Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano

Mons. Follo: Pane dei pellegrini

Corpus Domini – Anno B – 3 giugno 2018

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Rito Romano
Es 24, 3-8; Sal 115; Eb 9, 11-15; Mc 14, 12-16. 22-26.
Corpus Domini
 
Rito Ambrosiano
Sir 16,24-30; Sal 148; Rm 1,16-21; Lc 12,22-31
II Domenica di Pentecoste
 
1) Presenza nel mondo, per salvarlo
In questa domenica in cui si festeggia il Corpus Domini[1], festa di lode e di ringraziamento, la Chiesa non solo celebra l’Eucaristia, ma la reca solennemente in processione, annunciando pubblicamente che il Sacrificio di Cristo è per la salvezza del mondo intero. Bisogna portare Cristo  sulle strade del mondo, perché Colui che le fragili specie dell’Ostia velano è venuto sulla terra proprio per essere “la vita del mondo” (Gv 6, 51).
Con questa processione siamo annunciatori cioè missionari, e persone con una meta santa cioè pellegrini.
Siamo missionari perché camminando uniti attorno al Corpo di Colui, che è il Signore del cosmo e della storia, portiamo Cristo al mondo intero e con Lui l’annuncio di quella pace che Lui ci ha lasciato e che il mondo non può dare.  La nostra processione eucaristica ci permette di testimoniare con umile gioia che in quella piccola Ostia candida, che il Sacerdote porta devotamente, c’è la risposta agli interrogativi più assillanti. C’è il conforto di ogni più straziante dolore. C’è, in pegno, l’appagamento di quella sete bruciante di felicità e di amore che ognuno si porta dentro, nel segreto del cuore.
Siamo pellegrini perché andiamo verso l’eterna patria celeste. Siamo pellegrini non soltanto per l’inquietudine dell’eterno, che possediamo in comune con ogni essere umano, ma per vocazione. Cristo ci chiama a condividere la sua amicizia e la sua missione. Non siamo soli nel nostro pellegrinaggio: con noi cammina Cristo, Pellegrino che rinnova la presenza di Dio sulle strade del mondo, Pellegrino con i pellegrini sulla strada di Emmaus. Emmaus significa il luogo dove Cristo spezza se stesso quale Pane della vita, Pane degli angeli, Pane dei pellegrini “panis angelorum, factus cibus viatorum -” (Sequenza della Messa di oggi) che ci dà la forza di riprendere il cammino con Lui, per Lui, in Lui.
Oggi, “festa del Corpus Domini, abbiamo la gioia non solo di celebrare questo mistero, ma anche di lodarlo e cantarlo per le strade della città dove abitiamo. La processione che si fa al termine della Messa, possa esprimere la nostra riconoscenza per tutto il cammino che Dio ci ha fatto percorrere attraverso il deserto delle nostre povertà, per farci uscire dalla condizione servile, nutrendoci del suo Amore mediante il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue” (Papa Francesco)
Dunque per poter compiere il cammino della vita, che la processione di oggi significa, occorre cibarsi dell’Eucaristia, di questo Pane degli angeli che si è fatto cibo per gli uomini, affamati di verità, di amore e di libertà.
Stupiti della vicinanza grandissima di Cristo, che abita nelle nostre Chiese, che sta nelle nostre mani, che non aspetta altro che dimorare in noi, non ci resta che prendere come cibo Lui, che “ha preso la nostra carne e il nostro sangue perché la Sua carne e il Suo sangue possano essere la nostra vita” (Card. John Henri Newman).
Cerchiamo di avere lo stesso stupore della Vergine Maria che con sguardo rapito contemplava il volto di Cristo a Betlemme come a Gerusalemme. Dalla Culla alla Croce la Madonna non smise di guardare con fede amorosa il volto di Figlio e di stringerlo con pietà tra le sue braccia non appena nato e non appena morto, sia la nostra Madre celeste il modello di amore a cui deve ispirarsi la nostra adorazione eucaristica. In questo modo vivremo l’Eucaristia non come semplice gesto devozionale, ma come gesto della vita e che influisce sulla vita.
 
            2) Presenti alla PRESENZA.
Il mistero[2] eucaristico ha tre aspetti: sacrificio, comunione e presenza. La festa del Corpo del Signore soprattutto celebra un aspetto, quello della presenza reale. Non possiamo e non dobbiamo separare i tre aspetti propri di questo mistero, ma ciò non ci impedisce oggi di riflettere principalmente sul mistero della presenza reale, per essere presenti a questa Presenza, che si dona completamente a noi.
“Ogni qualvolta noi facciamo un atto di fede nella Presenza reale del Cristo noi facciamo un atto che è molto superiore e quello di tutto Israele che ha passato il Mar Rosso. In questo caso, Israele passò dalla terra dell’esilio a una terra di libertà. E noi grazie all’Eucarestia passiamo da questo mondo a quello del Padre.” (D. Divo Barsotti).
Il 15 ottobre 2015, nell’incontro di Benedetto XVI con i bambini della prima Comunione, uno di loro, Andre fece questa domanda: “La mia catechista, preparandomi al giorno della mia prima Comunione, mi ha detto che Gesù è presente nell’Eucaristia. Ma come? Io non lo vedo!”. Benedetto XVI rispose: “Sì, non lo vediamo, ma ci sono tante cose che non vediamo e che esistono e sono essenziali. Per esempio, non vediamo la nostra ragione, tuttavia abbiamo la ragione. Non vediamo la nostra intelligenza e l’abbiamo. Non vediamo, in una parola, la nostra anima e tuttavia esiste e ne vediamo gli effetti, perché possiamo parlare, pensare, decidere… Così pure non vediamo, per esempio, la corrente elettrica, e tuttavia vediamo che esiste, vediamo questo microfono come funziona; vediamo le luci. In una parola, proprio le cose più profonde, che sostengono realmente la vita e il mondo, non le vediamo, ma possiamo vedere, sentire gli effetti. L’elettricità, la corrente non le vediamo, ma la luce la vediamo. E così via. E così anche il Signore risorto non lo vediamo con i nostri occhi, ma vediamo che dove è Gesù, gli uomini cambiano, diventano migliori. Si crea una maggiore capacità di pace, di riconciliazione… Quindi, non vediamo il Signore stesso, ma vediamo gli effetti: così possiamo capire che Gesù è presente Andiamo dunque incontro a questo Signore invisibile, ma forte, che ci aiuta a vivere bene”.
Il cuore della risposta di Benedetto XVI colpisce davvero nel segno: “Proprio le cose invisibili sono le più profonde e importanti”. In fondo è il segreto che la volpe rivela al Piccolo Principe del bel racconto di Antoine de Saint-Exupery: “Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”[3].
Poco sopra, ho proposto la Madonna come modello di persona adorante il Presente, il Figlio di Dio che aveva preso la sua carne. Adesso propongo come esempio un’altra Maria: la Maddalena. Presentiamoci al Cristo nel tabernacolo come questa donna si presentò ai piedi del Signore e ascoltava la sua parola (Lc 10, 39). Certamente era era più contenta di vedere Gesù più che di ascoltare le sue parole. Il suo volto santo, il suo sguardo, il suo sorriso, il suo perdono toccavano il cuore di Maria Maddalena. Gesù è lo stesso nel SS.mo Sacramento. Semplicemente mettiamoci ai suoi piedi come Maria, nella gioia di essere con Lui.
C’è anche l’esempio del contadino, parrocchiano del Santo Curato d’Ars. Questo umile, semplice lavoratore della terra, dopo una giornata nei campi stava in chiesa e guardava il tabernacolo, senza aprire bocca. Alla domanda del suo Santo parroco: “Che dici in questo tempo di adorazione?”, il contadino rispose: “Io guardo Lui e Lui guarda me”. Quando Gesù guarda un’anima, Lui le dona la sua somiglianza – diceva Santa Teresa d’Avila – ma occorre che quest’anima non smetta di fissare solamente su di Lui il suo sguardo. Quando San Pietro camminando sulle acque tolse gli occhi da Cristo per guardare la tempesta, cominciò ad affondare. Pietro imparò la lezione e ci insegna anche oggi a tenere fissi gli occhi sul volto del Signore “come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori” (2 Pt 1,19). Se diamo tempo a Cristo nella preghiera e, in particolare, nell’adorazione avremo come dono Cristo stesso che ci tende la mano e ci tira fuori dall’acqua che affoga.
“L’adorazione nella sua essenza è un abbraccio con Gesù, nel quale gli dico: ‘Io sono tuo e ti prego sii anche tu sempre con me’” (Benedetto XVI). L’adorazione del Ss.mo Sacramento è sempre preparazione e ringraziamento della Messa. Essa costituisce il momento per eccellenza nel quale sviluppiamo e facciamo cresce in noi l’offerta di noi stessi, completamente. In effetti, il significato dell’adorazione eucaristica non è solo quello di mettersi in ginocchio davanti alla presenza di Cristo nel sacramento, ma anche di unirci all’offerta pura e perfetta del nostro Salvatore. L’adorazione eucaristica ci dona il desiderio e la forza di metterci senza esitazione nelle mani di Dio, in totale e lieto abbandono in Lui.
Un esempio ditale offerta di sé ci viene dalla Vergini consacrate nel mondo. Queste donne manifestano con la vita ciò che il loro cuore crede e adora. Esse testimoniano che è possibile vivere eucaristicamente mediante la loro offerta totale a Cristo – Sposo eucaristico. Queste donne testimoniano come ogni consacrazione al Signore deve esprimersi sempre mediante l’offerta completa di sé. “il mistero eucaristico ha anche un intrinseco rapporto con la verginità consacrata, in quanto quest’ultima è espressione della dedizione esclusiva della Chiesa a Cristo, che lei accoglie come suo Sposo con fedeltà radicale e feconda. Nell’Eucaristia la verginità consacrata trova ispirazione e nutrimento della sua dedizione totale a Cristo”(Benedetto XVI,  Sacramentum Caritatis, 81).
Con un’esistenza che si alimenta del Corpo di Cristo, le donne consacrate mostrano che la verginità non è soltanto capacità di offrirsi completamente in dono a Dio, ma la di accogliere il dono di Dio, la scelta di Dio.
Con la loro vita alimentata dall’Eucaristia, sono testimoni visibili dell’amore di Dio invisibile mostrando nella semplicità della vita quotidiana che la vita umana può diventare eucaristia. Così mostrano che la preghiera diventa vita e la vita diventa preghiera.
 
