sua missione fino a ritornare al cielo una volta eseguita perfettamente la volontà del Padre – Giovanni XXIII mosse i primi passi, imparò ed interiorizzò i valori fondamentali dell’esistenza nel suo borgo natio di Sotto il Monte, all’interno del suo nucleo familiare, scarso di mezzi materiali ma ricco per la vita cristiana che vi si respirava. Scriveva ai familiari il 20 dicembre 1932: “Io ho dimenticato molto di ciò che ho letto sui libri, ma ricordo ancora benissimo tutto quello che ho appreso dai genitori e dai vecchi. Per questo non cesso di amare Sotto il Monte e godo di tornarvi ogni anno. Ambiente semplice, ma pieno di buoni principi, di profondi ricordi, di insegnamenti preziosi”.
Per comprendere l’opera del sacerdote, del Vescovo e Cardinale Giuseppe Roncalli, come poi del Pontefice Giovanni XXIII, occorre partire dalla sua fede solida, operosa, tranquilla, fiduciosa in Dio, in sua Madre Maria e nei Santi, imparata a Sotto il Monte. È la sua granitica stabilità nella fede che lo rese al tempo stesso paziente ed audace. Proprio a motivo della scrupolosa fedeltà a Cristo, proprio per espandere al massimo la luce del Vangelo, non tralasciò alcuno sforzo per trovare parole che sapessero interessare, coinvolgere e persino commuovere ogni persona di buona volontà, anche oltre i confini visibili della Chiesa. Fece perno sulle cose che uniscono, per promuovere un clima propizio all’instaurazione di relazioni di mutuo rispetto e cordialità, anche verso i più lontani o gli antichi avversari.
“Gesù è venuto per abbattere queste barriere; Egli è morto per proclamare la fraternità universale; il punto centrale del suo insegnamento è la carità”, affermò nell’omelia di Pentecoste del 1944. Giovanni XXIII lasciava trasparire un linguaggio e un’azione profetica. Egli non misurava la bontà dei risultati nell’immediato, ma si prefiggeva di spargere semi che a suo tempo avrebbero dato frutto. La serena e sovrana libertà interiore del suo animo era percepibile dai suoi interlocutori che scorgevano in lui l’uomo di Dio, che pensa e agisce con magnanimità, che suscita e incoraggia il bene, che, in un mondo diviso e lacerato, vuole essere segno di concordia, che non dispone di altra agenda da far avanzare che quella della verità, del bene, della pace. Egli, incarnò con autorevolezza e credibilità la buona novella portata da Cristo, e perciò seppe ridare speranza anche nelle situazioni umanamente più difficili.
Si pensi per esempio all’episodio capitato durante la sua visita al carcere romano di Regina Coeli, quando un detenuto messosi in ginocchio davanti a lui gli chiese: “Le parole di speranza che lei ha pronunciato valgono anche per me, che sono un grande peccatore?”, ricevendone l’abbraccio del Papa, tra lo stupore e la commozione di tutti. Papa Giovanni leggeva negli avvenimenti della storia non soltanto il funesto elenco dei drammi e delle tragedie provocate dai peccati degli esseri umani, ma in primo luogo la potenza e la grandezza misericordiosa del disegno di salvezza di Dio. Gli uomini e le donne del suo tempo vennero perciò esortati ad impegnarsi risolutamente e con motivata speranza per accendere fiammelle di bene, piuttosto che attardarsi a lamentarsi del buio.
In piena prima guerra mondiale (11 febbraio 1918), egli scriveva: “Non ho mai conosciuto un pessimista che abbia concluso qualcosa di buono. E siccome noi siamo chiamati a fare il bene più che a distruggere il male, ad edificare più che a demolire, per questo mi pare… di dover proseguire per la mia via di perenne ricerca del bene”. La sua fede rocciosa si trasformava in intrepido coraggio. Sicuro della presenza e dell’assistenza perenne dello Spirito Santo alla sua Chiesa, poté assumersi la responsabilità di indire un Concilio Ecumenico che radunasse l’intera Chiesa per aggiornare il modo di proporre la verità evangelica, per trovare linguaggi e metodi adatti a far incontrare l’uomo contemporaneo con le perenni verità del Vangelo, facilitando l’incontro dell’uomo con il suo Salvatore.
