“Custodire la passione per il bene comune.” Questa l’esortazione rivolta da papa Francesco ai membri dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI), ricevuti sabato 30 settembre 2017 in udienza nella Sala Clementina in Vaticano.
Perché “promuove giustizia sociale, quindi lavoro, servizi, opportunità”, “crea innumerevoli iniziative con cui abitare il territorio e prendersene cura” ed “educa alla corresponsabilità”, ha sottolineato il Pontefice, che ha definito la città “un organismo vivente”.
Jorge Bergoglio ha iniziato il suo discorso osservando che sia tra le prime pagine che alla fine della Bibbia figura una città, cioè Babele nel libro della Genesi e la “nuova Gerusalemme” nel libro dell’Apocalisse.
Mentre Babele è una “città incompiuta” e “destinata a restare nella memoria dell’umanità come simbolo di confusione e smarrimento, di presunzione e divisione, di quella incapacità di capirsi che rende impossibile qualsiasi opera comune”, la nuova Gerusalemme “profuma di cielo e racconta un mondo rinnovato”, dove “si entra nella misura in cui si contribuisce a generare relazioni di fraternità e comunione”.
La città che propone il Pontefice “non ammette i sensi unici di un individualismo esasperato, che dissocia l’interesse privato da quello pubblico”, “non sopporta nemmeno i vicoli ciechi della corruzione, dove si annidano le piaghe della disgregazione” e non “conosce i muri della privatizzazione degli spazi pubblici, dove il ‘noi’ si riduce a slogan.”
Per costruirla, ha continuato Francesco, non occorre “uno slancio presuntuoso verso l’alto” — cfr. il racconto della torre di Babele nel libro della Genesi (11,1-9) –, ma “un impegno umile e quotidiano verso il basso”. “Non si tratta di alzare ulteriormente la torre, ma di allargare la piazza”, dando a ciascuno la possibilità “di realizzare sé stesso e la propria famiglia e di aprirsi alla comunione con gli altri”, così ha spiegato.
Nel suo discorso il Papa ha messo in guardia dalle città che si muovono “a doppia corsia”, cioè “da una parte l’autostrada di quanti corrono comunque iper-garantiti, dall’altra le strettoie dei poveri e dei disoccupati, delle famiglie numerose, degli immigrati e di chi non ha qualcuno su cui contare”.
Serve “una politica e un’economia nuovamente centrate sull’etica: un’etica della responsabilità, delle relazioni, della comunità e dell’ambiente”, ha proseguito il Papa, che ha espresso comprensione per il disagio di molti cittadini “di fronte all’arrivo massiccio di migranti e rifugiati”, un malessere che ha le sue radici in un timore innato verso lo “straniero” ed è aggravato “dalle ferite dovute alla crisi economica, dall’impreparazione delle comunità locali, dall’inadeguatezza di molte misure adottate in un clima di emergenza”.
“Ben vengano allora tutte quelle iniziative che promuovono la cultura dell’incontro”, ha aggiunto il Pontefice, il quale ha sottolineato alla conclusione del suo discorso che “un sindaco deve avere la virtù della prudenza per governare, ma anche la virtù del coraggio per andare avanti e la virtù della tenerezza per avvicinarsi ai più deboli.”
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