Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano

Mons. Francesco Follo: Trasfigurazione di Cristo per trasfigurare lo sguardo umano

Rendendolo capace di vedere la presenza di Dio nella carne del Crocifisso – Rito Romano – II Domenica di Quaresima – Anno B – 25 febbraio 2018

Share this Entry

Rito Romano – II Domenica di Quaresima – Anno B – 25 febbraio 2018
Gen 22,1-2.9.10-13.15-18; Sal 115; Rm 8,31-34; Mc 9,2-10
Rito Ambrosiano
Dt 5, 1-2. 6-21; Sal 18; Ef 4, 1-7; Gv 4, 5-42
Domenica della Samaritana – II Domenica di Quaresima
1) Tentazione e Trasfigurazione.
Nella prima domenica di Quaresima, abbiamo contemplato Cristo superare la prova della fame. Non si trattò solo di una fame corporale, come ogni essere umano Gesù ebbe tre fami:

  1. fame di vita, che tenta l’uomo al possesso e l’accumulo spropositato di beni materiali. Per questo il demonio gli chiese di trasformare le pietre in pane;
  2. fame di relazioni umane, che possono essere d’amicizia o di potere. Il diavolo tenta Cristo di soddisfare questa fame offrendogli potere;
  3. fame di onnipotenza, che spinge a soffocare il desiderio di Dio cioè l’anelito di infinito e di libertà senza limiti, inducendo alla tentazione di progettare la propria esistenza secondo i criteri umani della facilità, del successo, del potere, dell’apparenza, cedendo alla tentazione di adorare il Menzognero (il diavolo) invece di adorare il vero Amore provvidente.

Il Messia vinse la tentazione di queste tre fami, usando come criterio di discernimento quello della fedeltà al progetto di Dio, a cui aderiva pienamente e di cui Lui è Parola fatta carne per redimerci.
Imitiamo l’esempio di Cristo, “usando” la Parola di Dio come strumento che ci è messo a disposizione per capire la volontà di Dio e vincere la tentazione di queste tre fami: di vita, di amore e di potere. relazioni e di Dio: “Quando sei colto dai morsi della fame – e possiamo aggiungere anche della tentazione – lascia che la Parola di Dio divenga il tuo pane di vita, lascia che Cristo sia il tuo Pane di Vita” (Sant’Agostino d’Ippona),
Dal deserto – il luogo della prova, della ribellione, dove abita il tentatore, l’accusatore (I domenica di Quaresima) – al monte della trasfigurazione, al luogo della manifestazione di Dio, della sua rivelazione, della sua santità. Questo è il cammino che seconda domenica di Quaresima apre davanti a noi.
Dal deserto, che ricorda che la vita umana è un esodo, un ritorno a casa che passa per il deserto, luogo della prova e dell’incontro con Dio, oggi arriviamo al Monte Tabor, il luogo della trasfigurazione, che manifesta la  verità splendente di Cristo, per permettere a chi lo segue di arrivare alla Pasqua non nonostante la Croce ma attraverso la Croce.
Gesù, infatti, ci dice: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). Ci dice, cioè, che per giungere con Lui alla luce e alla gioia della risurrezione, alla vittoria della vita, dell’amore, del bene, anche noi dobbiamo prendere la croce di ogni giorno, come ci esorta una bella pagina dell’Imitazione di Cristo: “Prendi, dunque, la tua croce e segui Gesù; così entrerai nella vita eterna. Ti ha preceduto lui stesso, portando la sua croce (Gv 19,17) ed è morto per te, affinché anche tu portassi la tua croce e desiderassi di essere anche tu crocifisso. Infatti, se sarai morto con lui, con lui e come lui vivrai. Se gli sarai stato compagno nella sofferenza, gli sarai compagno anche nella gloria” (L. 2, c. 12, n. 2).
Dunque, meditiamo insieme i fatti presentati da queste due domeniche, perché anticipano il mistero pasquale: la lotta di Gesù col tentatore anticipa il grande duello finale della Passione, mentre la luce del suo Corpo trasfigurato anticipa la gloria della Risurrezione. Da una parte vediamo Gesù pienamente uomo, che condivide con noi persino la tentazione. Dall’altra, lo contempliamo Figlio di Dio, che divinizza la nostra umanità.