Angelo Giuseppe Roncalli trascorse circa 20 anni nelle missioni diplomatiche, in Bulgaria e quindi in Turchia e Grecia, prima di raggiungere quella di Parigi ed ebbe in quegli anni modo di conoscere a fondo gli effetti della tragica divisione tra la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa. L’ecumenismo divenne quindi per lui una necessità per mantenersi fedele al Signore nell’azione quotidiana. Egli era ben consapevole della complessità e difficoltà del percorso volto a ristabilire la piena comunione, sapendo che i tempi e i modi erano riservati alla Provvidenza. Era certo però che occorresse iniziare un nuovo capitolo fatto di inedite reciproche premure, di gesti simbolici e di atti fraterni, che a partire dalla valorizzazione del tesoro di ciò che unisce, aprisse un itinerario destinato a condurre alla piena unità visibile, per essere davvero fulgidi testimoni della Resurrezione di Cristo. Lo scandalo della separazione e a volte dell’aperta ostilità tra coloro che si professano cristiani non potevano trovare risposta solo nella preghiera. Quest’ultima anzi doveva suscitare una serie di iniziative volte a cambiare i cuori, aprendo un’era nuova, non di allontanamento da qualche punto della dottrina per soddisfare un irenismo a qualsiasi costo, ma di rasserenamento degli animi, di collaborazione possibile, di responsabile azione verso la concordia.
Oggi non abbiamo ancora raggiunto l’unità visibile tra i cristiani, tuttavia quanta strada è stata compiuta! Quanti ostacoli sono stati tolti dal sentiero, quanti malintesi sono stati dissolti! L’ecumenismo della carità, come la reciproca conoscenza e frequentazione ci fa ormai vedere anche le asperità del cammino in un modo del tutto nuovo. Certamente una considerevole parte del merito lo si deve al vostro concittadino, a Papa Giovanni, al suo sereno coraggio, alla sua capacità di individuare vie di autentico dialogo. San Giovanni XXIII, imitando il Buon Pastore di cui ci hanno parlato le letture odierne, ha cercato le pecore disperse e ne ha avuto cura, radunandole e pascolandole per amore del Signore. Ha dedicato l’intera esistenza a Cristo e alla Chiesa, con zelo e generosità, non risparmiando fatiche e non pretendendo risultati immediati, ma offrendo una testimonianza indelebile di santità. Egli si fidò completamente di Gesù e il Signore gli affidò il suo gregge perché lo confermasse nella verità e lo guidasse nella via della salvezza.
Volendo essere ponte di riconciliazione tra gli uomini e Dio, Papa Roncalli divenne anche fattore di riconciliazione tra le Nazioni in un mondo minacciato dalle armi di distruzione di massa e dalla acuta tensione della “guerra fredda”. Ecco realizzarsi pienamente quell’itinerario che da Sotto il Monte lo condusse fino ad essere efficace operatore di pace per il mondo intero. Cari fratelli e sorelle, la peregrinatio vi ha fatto incontrare più da vicino con un vostro compaesano illustre che è divenuto una grande anima, un segno trasparente della bontà e paternità di Dio. Uno che “da fratello divenne padre per volontà di Nostro Signore”, come egli affermò nel celebre discorso alla luna, in quella memorabile sera dell’11 ottobre 1962, giorno di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II.
In questa splendida serata mi sgorga spontaneo l’augurio a ciascuno voi e alle vostre famiglie, di fare vostre le parole che il giovane Don Giuseppe Roncalli scrisse nel Giornale dell’anima nel maggio 1919: “Oh, come è vero che basta fidarsi completamente del Signore per sentirsi provveduti di ogni cosa!” Fidatevi completamente del Signore, lasciate che Egli entri nelle case, nei luoghi di lavoro e di studio, che abiti anche i sentimenti, i progetti e gli svaghi, perché vi benedica e vi doni la sua grazia, senza la quale nulla è possibile fare di buono. Affidatevi a Lui, che può fare di ciascuna povera anima un giardino che diffonde ovunque il profumo del bene. E poi non dimenticate mai queste altre parole pronunciate da Papa Giovanni, che in queste giornate della peregrinatio vi hanno condotto, come temi spirituali, passo per passo: “Figli di Bergamo, di questa Chiesa che amo, fatevi coraggio, fatevi onore… Richiamo a tutti voi ciò che vale di più: Gesù Cristo, la Chiesa, il Vangelo”. “Vi esorto a progredire nella bontà, nella virtù, nella generosità, affinché i Bergamaschi siano sempre degni di Bergamo”. San Giovanni XXIII, prega per noi, affinché possiamo camminare nella luce e nella grazia del Signore ogni giorno della nostra vita e compiere bene il nostro pellegrinaggio terreno, la nostra santa peregrinatio. Così sia.
Giovanni XXIII davanti ad un suo ritratto di Manzù (foto©Pietro Messa)
Santo Papa Giovanni XXIII: Un vero ponte fra cielo e terra
Omelia del Cardinale Segretario di Stato in occasione della celebrazione conclusiva della Peregrinatio dell’urna con le spoglie di San Giovanni XXIII