I Rohingya, l’evangelizzazione, il dialogo interreligioso, le armi nucleari e la Cina sono stati solo alcuni degli argomenti trattati durante la conferenza stampa a bordo dell’aereo che portava il Santo Padre e i giornalisti da Dakha a Roma.
Papa Francesco ha dichiarato di non aver voluto menzionare il nome “Rohingya” in Myanmar -nonostante lo avesse già fatto in precedenza, per esempio nell’Angelus in Piazza San Pietro e durante alcune udienze- ma solo successivamente, in Bangladesh, come gesto di cautela e dialogo: “Per me, la cosa più importante è che il messaggio arrivi, e per questo cercare di dire le cose passo dopo passo e ascoltare le risposte, affinché arrivi il messaggio. Per esempio, un esempio dalla vita quotidiana: un ragazzo, una ragazza nella crisi dell’adolescenza può dire quello che pensa, sbattendo la porta in faccia all’altro e il messaggio non arriva, si chiude. A me interessa che questo messaggio arrivi. Per questo, ho visto che se nel discorso ufficiale [in Myanmar] avessi detto quella parola, avrei sbattuto la porta in faccia. Ma ho descritto le situazioni, i diritti di cittadinanza, ‘nessuno escluso’, per permettermi nei colloqui privati di andare oltre. Io sono rimasto molto, molto soddisfatto dei colloqui che ho potuto avere, perché è vero, non ho avuto – diciamo così – il piacere di sbattere la porta in faccia, pubblicamente, una denuncia, no, ma ho avuto la soddisfazione di dialogare, di far parlare l’altro, di dire la mia e così il messaggio è arrivato. E a tal punto è arrivato, che è continuato e continuato ed è finito ieri con quello.”
Successivamente il Santo Padre ha raccontato del suo incontro con i Rohingya: “A un certo punto, dopo il dialogo interreligioso, la preghiera interreligiosa, questo ha preparato il cuore di tutti noi, eravamo religiosamente molto aperti. Io, almeno, mi sentivo così. Ed è arrivato il momento che loro venissero per salutarmi. In fila indiana – quello non mi è piaciuto, uno dopo l’altro –; ma subito volevano cacciarli via dal palco. E io lì mi sono arrabbiato e ho sgridato un po’ – sono peccatore – e ho detto tante volte la parola ‘rispetto’, rispetto. Ho fermato la cosa, e loro sono rimasti lì. Poi, dopo averli ascoltati a uno a uno con l’interprete che parlava la loro lingua, io cominciai a sentire qualcosa dentro: ‘Ma io non posso lasciarli andare senza dire una parola’, e ho chiesto il microfono. E ho incominciato a parlare… Non ricordo cosa ho detto. So che a un certo punto ho chiesto perdono. Credo due volte, non ricordo. Ma la sua domanda è ‘cosa ho sentito’: in quel momento, io piangevo. Facevo in modo che non si vedesse. Loro piangevano, pure. E poi, ho pensato che eravamo in un incontro interreligioso, mentre i leader delle altre tradizioni religiose erano lontani. [Allora ho detto:] ‘No, venite anche voi: questi sono i rohingya di tutti noi’. E loro hanno salutato. Non sapevo cosa dire di più perché li guardavo, salutavo… E ho pensato: ‘Tutti noi abbiamo parlato, i leader religiosi. Ma uno di voi, che faccia una preghiera, uno del vostro gruppo…’. E credo che fosse un imam, un ‘chierico’ della loro religione, che ha fatto quella preghiera, e anche loro hanno pregato lì, con noi. E, visto tutto il trascorso, tutto il cammino, io ho sentito che il messaggio era arrivato.”
“La Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione, cioè per testimonianza“, così ha risposto Papa Francesco spiegando la differenza fra proselitismo, evangelizzazione e dialogo interreligioso. L’evangelizzazione significa “vivere il Vangelo, è testimoniare come si vive il Vangelo”. Lo Spirito fa la conversione.
