Card. Pietro Parolin / Fonte: Holy See Mission

"Non si vive nella Chiesa come atomi indipendenti ed autoreferenziali"

Celebrazione Eucaristica presieduta dal Cardinale Segretario di Stato in occasione del 750° anniversario della dedicazione della Cattedrale di Monreale

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Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Segretario di Stato Card. Pietro Parolin ha pronunciato ieri nel corso della Celebrazione Eucaristica in occasione del 750° anniversario della Dedicazione della Cattedrale di Monreale:
Eminenze, Caro Mons. Pennisi, Cari confratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, Cari Diaconi, Distinte Autorità civili e militari, Cari fratelli e sorelle,
L’Arcidiocesi di Monreale festeggia oggi la conclusione delle celebrazioni per il 750° anniversario della solenne dedicazione della sua splendida Cattedrale, avvenuta il 25 aprile 1267, ad opera del Cardinale francese Rodolfo Grosparmi, Vescovo di Albano e Legato Pontificio di Papa Clemente IV. La ringrazio, Eccellenza, per avermi invitato a partecipare a questo momento di gioia per l’intera comunità diocesana e saluto con affetto fraterno tutti i presenti, anche a nome di Papa Francesco, che mi ha incaricato di esprimervi la sua vicinanza e di trasmettervi la sua benedizione. Alla gratitudine al Signore per questa magnifica opera, espressione della fede e del sommo ingegno artistico, si aggiunge un ulteriore motivo di letizia, caro Mons. Pennisi, per il grato ricordo del 5° anniversario dell’inizio del suo ministero pastorale in questa Chiesa.
Lo scenario che si apre all’occhio del visitatore di questa Cattedrale – fosse anche il più distratto o il più lontano dalla fede – suscita meraviglia per l’armoniosa e radiosa concentrazione di perfetta bellezza. Lo splendore di ori e di figure indirizza l’attenzione sul Pantocrator, il Cristo onnipotente e benedicente del catino absidale, immenso, sereno, glorioso, che non ci si stanca di contemplare.
Tante personalità furono toccate da questo incanto, tra le quali il teologo tedesco Romano Guardini, colmo di gratitudine per l’esistenza di questo tempio, il P. David M. Turoldo, che chiamò Monreale “mirabile tesoro” e tanti altri. Il Duomo di Monreale suscita i medesimi sentimenti provati dagli ambasciatori del Principe Vladimir di Kiev, quando, nel 987, partecipando ad una liturgia in una chiesa di Costantinopoli, riferirono al re che pareva loro di essere rapiti tra cielo e terra. La magnificenza dei mosaici e dell’intera costruzione, infatti, diventa più viva e vivificante partecipando all’azione liturgica, quando il popolo cristiano e il suo Pastore celebrano uniti le lodi del Signore e rinnovano il suo sacrificio sulla Croce.
Le energie e l’ingegno profusi per la costruzione del tempio sono al servizio dell’azione della preghiera della comunità cristiana. Allo splendore del luogo, che ripercorre attraverso immagini la storia della salvezza, corrisponde il miracolo quotidiano che ci fa gustare l’Eucaristia. Le meraviglie create dall’arte ispirata dalla Parola di Dio diventano luogo ideale per accogliere la presenza del Signore divenuto cibo e bevanda di vita per il suo popolo. Partecipando con devozione ad un’azione liturgica in questo tempio e, in modo del tutto speciale alla S. Messa, possiamo dunque fare esperienza di un tempo e di un luogo dove l’umanità si affaccia sull’eternità, sfiora il divino, e dialoga con esso, ricevendone grazie e consolazione. Possiamo entrare in una benedetta terra di confine, dove Dio comunica con noi e noi con Lui. Grazie all’Eucaristia di cui ci nutriamo, formiamo una vera comunità che cammina insieme e supera sterili egoismi e vuoti personalismi. Il fulgore della Cattedrale ci fa risalire alla fede che lo rese possibile. La grande arte cristiana è davvero, insieme alla testimonianza del martirio e alla carità operosa, la prova più convincente della verità della fede, del fatto che Cristo non è un personaggio relegato nel passato, ma è il Risorto vivente, che guida la storia.
Il Duomo di Monreale invita a prendere sul serio la Rivelazione cristiana, perché una tale cascata di bellezza rimanda alla fonte che l’ha ispirata, a generazioni di credenti che seppero, attraverso la pietra e il mosaico, manifestare la gioia interiore del discepolo redento da Cristo. In ragione dell’inestimabile valore spirituale ed ecclesiale oltre che storico-artistico del vostro Duomo, siete chiamati – con l’aiuto di tutti – a compiere ogni sforzo per custodirlo e mantenerlo rifulgente di luce e di bellezza, in modo da essere all’altezza dei vostri predecessori che l’hanno innalzato. Il Duomo di Monreale è orgoglio e fierezza della città, dell’Arcidiocesi e di tutta la Sicilia, è uno scrigno di fede che si è fatto pietra e mosaico a testimonianza perenne dell’attaccamento dei siciliani alla loro Chiesa e richiede speciale cura, premura e generosità. Le tessere splendenti postulano però qualcosa di più importante, come le letture della S. Messa di oggi ci aiutano a comprendere. Esse mettono in rapporto l’edificio chiesa con il popolo di Dio che in esso si raduna. La bellezza esteriore del tempio trova riscontro nella bellezza dell’anima di ogni fedele, santificata dalla grazia attraverso il battesimo e gli altri sacramenti, che ci rendono membra del Corpo di Cristo. Al magnifico edificio materiale corrisponde quello spirituale, che si costruisce nell’amore. San Pietro a questo proposito ci ricorda che: “Quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio” (1 Pt 2, 5). Le anime salvate da Cristo, abitate dallo Spirito Santo, in cammino verso il Regno di Dio, sono il più grande capolavoro e la più bella cattedrale da tenere pulita, luminosa e salda nelle buone opere. Le realtà più importanti non sono perciò le mura mosaicate, ma le persone che riconoscono il Signore Gesù come pietra angolare e che si riconoscono come “pietre vive” di un edificio spirituale, che presenta una bellezza di santità che le pietre non possono esprimere. Non si può però essere pietre vive rimanendo nell’isolamento, sconnessi dalla comunità che ci trasmette i doni del Signore.