2) Esodo di Trasfigurazione.

Oggi, dunque, l’esodo, cioè il cammino di liberazione che siamo chiamati a compiere, è quello della contemplazione. Grazie alla contemplazione la preghiera diventa sguardo e il nostro cuore, che è il “centro” della nostra anima, si apre alla luce dell’amore di Cristo.
In questo modo possiamo comprendere quale è  il cammino che ci indica la liturgia di questa domenica: quello di un pellegrino che compie l’esodo che lo conduce alla Terra promessa: la Vita eterna con Cristo.
Un cammino impregnato di nostalgia, costellato di precarietà e debolezza, ma colmo di speranza, quella di coloro che hanno il cuore ferito dall’amato, e colmo di luce perché “la ‘luminosità’, che caratterizza evento straordinario della trasfigurazione, ne simboleggia lo scopo: illuminare le menti e i cuori dei discepoli affinché possano comprendere chiaramente chi sia il loro Maestro. È uno sprazzo di luce che si apre improvviso sul mistero di Gesù e illumina tutta la sua persona e tutta la sua vicenda” (Papa Francesco).
E’ vero che seguire il Signore è essere con Lui crocifissi. E’ vero che ad ogni passo le ferite del dolore ci trapassano il cuore. E’ vero il male, è vero il peccato, è vera la morte. Ma è vera anche la Trasfigurazione di tutto, è vera la bellezza che supera e dà senso ad ogni cosa: “Nella passione di Cristo l’esperienza del bello riceve una nuova profondità, un nuovo realismo. Colui che è la “Bellezza in sé” si è lasciato percuotere sul volto, coprire di sputi, incoronare di spine Ma proprio in quel volto sfigurato appare l’autentica, estrema Bellezza dell’Amore che ama “sino alla fine”, mostrandosi così più forte di ogni menzogna e violenza.
Un esempio di come cogliere questa bellezza trasfigurata ci viene dalla vergini consacrate. In modo speciale queste donne testimoniano tre aspetti specifici del cristiano.
Il primo è quello donarsi in completo abbandono a Cristo perché si fidano amorosamente del suo Amore, “che non esita a svestirsi della bellezza esteriore, per annunciare in questo modo la Verità della Bellezza” (Joseph Ratzinger).  Con la verginità consacrata queste donne annunciano proprio la bellezza crocifissa, la bellezza trasfigurata, la sua bellezza che è la nostra vera bellezza.
Il secondo è quello di testimoniare, nella propria esistenza verginalmente vissuta, la necessità di discendere dal Monte per tornare alla missione evangelizzatrice del Signore, missione che passa per la Croce e proclama la Resurrezione che altro non è se non la Trasfigurazione resa eterna nell’Umanità del Signore.
Il terzo è quello di mostrare che l’ascolto è la dimensione principale del discepolo di Cristo. Il Vangelo di oggi riporta: “ Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” (Mc 9,7).
In un mondo che ha l’abitudine di dire tante parole (sarebbe meglio dire chiacchere), queste donne si mettono in costante ascolto della Parola e, sull’esempio della Vergine Maria, diventano “vergini dell’ascolto e madri della Parola”.
A tutti il Padre chiede di essere ascoltatori della Parola, le cui parole sono parole di vita perché, attraverso la Croce, purificano da ogni opera morta e uniscono a Dio ed ai fratelli.
Questa Parola ha bisogno di un luogo (il nostro cuore), ha bisogno di scendere in fondo, e, lì, morire, come un seme, per mettere radice, per crescere e germogliare, e resistere dinnanzi alle bufere e alle intemperie, come una casa costruita sulla Roccia.
Questa parola per essere ascoltata, oltre che di attenzione, ha bisogno di silenzio. E’ necessario il silenzio interiore ed esteriore perché tale parola possa essere udita. E questo è un punto particolarmente difficile per noi nel nostro tempo. Infatti, la nostra è un’epoca in cui non si favorisce il raccoglimento; anzi a volte si ha l’impressione che ci sia paura a staccarsi, anche per un istante, dal fiume di parole e di immagini che segnano e riempiono le giornate.
La vita riservata delle vergini consacrate mostra come sia importante educarci al valore del silenzio perché si accoglie la Parola di Dio nella vita personale ed ecclesiale, valorizzando il raccoglimento e la calma interiore. Senza silenzio non si sente, non si ascolta, non si riceve la Parola e quello che essa dice. Vale sempre l’osservazione di sant’Agostino: Verbo crescente, verba deficiunt – “Quando il Verbo di Dio cresce, le parole dell’uomo vengono meno” (cfr Sermo 288,5: PL 38,1307; Sermo 120,2: PL38,677)
 
