Rito Romano
XIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 9 luglio 2017
Zc 9, 9-10; Sal 144; Rm 8, 9. 11-13; Mt 11, 25-30
Rito Ambrosiano
Domenica V dopo Pentecoste
Gen 11,31.32b-12,5b; Sal 104; Eb 11,1-2.8-16b; Lc 9,57-62
1) L’importanza di essere piccoli.
Il Vangelo di oggi inizia con queste parole di Gesù: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). Cristo non è contento perché è ascoltato da ignoranti. Lui è nella gioia perché è ascoltato da persone umili. Il Verbo, la Parola fatta carne non condanna la scienza e la sapienza, ma la superbia e la presunzione dell’uomo. In effetti la parola “piccoli” traduce quella greca “nepioi” che vuol dire “infanti”, cioè quelli che non ha l’uso della parola, come è il caso –soprattutto- dei bambini con pochi mesi di vita.
Ma perché i piccoli, i senza parola sono destinatari privilegiati delle ‘cose del Padre” e sono capaci di capirle? Perché, per imparare a parlare, i senza parola, i piccoli, sono tutto tesi all’ascolto e non sostituiscono la Parola con le parole, che i grandi usano per affermare se stessi e non per lodare Dio.
Quelli che hanno una sapienza fatta di chiacchere, sono come i ricchi e i potenti di ogni tempo respingono la novità del regno perché presumono di sapere già chi è Dio, e il loro benessere sociale ed economico li fa illudere di bastare a se stessi, di non aver bisogno di cambiare vita, di non aver bisogno della grazia e del perdono..
In piena sintonia con quanto Gesù ci dice oggi è la Madonna che nel Magnificate dice: “Il mio spirito esulta in Dio, perché ha guardato agli umili (=piccoli), ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote…”.
Come diventare piccoli ed essere come dei bambini? Essendo umili. Il che non vuol dire disprezzarsi, annullarsi o scomparire, ma riconoscere quello che si è cioè: “humus” (=terra). Il riconoscere che si è “terra”, da una parte, vuol dire essere consapevoli che “si è polvere e polvere si ritornerà” – come dice la Bibbia (Gn 3,19). D’altra parte, è riconoscere questo “humus” è il materiale per ricevere l’alito di Dio, il suo Spirito che infonde la vita a noi che la infuse ad Adamo. E’ quel terreno adatto a ricevere e a far fruttificare il seme della Parola di Dio. Anche i nostri sbagli e perfino i nostri peccati – se riconosciuti: ecco l’umiltà – diventano permettono che diventiamo quel terreno fertile e accogliente per ricevere il dono di Dio, per fare l’incontro decisivo di tutta la vita, quello cioè con la misericordia di Dio. Questo incontro con la sua “misericordia”, cioè con il suo “cuore dato ai miseri”, con il suo amore preferenziale per i piccoli, i poveri, i peccatori permette alle “mani” creative di Dio di plasmare la “creta” del nostro cuore secondo il Suo cuore.
2) L’umiltà di Cristo
Il Vangelo di oggi ci insegna anche che è da Gesù che si impara l’umiltà: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”.
Un Santo che ha capito bene l’umiltà di Cristo, è San Francesco. Per il Santo di Assisi Cristo è umiltà. Questo Santo è completamente preso stupore provocato in lui dalla contemplazione del mistero cristiano come mistero di suprema umiltà: l’umiltà del Cristo nella sua nascita, nella sua passione, nell’Eucaristia.
San Francesco d’Assisi ci insegna che Gesù è umile perché vive -in quanto è creatura- nella dipendenza totale della sua volontà umana dalla Volontà divina: “Non sono venuto per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato”. Si può dunque pensare all’umiltà di Gesù in quanto come creatura Egli vive questa eclisse di sé nei confronti del Padre. Ma san Francesco va ancora più in là. L’umiltà in Francesco — ed ecco la grande novità, la meravigliosa scoperta di san Francesco — è la stessa rivelazione dell’amore.