Non si vive nella Chiesa come atomi indipendenti ed autoreferenziali, perché ognuno è in relazione vitale con Dio che lo ha creato e redento e con i fratelli. Lo Spirito Santo ci ha radunati in un solo popolo, di cui siamo membra vive. È necessario perciò assecondarne il soffio e sforzarci di creare armonia, di fare coro, per diffondere un concerto melodioso che moltiplichi le energie al servizio del bene. Ci aiuta a comprendere questa dinamica fondamentale il brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo ora letto, dove vengono presentati i pilastri fondamentali della Chiesa delle origini e, di riflesso, di ogni comunità veramente ecclesiale, che si esprime nella perseveranza, vissuta nella concordia, e nella condivisione dei beni spirituali e materiali. Il primo pilastro è l’insegnamento degli Apostoli, testimoni diretti del Signore, da interiorizzare con un impegno serio e continuato. Il secondo pilastro è la comunione, che indica qui la libera condivisione dei beni materiali, la quale rende visibile l’unione spirituale dei credenti, chiamati ad essere “un solo cuore e un’anima sola” (4,32).
La comunione garantisce che ciascuno non manchi del necessario per vivere e che i poveri possano contare sulla solidarietà e generosità di tutti. Chi vuole essere discepolo del Signore non può non soccorrere chi è nella necessità. Come afferma l’Apostolo Giovanni: “Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1 Gv 3,18). Il Cristianesimo è, ad imitazione di Cristo, irradiazione verso tutti e, in modo speciale verso i poveri, della carità. Chi non lo riconosce si dimentica che Nostro Signore “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9), si dimentica che l’amore al prossimo che vediamo è prova e verifica dell’amore a Dio che non vediamo. Il terzo pilastro è lo spezzare il pane con i fratelli nell’Eucaristia in letizia e semplicità di cuore. Esercitando la virtù dell’umiltà, partecipando alle gioie e ai dolori della comunità, facendo della liturgia la principale fonte della carità per assomigliare sempre più al pane eucaristico di cui ci nutriamo, la fede diventa luce che diffonde la carità. Come ha recentemente affermato il Santo Padre Francesco a Molfetta: “Chi si nutre dell’Eucaristia assimila la stessa mentalità del Signore. Egli è Pane spezzato per noi e chi lo riceve diventa a sua volta pane spezzato, che non lievita d’orgoglio, ma si dona agli altri: smette di vivere per sé, per il proprio successo, per avere qualcosa o per diventare qualcuno, ma vive per Gesù e come Gesù, cioè per gli altri…dopo la Messa non si vive più per sé stessi, ma per gli altri” (Omelia 20 aprile 2018).
L’Eucaristia – fonte e centro della comunità – genera una carità fattiva, sulle orme di Cristo, che si è fatto carità del Padre verso di noi. L’assiduità alle preghiere nel tempio, specialmente in alcuni momenti significativi della vita della comunità cristiana, è il quarto pilastro. Nel riunirsi dei fedeli, Dio opera segni e prodigi, rinsalda e fa crescere la comunità e disperde le forze disgregatrici. Ne nasce una vita bella e gioiosa, che sa affrontare le vicende umane, nella loro alternanza tra gioie e dolori, alla luce del Vangelo, senza fughe dalla realtà, ma con la gioia pasquale nel cuore, che irradia una speranza indistruttibile di vita senza fine, con Dio, con la Beata Vergine Maria e tutti i santi. Il brano evangelico ora proclamato ci fa compiere un ulteriore passo avanti. Gesù, rivolgendosi alla samaritana, le dice: “Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre … viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv. 4, 21,23). Gesù sposta l’attenzione ben oltre il luogo esteriore! Non è decisivo adorare Dio in un determinato luogo. È decisivo invece adorarlo nella docilità allo Spirito Santo, con una coscienza limpida, lontana dal male perché redenta da Cristo. Lo splendore del tempio e della liturgia si rivolgono alle anime perché diventino a loro volta splendide per l’azione della Grazia in loro. In tal modo, la preghiera e l’adorazione diverranno vita e carità. Esse hanno bisogno – prima che della bellezza del tempio di pietre – della bellezza di un cuore docile, che ami il Signore ed il prossimo e faccia spazio a Dio in ogni momento dell’esistenza. Nel giorno in cui Monreale esulta per il ricordo della dedicazione della sua Cattedrale e fa gioiosa memoria dell’ingresso nell’Arcidiocesi del suo Pastore, possiamo ripetere le parole del Preconio pasquale risuonate nella notte gloriosa della Risurrezione di Cristo: “Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore, e questo tempio risuoni per le acclamazioni del popolo in festa”. Le innumerevoli grazie elargite dal Signore siano occasione di viva riconoscenza e motivo di rinnovato impegno, a livello personale e familiare, come ecclesiale e comunitario. La Vergine Madre di Dio, alla quale con il titolo di Maria Nascente è dedicato questo tempio, San Castrense e tutti i santi di questa Arcidiocesi, assieme a Santa Rosalia, Sant’Agata e al Beato Padre Giuseppe (Pino) Puglisi, siano i vostri potenti intercessori presso il Padre, affinché vi doni ogni bene, consolazione e grazia. Così sia.

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ZENIT Staff

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