Lettura patristica
San Leone Magno (390 circa –  461)
Sermo 38, 4-8
Per gli apostoli, che invero avevano bisogno di essere rafforzati nella fede e di essere iniziati alla conoscenza di ogni cosa, da quel miracolo scaturisce un altro insegnamento. In effetti, Mosè ed Elia, ossia la Legge e i Profeti, apparvero intrattenendosi con il Signore: ciò affinché si compisse perfettamente, attraverso la presenza di cinque persone, quanto è scritto: “Ogni parola è certa, se pronunciata in presenza di due o tre testimoni” (Dt 19,15; Mt 18,16). Per proclamarla, la duplice tromba dell’Antico e del Nuovo Testamento risuona in pieno accordo e tutto ciò che serviva a darle testimonianza nei tempi antichi si ricongiunge con l’insegnamento del Vangelo! Le pagine dell’una e dell’altra Alleanza, infatti, si confermano vicendevolmente, e colui che gli antichi simboli avevano promesso sotto il velo dei misteri, lo sfolgorio della sua gloria presente lo mostra manifesto e certo: si è che – come afferma san Giovanni -: “La legge fu data da Mosè, ma la grazia e la verità ci sono venute da Gesù Cristo” (Jn 1,17), nel quale si sono compiuti tanto le promesse delle figure profetiche, tanto il significato dei precetti della Legge; infatti, con la sua presenza, egli insegna la verità della profezia, e, con la sua grazia, rende possibile la pratica dei comandamenti.
Animato dalla rivelazione dei misteri e preso dal disprezzo e dal disgusto delle terrene cose, l’apostolo Pietro era come rapito in estasi nel desiderio di quelle eterne, e, ripieno del gaudio di tutta quella visione, desiderava abitare con Gesù là dove la di lui gloria si era manifestata, costituendo la sua gioia. Ecco perché disse: “Signore, è bello per noi stare qui; se vuoi, facciamo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia” (Mt 17,4). Ma il Signore non rispose a tale suggerimento, certo non per mostrare che quel desiderio era cattivo, bensì per significare che era fuori posto, non potendo il mondo essere salvato senza la morte di Cristo; così, l’esempio del Signore invitava la fede dei credenti a capire che, senza alcun dubbio nei confronti della felicità promessa, dobbiamo nondimeno, in mezzo alle prove di questa vita, chiedere la pazienza prima della gloria; la felicità del Regno non può, infatti, precedere il tempo della sofferenza.
Ed ecco che, mentre ancora parlava, una nube luminosa li avvolse e una voce dalla nube diceva: “Questi è il mio Figlio diletto in cui mi sono compiaciuto, ascoltatelo” (Mt 17,5). Il Padre, senza alcun dubbio era presente nel Figlio e, in quella luce che il Signore aveva misuratamente mostrato ai discepoli, l’essenza di colui che genera non era separata dall’Unigenito generato, ma, per evidenziare la proprietà di ciascuna persona, la voce uscita dalla nube annunciò il Padre alle orecchie, così come lo splendore diffuso dal corpo rivelò il Figlio agli occhi. All’udire la voce, i discepoli caddero bocconi, molto spaventati, tremando non solo davanti alla maestà del Padre, ma anche davanti a quella del Figlio: per un moto di più profonda intelligenza, infatti, essi compresero che unica era la Divinità di entrambi, e poiché non vi era esitazione nella fede non vi fu discrezione nel timore. Quella divina testimonianza fu dunque ampia e molteplice e il potere delle parole fece capire più del suono della voce. Infatti, quando il Padre dice: “Questi è il mio figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo“, non si doveva forse intendere chiaramente: “Questi è il mio Figlio“, per il quale essere da me e essere con me è una realtà che sfugge