Dio è amore e l’amore non può essere che umiltà. Cristo rivela questa umiltà di Dio incarandosi e dimorando tra gli uomini come colui che serve. L’umiltà di Cristo rivela l’amore di un Dio che si dona totalmente per l’uomo, per la sua redenzione. Il Figlio di Dio sceglie per se il silenzio, l’ultimo posto: la croce. Si fa “niente” perché l’uomo sia tutto. E ciò accada ancora ogni volta che Cristo si fa presente nella Messa sotto le specie del pane e del vino per farsi cibo e bevanda per noi.
Cristo è umile perché è l’amore che si svuota di sé per donarsi, perché l’amore è dono. Il Figlio di Dio si rivela all’uomo e si fa presente donandosi al punto tale di “perdersi” in ciascuno di noi che Lui ama umilmente e infinitamente. Se possiamo conoscere e capire l’umiltà del Cristo nella sua nascita a Betlemme, nella sua passione e morte, lo possiamo capire, conoscere e farne esperienza soprattutto nell’Eucaristia. Nell’Eucaristia è l’umiltà di un Dio che, amandoci, si annienta e si dona tutto a noi per essere la nostra vita, ora e per l’eternità.
3) Le Vergini consacrate e l’umiltà.
Il Figlio di Dio – umiltà si incarna per essere lo sposo che si dà tutto alla sposa. Il disegno divino si realizza nell’alleanza. Dio si fa uomo per donarsi a tutta l’umanità, a ciascun uomo e donna.
Un esempio eminente di risposta a Cristo umile sposo è quello dello vergini consacrate che a Lui si donano totalmente e sponsalmente, facendo proprio l’insegnamento di Santa Chiara di Assisi che in una sua lettera a Sant’Agnese di Praga scriveva: “Felice certamente colei a cui è dato godere di questo sacro sposalizio, per aderire con il profondo del cuore [a Cristo], a colui la cui bellezza ammirano incessantemente tutte le beate schiere dei cieli, il cui affetto appassiona, la cui contemplazione ristora, la cui benignità sazia, la cui soavità ricolma, il cui ricordo risplende soavemente, al cui profumo i morti torneranno in vita e la cui visione gloriosa renderà beati tutti i cittadini della celeste Gerusalemme. E poiché egli è splendore della gloria, candore della luce eterna e specchio senza macchia, guarda ogni giorno questo specchio, o regina sposa di Gesù Cristo, e in esso scruta continuamente il tuo volto, perché tu possa così adornarti tutta all’interno e all’esterno… In questo specchio rifulgono la beata povertà, la santa umiltà e l’ineffabile carità” (Lettera quarta: FF, 2901-2903).
La vergini consacrate sono chiamate a vivere l’umiltà di e con Cristo, accettando l’abbassamento, per lasciarsi portare dall’Amore. Attraverso la vita umile sono testimoni credibili di Cristo fino al dono totale di se, diventando “ostie” che imitano l’unica ostia pura, senza macchia e a Dio gradita, che è Cristo.
Su questa legame tra verginità e umiltà Sant’Agostino scrisse: “Vi abbiamo esortato con tutta l’energia a tendere verso l’ideale della verginità. Il quale, quanto più è eccellente e divinamente grande, tanto più costituisce un richiamo alla nostra sollecitudine affinché diciamo, sì, qualcosa sulla pregevolissima virtù della castità, ma ancor più ci soffermiamo su quella munitissima dell’umiltà. Difatti, se a coloro che professano la castità viene fatto di paragonarsi con gli sposati, subito si accorgeranno che, secondo la Scrittura, questi sono inferiori a loro per l’opera, per la ricompensa, per la promessa e per il premio. In tal caso si dovranno ricordare di ciò che è scritto: Quanto più sei grande, tanto più umiliati in tutto, e troverai grazia presso Dio. L’umiltà di ciascuna, infatti, deve essere rapportata alla sua grandezza e al conseguente pericolo d’insuperbirsi: poiché la superbia insidia maggiormente colui che si trova più in alto. L’invidia poi segue la superbia come figlia pedissequa: la superbia la genera molto precocemente, anzi, mai si trova senza tale prole e compagna. E così, attraverso questi due mali, la superbia e l’invidia, si rende presente il diavolo. Non per niente infatti proprio contro la superbia, madre dell’invidia, principalmente lotta tutta l’ascesi cristiana. Questa insegna l’umiltà, con la quale si consegue e si custodisce la carità, di cui sta scritto: La carità non è invidiosa. E, come se gli andassimo a chiedere il motivo per cui non è invidiosa, subito aggiunge: La carità non si gonfia. È come se dicesse: Non è invidiosa perché non è superba. Il Maestro dell’umiltà, Cristo, cominciò con l’annientare se stesso prendendo la forma di schiavo, diventando simile agli uomini e, quanto all’aspetto esterno, riscontrato effettivamente come un uomo. Umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e morte di croce” (La Santa Virginità, 31)
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Lettura Patristica
San Giovanni Crisostomo
In Matth. 38, 2 s.
“Venite a me, voi tutti che siete affaticati e aggravati, e io vi darò sollievo” (Mt 11,28). Non chiama questo o quello in particolare, ma si rivolge a tutti quanti sono tormentati dalle preoccupazioni, dalla tristezza, o si trovano in peccato. «Venite», non perché io voglia chiedervi conto delle vostre colpe, ma per perdonarle. «Venite», non perché io abbia bisogno delle vostre lodi, ma perché ho una ardente sete della vostra salvezza. «Io» – infatti, egli dice – «vi darò sollievo». Non dice semplicemente: io vi salverò, ma ciò che è molto di più: vi porrò in assoluta sicurezza, perché questo è il senso delle parole «vi darò sollievo».
“Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e così troverete conforto alle anime vostre; poiché il mio giogo è soave, e il mio peso è leggero” (Mt 11,29-30). Non vi spaventate dunque, quando sentite parlare di «giogo», perché esso è «soave»; non abbiate timore quando udite parlare di «peso», perché esso è leggero. Ma perché, allora, -voi direte, – ha parlato precedentemente della porta stretta e della via angusta? Pare così quando noi siamo pigri e spiritualmente abbattuti. Ma se tu metti in pratica e adempi le parole di Cristo, il peso sarà leggero. È in questo senso che così lo definisce. Ma come si può adempire ciò che Gesù dice? Puoi far questo se tu diventi umile, mite e modesto. Questa virtù è infatti la madre di tutta la filosofia cristiana. Per questo motivo quando egli incomincia a insegnare quelle sue divine leggi, inizia dall’umiltà (Mt 7,14). Egli conferma qui quanto disse allora, e promette che questa virtù sarà grandemente ricompensata. Essa non sarà – dice in sostanza – utile solo agli altri, in quanto voi prima di tutti ne riceverete i frutti, poiché «troverete conforto alle anime vostre». Ancor prima della vita eterna il Signore ti dà già la ricompensa e ti offre la corona del combattimento: in questo modo e col fatto che propone se stesso come esempio, rende accettabili le sue parole.
Che cosa temi? – sembra dire il Signore. Temi di apparire degno di disprezzo, se sei umile? Guarda a me: considera tutti gli esempi che ti ho dati e allora riconoscerai chiaramente quale grande bene è l’umiltà. Osserva come esorta e conduce con tutti i mezzi i discepoli all’umiltà; dapprima con il suo esempio: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore»; poi con le ricompense che essi otterranno: «troverete conforto alle anime vostre»; con la grazia che egli stesso concederà loro: «io vi darò sollievo»; rendendo dolce e leggero il suo giogo: «poiché il mio giogo è soave, e il mio peso leggero»…
Se voi, dopo aver sentito parlare di giogo e di peso, ancora tremate e avete paura, ciò non deriva dalla natura stessa delle cose, ma esclusivamente dalla vostra pigrizia; perché se aveste lo spirito pronto e fervoroso tutto vi apparirebbe facile e leggero.
Ecco perché Cristo, volendo mostrare che anche noi dobbiamo compiere da parte nostra ogni sforzo, evita da un lato di dire soltanto cose gradevoli e facili, e dall’altro di parlare solamente di rinunzie difficili e severe, ma tempera le une cose con le altre. Parla di un «giogo», ma lo definisce «soave»; nomina un «peso», ma aggiunge che è «leggero», affinché non lo si sfugga in quanto eccessivamente pesante, né lo si disprezzi perché troppo leggero.
Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.