Papa Francesco ha condanndato l’uso di armi nucleari: “Siamo al limite della liceità di avere e usare le armi nucleari. Perché? Perché oggi, con l’arsenale nucleare così sofisticato, si rischia la distruzione dell’umanità, o almeno di gran parte dell’umanità.”
Alla domanda sull’incontro con il generale Hein in Myanmar, il Santo Padre ha risposto: “Io non chiudo mai la porta. […] Parlando non si perde nulla, si guadagna sempre. E’ stata una bella conversazione. Io non potrei dire, perché è stata privata, ma non ho negoziato la verità, vi assicuro. Ma l’ho fatto in modo tale che lui capisse un po’ che una strada, come era nei brutti tempi, rinnovata oggi, non è percorribile. E’ stato un bell’incontro, civile; e anche lì, il messaggio è arrivato.”
Papa Francesco ha approfondito la questione del dialogo interreligioso spiegando la situazione dei Rohingya, definiti dalle Nazioni Unite “oggi la minoranza religiosa ed etnica più perseguitata del mondo”. Il Papa ha fatto notare: “Siamo ad un punto in cui, con il dialogo, si può incominciare, un passo e un altro passo, forse mezzo passo indietro e due avanti, ma come si fanno le cose umane: con benevolenza, con dialogo, mai con aggressione, mai con la guerra. Non è facile.”
A Papa Francesco sarebbe piaciuto molto andare nel campo profughi dei Rohingya, però non è stato possibile.
Papa Francesco ha chiarito rispondendo alla domanda sull’Isis: “C’erano gruppi terroristici che cercavano di approfittare della situazione dei rohingya, che sono gente di pace. Come in tutte le etnie e tutte le religioni, c’è sempre anche un gruppo fondamentalista. Anche noi cattolici ne abbiamo. I militari giustificano il loro intervento per questi gruppi. Io non ho scelto di parlare con questa gente, ho scelto di parlare con le vittime di questa gente. Perché le vittime erano il popolo rohingya, che da una parte soffriva quella discriminazione e dall’altra parte era difeso dai terroristi. Ma poveretti! Il governo del Bangladesh ha una campagna molto forte – così mi hanno detto i ministri – di tolleranza-zero al terrorismo, e non solo per questa questione, ma per evitarne anche altre. Questi che si sono arruolati nell’Isis, benché siano rohingya, sono un gruppetto fondamentalista estremista piccolino. Ma questo fanno gli estremisti: giustificano l’intervento che ha distrutto buoni e cattivi.”
Papa Francesco ha spiegato il ruolo importante dell Cina per il Myanmar: “Pechino ha una grande influenza sulla regione, perché è naturale: il Myanmar non so quanti chilometri di frontiera ha lì; anche nelle Messe c’erano cinesi che sono venuti… Credo che in questi Paesi che circondano la Cina, anche il Laos, la Cambogia, hanno bisogno di buoni rapporti, sono vicini. E questo io lo trovo saggio, politicamente costruttivo se si può andare avanti. Però, è vero che la Cina oggi è una potenza mondiale: se la vediamo da questo lato, può cambiare il panorama.”
Attualmente è in corso una mostra dei Musei Vaticani in Cina. Il Papa ha affermato che le porte del cuore sono aperte e che gli piacerebbe molto fare un viaggio in Cina. .
Infine, il Santo Padre ha ringraziato per le domande concludendo: “A me il viaggio fa bene quando riesco a incontrare il popolo del Paese, il popolo di Dio. Quando riesco a parlare o a incontrarli o a salutarli: incontri con la gente. Abbiamo parlato degli incontri con i politici… Sì, è vero, si deve fare; con i preti, con i vescovi… ma con la gente, questo, il popolo. Il popolo che è proprio il profondo di un Paese. Il popolo. E quando trovo questo, quando riesco a trovarlo, allora sono felice.”
Incontro con i giovani nel Notre Dame College di Dhaka - Copyright: Servizio Fotografico L'Osservatore Romano
Papa Francesco: Quando trovo il popolo, sono felice
Riassunto della conferenza stampa durante il volo di ritorno dal Bangladesh