al tempo? Infatti, né Colui che genera è anteriore al Generato, né il Generato è posteriore a Colui che lo genera. “Questi è il mio Figlio“, che da me non separa la divinità, non divide la potenza, non distingue l’eternità. Questi è il mio Figlio, non adottivo, ma proprio; non creato d’altronde, ma da me generato; non di natura diversa e reso a me simile, ma della mia stessa essenza e nato uguale a me. “Questi è il mio Figlio per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza il quale nulla è stato fatto” (Jn 1,3), il quale, tutto ciò che io faccio egli del pari lo compie (Jn 5,19) e quanto io opero, egli opera con me senza differenza. Nel Padre infatti è il Figlio e nel Figlio il Padre (Jn 10,38), e la nostra unità mai si separa. E quantunque io che genero sia altro da colui che ho generato, non vi è tuttavia permesso avere a suo riguardo opinione diversa da quella che vi è possibile avere di me. “Questi è il mio Figlio“, che non considerò bottino di rapina l’uguaglianza che ha con me (Ph 2,6), né se ne appropriò usurpandola; ma, pur restando nella condizione della sua gloria, egli, per portare a termine il disegno di restaurazione del genere umano, umiliò fino alla condizione di servo l’immutabile Divinità.
Quegli, dunque, in cui ripongo tutta la mia compiacenza, e il cui insegnamento mi manifesta, la cui umiltà mi glorifica, ascoltatelo senza esitazione; egli, infatti, è verità e vita (Jn 14,6); egli è mia potenza e mia sapienza (1Co 1,24). “Ascoltatelo“, lui che i misteri della Legge hanno annunciato, che la voce dei profeti ha cantato. “Ascoltatelo“, lui che ha riscattato il mondo con il suo sangue, che ha incatenato il diavolo e gli ha rapito le spoglie (Mt 12,29), che ha lacerato il chirografo del debito (Col 2,14) e il patto della prevaricazione. “Ascoltatelo“, lui che apre la via del cielo e, con il supplizio della croce, vi prepara la scalinata per salire al Regno. Perché avete paura di essere riscattati? Perché temete di essere sciolti dalle vostre catene? Avvenga pure ciò che, come anch’io lo voglio, Cristo vuole. Buttate via il timore carnale e armatevi della costanza che la fede ispira; è indegno di voi, infatti, temere nella Passione del Salvatore ciò che per suo aiuto, non temerete nella vostra morte.
Queste cose, o carissimi, non furono dette soltanto per utilità di coloro che le intesero con le proprie orecchie; bensì, nella persona dei tre apostoli, è tutta la Chiesa che apprende ciò che essi videro con i loro occhi e percepirono con le loro orecchie. Si rafforzi dunque la fede di tutti secondo la predicazione del santo Vangelo, e nessuno arrossisca della croce di Cristo, per la quale il mondo è stato riscattato. Di conseguenza, nessuno abbia paura di soffrire per la giustizia (1P 3,14), né dubiti di ricevere la ricompensa promessa, poiché è attraverso la fatica che si accede al riposo, e alla vita attraverso la morte. Egli, infatti, si è presa in carico tutta la debolezza propria alla nostra bassezza; egli, nel quale, se rimaniamo (Jn 15,9) nella di lui confessione e nel suo amore, siamo vincitori di ciò che egli ha vinto e riceveremo ciò che egli ha promesso.
Si tratti allora di praticare i comandamenti o si tratti di sopportare le avversità della vita, la voce del Padre che si è fatta udire deve sempre risuonare alle nostre orecchie: “Questi è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo; lui che vive e regna con il Padre e con lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

© Mons. Francesco Follo

Share this Entry

Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione