Rito Romano
Gen 3,9-15; Sal 129; 2Cor 4,13-5,1; Mc 3,20-35
Rito Ambrosiano
Gen 2,18-25; Sal 8; Ef 5,21-33; Mc 10,1-12
III Domenica dopo Pentecoste
- La vera famiglia di Cristo.
Il Vangelo, che la Liturgia della Chiesa propone oggi, ci ricorda che la volontà di Dio è volontà d’amore, di giustizia e di verità. E’ la volontà di un Padre che, con i suoi comandamenti, ci indica la strada della vita vera, lieta ed eterna.
Con la loro disobbedienza a Dio che li aveva creati, Adamo e di Eva hanno separato la volontà umana da quella divina, con la sua obbedienza Gesù ha riconciliato queste due volontà, realizzando il desiderio di Adamo e di tutti noi di essere completamente liberi e di abitare il cielo.
Per continuare l’opera di liberazione di Cristo, dobbiamo obbedirgli,
- dicendo il “Padre nostro che sei nei cieli … sia fatta la tua volontà come cielo così in terra” perché così riconosciamo che è nel ‘cielo’, il “luogo” dove si fa la volontà di Dio;
- facendo la volontà di Dio, cioè osservando i comandamenti, perché in questo faremo diventare la ‘terra’ ‘cielo’, cioè, luogo della presenza dell’amore, della bontà, della verità, della bellezza divina;
- seguendo la volontà di Dio ogni giorno e prendendo su di noi la nostra croce quotidiana, grazie alla quale diventeremo dei “Cristofori”, parola di origine greca che vuol dire portatori di Cristo.
Grazie a questa obbedienza d’amore non solamente vivremo una sempre più grande familiarità, portando con Cristo la nostra ‘terra’ nel ‘cielo’, ma saremo veri membri della sua famiglia.
Ciò che fa essere la “vera” famiglia di Cristo è la consonanza con Lui nel compiere “la volontà del Padre”. Mettendoci in questa sintonia, diveniamo “consanguinei con Cristo” nello Spirito. Non ci sono altre modalità per essere suoi famigliari. Il fare la volontà del Padre che è nei cieli è l’elemento decisivo che ci colloca “dentro” la vera famiglia del Redentore: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli” (Mt 7,21).
Se ciò vale per i discepoli di Cristo, vale in modo eminente per la Madonna. A questo riguardo, nel Sermone 72, Sant’Agostino si chiedeva: “Non fece forse la volontà del Padre la Vergine Maria, la quale per fede credette, per fede concepì, fu scelta perché da lei venisse a noi la salvezza, fu creata da Cristo, prima che Cristo fosse fatto nel suo seno?”. La Madonna fece la volontà del Padre e la fece interamente; e perciò fu madre di Cristo e la sua più alta discepola.
Guardiamo con riconoscenza all’obbedienza della Vergine Madre, al suo sì, pronunciato non solo al momento dell’annunciazione ma incessantemente ripetuto fino ai piedi della croce, e chiediamole la forza di “fare” anche noi, come “fece” lei, la volontà di Dio, di cui sperimenteremo l’ amore e la fedeltà. Questa obbedienza è possibile per la spinta dello Spirito di Cristo, che invochiamo per intercessione della Vergine: “Vieni, o Spirito santo, vieni per Maria, e dà a noi un cuore grande, aperto alla tua silenziosa e potente parola ispiratrice, e chiuso a ogni meschina ambizione, un cuore grande e forte ad amare tutti, a tutti servire, con tutti soffrire, un cuore grande, forte, felice di palpitare solamente col cuore di Dio” (B. Paolo VI).
- Imitare la Madre nel fare la volontà del Padre.
Alle parole di Cristo: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” … “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mt 3, 33-35), oggi come duemila anni fa, possiamo reagire con il cosiddetto buon senso e pensare che Cristo stesse offendendo i suoi parenti e, soprattutto sua madre. Così facendo, sbaglieremmo perché giudicheremmo Cristo a partire dalla nostra piccola misura umana. Gesù non sconfessa la Madre per servire il Padre. Cristo insegna che Maria era sua Madre in quanto aveva fatto e faceva la volontà del Padre. “E’ questo che il Signore volle esaltare in lei: di aver fatto la volontà del Padre, non di aver generato dalla sua carne la carne del Verbo” (Sant’Agostino, In Io. Evang. tract., 10,3 – PL 35,1468).
Per la Vergine Madre – e in questo dobbiamo imitarla – fare la volontà di Dio non fu sentire i comandamenti come costrizione esteriore, con la conseguenza di avere un rapporto servile con Dio e “legalista” con la sua parola. Per lei fare la volontà di Dio è stato dire di sì all’amore e dare carne a questo Amore redentivo.
Rinnovando il suo sì (fiat) a Dio, la Madonna ha fatto sì che nel suo cuore dimorasse l’amore, che è il “pieno compimento della legge” (Rm 13, 10) ed è diventata la madre e l’apostola dell’Amore, che vuole il nostro bene.
Facciamo altrettanto. Se vivremo come Maria vivremo Gesù.
In estrema sintesi: fare la volontà di Dio significa “vivere Gesù, di Gesù e come Gesù”, cioè vivere quel rapporto d’amore col Padre che si attua nel fare la volontà sua: figli nel Figlio.
Ciò facendo capiremo che l’unica volontà di Dio che dobbiamo fare è di amare.
Come amare poi, nelle circostanze concrete della vita, lo dobbiamo scoprire con il discernimento. Dunque dobbiamo saper cercare e discernere la volontà di Dio. A questo proposito, l’Apostolo Paolo raccomanda: “Non conformatevi alla volontà di questo secolo, ma trasformatevi…, per poter discernere la volontà di Dio” (Rm 12,2).
Essa si scopre momento per momento con l’ascolto e la docilità alla voce dello Spirito dentro di noi: “Camminate secondo [cioè sotto l’impulso del]lo Spirito”, scrive ancora l’Apostolo delle Genti (Gal 5, 16). Perciò è necessario affinare la sensibilità soprannaturale, l’“istinto” evangelico che lo Spirito ci ha dato e che si sviluppa solo esercitandolo.
Per ottenere questa sensibilità alla voce dello Spirito, San Paolo ritiene necessarie ancora due cose.
La prima è l’inserimento e il progresso nella vita di reciproco amore entro la vita della Chiesa che si manifesta nella comunità diocesana, parrocchiale o religiosa: “Prego [Dio] che la vostra carità [= amore cristiano vissuto nella comunità] si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio” (Fil 1,9-10).
La seconda è la preghiera, perché la conoscenza della volontà di Dio è anche un dono: “Non cessiamo di pregare per voi e di chiedere che abbiate una piena conoscenza della sua volontà”(Col 1,9).
3) L’esempio delle Vergini consacrate.
Un esempio speciale di una come si possa fare la volontà del Padre ci viene dalle Vergini consacrate, che con una vita totalmente donata a Cristo Sposo fanno la volontà di Dio offrendoGli non solo quello che hanno, ma quello che sono. Con il “propositum” dell’ obbedienza hanno interamente donato il cuore a Dio, con quello della castità gli hanno offerto il corpo, con quello della povertà il loro beni per metterli a servizio dell’amore di Dio e del prossimo. Questi tre bracci della croce spirituale (obbedienza, castità e povertà) aggiungo quello dell’umiltà.
L’umiltà non gode – al giorno d’oggi e, forse non ha mai goduto – di una grande stima, ma le Vergini consacrate nel mondo sanno che questa virtù rende fecondo il lavoro nella vigna di Dio. Umiltà viene dalla parola latina humilitas, che ha a che fare con humus (terra), cioè con l’aderenza alla terra, alla realtà. Queste donne, che si sono donate completamente a Dio, vivono da persone umili perché vivendo in Lui e per Lui ascoltano umilmente Cristo, la Parola di Dio, e tendono avere gli stessi sentimenti del loro Sposo (“Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” – Fil 2,5), da loro amato. E come diceva Sant’Agostino: “Non c’è carità senza umiltà” (Prologo del Commento alla Lettera di San Giovani) e in altro libro scrive: “Custode della verginità è la carità, la casa dove abita questo custode e l’umiltà” (Sulla Santa virginità, 51, 52).