Lettura (quasi) Patristica
San Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa
(Opuscolo 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4)
 
O prezioso e meraviglioso convito!
L’Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi, da uomini, dèi.
Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull’altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati.
Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino.
O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commensali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Che cosa di più sublime di questo sacramento?
Nessun sacramento in realtà è più salutare di questo: per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nella Chiesa l’Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti.
Nessuno infine può esprimere la soavità di questo sacramento. Per mezzo di esso si gusta la dolcezza spirituale nella sua stessa fonte e si fa memoria di quella altissima carità, che Cristo ha dimostrato nella sua passione.
Egli istituì l’Eucaristia nell’ultima cena, quando, celebrata la Pasqua con i suoi discepoli, stava per passare dal mondo al Padre.
L’Eucaristia è il memoriale della passione, il compimento delle figure dell’Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini.
[1] Questa festa, nella sua forma storica, è sorta nel secolo 13° e si è sviluppata ampiamente nelle Comunità cattoliche in tutto il mondo. Tuttavia l’inizio di questa festa può essere visto già in quella prima “processione” composta dagli apostoli, che circondavano Cristo e nello stesso tempo portandolo nei loro cuori come Eucaristia, uscirono dal cenacolo verso il monte degli Ulivi. Era il Giovedì santo.
[2] Per chi crede, “mistero” non è qualcosa di oscuro, in cui nulla c’è da capire. Al contrario, si tratta di qualcosa di così profondo, in cui c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire e mai possiamo dire di averne raggiunto il fondo.
[3] A. De Saint-Exupery, Il piccolo principe,  Milano 1979, p. 98.
Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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