La vocazione a vivere la verginità consacrata come dono completo di sé a Cristo e segno della Chiesa Sposa si esplicita nel loro affidarsi senza riserve all’amore del loro Sposo, all’intensità della comunione con Lui, all’umile carità che si fa servizio disinteressato alla Chiesa e testimonianza luminosa di fede, speranza e carità, nel contesto della vita ordinaria. Come chiede il Rito della loro consacrazione (cfr nn. 14-18) ogni vergine appartenente all’Ordo si impegna costantemente ed ha presente che la preghiera non è solo personale, generosa risposta alla voce dello Sposo e umile richiesta di aiuto per mantenersi fedele al santo proposito e al dono ricevuto, ma è intima partecipazione alla vita del corpo mistico di Cristo, intercessione instancabile per la Chiesa e per il mondo.
Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona (354 – 430)
Sermo 25, 3.7
Legame di sangue e legame di spirito di Maria con Gesù
Il brano che ho qui proposto ha molti nodi. Come ha potuto il Signore Gesù Cristo con tutta la sua pietà tenere a distanza sua madre, la Vergine madre, alla quale egli stesso diede tale fecondità che non ne distruggesse la verginità, Vergine nel concepire, Vergine nel partorire, Vergine sempre-Vergine. Una tal madre egli tenne a distanza, perché il materno amore non si insinuasse nell’opera ch’egli faceva e gli fosse d’impedimento. Che cosa, infatti, faceva? Parlava ai popoli, distruggeva i vecchi uomini, edificava i nuovi, liberava le anime, scioglieva gl’incatenati, illuminava i ciechi, faceva il bene, s’impegnava al bene in opere e parole. Mentre era impegnato in queste cose gli fu portato il messaggio del suo legame con la madre. Avete sentito la sua risposta; non ho bisogno di ripeterla. La ritengano le madri, perché non sian d’ostacolo alle opere buone dei figli. Se cercheranno d’impedirli e faranno dei guasti, saranno allontanate dai figli. Oso dire: Saranno allontanate, per rispetto saranno allontanate. E non dovrà essere tenuta a distanza dal figlio intento a un’opera buona, una madre irata, sia sposata o vedova, quando la Vergine Maria fu tenuta a distanza? Forse mi dirai: Vuoi paragonare mio figlio a Cristo? Non paragono tuo figlio a Cristo, ma neanche te a Maria. Non condannò il Signore Gesù l’affetto materno, ma il suo esempio dimostrò che, per l’opera di Dio, anche una madre dev’essere tenuta a distanza…
State più attenti, fratelli miei carissimi a ciò che dice il Signore, stendendo le mani verso i suoi discepoli: “Questa è mia madre, questi i miei fratelli. Chi fa la volontà del Padre, che mi ha mandato, mi è fratello, sorella e madre” (Mt 12,49-50). Non fece forse la volontà del Padre la Vergine Maria, la quale per fede credette, per fede concepì, fu scelta perché da lei venisse a noi la salvezza, fu creata da Cristo, prima che Cristo fosse fatto? Fece, fece certamente la santa Maria la volontà del Padre ed essa è più discepola che madre di Cristo. C’è più felicità ad essere discepola che madre di Cristo. Perciò Maria era beata, perché, anche prima che lo concepisse, portava il maestro nel suo seno. Vedi se non è come dico io. Mentre Gesù passava tra turbe di gente e faceva miracoli divini, una certa donna disse: “Beato il ventre che t’ha portato!” E il Signore, perché non si cercasse la felicità in un rapporto di carne, che cosa rispose? “Anzi, beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la tengono ben custodita” (Lc 11,27-28). Anche Maria beata, allora, perché ascoltò e conservò la parola di Dio. Maria custodì più Cristo con la mente, che non ne abbia tenuto la carne nel seno.
Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.