Bicchiere d'acqua / Pixabay CC0 - Wuny, Public Domain

Iapicca: “Dammi da bere”

Commento al Vangelo della III Domenica di Quaresima, Anno A — 19 Marzo 2017

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Il Signore ci aspetta. Aspetta te, me, ogni uomo di ogni tempo. Aspetta quanti non vanno più in chiesa, come quelli che ci vanno ogni giorno. Aspetta vescovi e preti, suore e missionari. Ci aspetta dove ci rechiamo ogni giorno ad “attingere acqua”.
Per cercare i suoi figli perduti, oltrepassa ogni barriera, per giungere fin dove siamo precipitati separandoci da Lui. Non teme di parlarci, samaritani eretici che abbiamo scelto di “non avere buoni rapporti con Lui”.
Ci ama di amore infinito, Lui sa che l’unica felicità sorge da un buon rapporto con Lui, il migliore, il più completo, quello di uno Sposo con la sua sposa. Ma per sposarci e unirsi a noi occorre che ci spogli di ogni menzogna.
“Dammi da bere”: comincia lo scrutinio del nostro cuore. Per dare da bere occorre avere acqua. Per dare la vita, alla quale l’acqua è intimamente legata, occorre averne in sovrabbondanza. Ma quella donna, come ciascuno di noi, probabilmente non ci aveva mai pensato. Continuava a recarsi ogni giorno a quel “pozzo profondo” meccanicamente. 
Come accade a te, che in ogni circostanza devi sforzarti, con risultati fallimentari. Ogni giorno, che fatica… Papà, mamme, preti, suore, impiegati, studenti, tutti condannati a sudare. 
Ma proprio qui il Signore ci aspetta per salvarci: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Ah, c’è qualcosa e Qualcuno che non conosciamo!  
Ci rechiamo stancamente allo stesso pozzo perchè non conosciamo il dono di Dio e chi ci sta chiedendo di dargli da bere. Il demonio ci ha nascosto la verità, ci ha detto che Dio è geloso di noi e viene sempre a chiederci senza darci nulla di quello che desideriamo. Gli abbiamo creduto consegnandogli il “dono di Dio”, e ci ha dato in cambio lo sforzo. Gli abbiamo affidato la vita e ci ha dato la morte.
“Il pozzo è profondo” io lo so bene Signore. “Non hai un mezzo per attingere”, per caso “sei più grande del nostro padre Giacobbe?”, cioè, sei Dio? “Da dove hai dunque quest’acqua?”. Ecco, magari potessimo rivolgere anche noi a Cristo questa domanda.
È il primo passo sul cammino della conversione. Accettare di non conoscere e per questo chiedere. Sulla soglia di ogni speranza nascosta e fragile Gesù annuncia la notizia capace di cambiare la vita, il cuore e il modo di pensare.
C’è un’acqua che disseta davvero che si trasforma in “sorgente d’acqua viva”. Era questo il “dono” preparato da Dio per ogni uomo che il demonio ci ha rubato. 
Oggi il Signore è davanti a noi per restituirci quello che ci appartiene riprendendosi, con amore e misericordia, la sua sposa perduta.
Nella vita, infatti, anche noi abbiamo avuto “cinque mariti”, come le cinque divinità con cui i Samaritani avevano contaminato il culto di Israele. E’ il sincretismo che abbiamo nel cuore, una candela a Padre Pio e una causa contro il vicino di casa.
Nemmeno l’uomo con cui condividiamo oggi la nostra vita è nostro “marito”, perché non siamo fatti per il secchio d’acqua che stringiamo tra le mani. 
Ma chi, se non la Chiesa, ha il coraggio di dirci la verità sui nostri adulteri? Non certo il mondo che ha capovolto la realtà affermando come bene proprio quello che ci avvelena.
E dove potremo spogliarci senza vergogna e timore di essere giudicati, confessandoci adulteri e peccatori se non nell’abbraccio materno e misericordioso della Chiesa? Non certo tra parenti, amici e colleghi, che prima esaltano il male e poi condannano i peccatori senza pietà. 
Non a caso il Vangelo di questa Domenica fa parte dell’itinerario di preparazione dei catecumeni ai sacramenti del Battesimo, Confermazione ed Eucarestia, che avveniva nella grande Veglia della notte di Pasqua. 
Tutti abbiamo bisogno di percorrere una seria iniziazione cristiana dove incontrare Cristo, il “profeta” che conosce tutto di noi. Un cammino di fede nel quale il Signore, con la Parola, i sacramenti e la guida di pastori e catechisti, trapassi come una Tac il nostro cuore rivelandoci l’origine del nostro male per strapparlo con il perdono e deporvi il “dono di Dio”. 
Lo Spirito Santo in noi ci unisce a Cristo nello stesso amore. Allora la Legge, il dono secondo la tradizione ebraica, sarà scritta nei nostri cuori e sigillata con il fuoco dell’amore.  
Solo confessando i nostri peccati e accogliendo il dono di Dio ritroviamo la verità e l’autenticità della nostra vita. La sete e la fame non sono per essere appagate ma per appagare; la vita ci è data per essere perduta, consegnata, non per difenderla e adulterarla. 
Uniti a Cristo nostro Sposo la vita si trasforma in una fonte di acqua viva che zampilla senza esaurirsi; lo Spirito Santo, il soffio eterno dell’amore di Dio scaturisce dall’intimo di noi stessi dove dimora il cuore stesso di Cristo. Esso palpita per compiere l’opera del Padre, la sua volontà di salvezza per ogni uomo. 
Con Lui possiamo oggi levare lo sguardo e scorgere, al di là di ogni difficoltà, sofferenza, fallimento, al di là della Croce, il “grano che biondeggia per la mietitura”. Lui “ha faticato” in ogni istante della nostra vita, come in quello della storia del mondo. Lui ha consegnato la sua vita perché potessimo mietere la sua vittoria nel matrimonio, nel fidanzamento, al lavoro, in noi stessi. 
“Quattro mesi appena”, il tempo della pazienza amorevole, e la Parola del Vangelo “raccoglierà il frutto per la vita eterna”. E’ questo il senso del tempo che ci è dato, il criterio con cui entrare ogni giorno nella storia. La fede che vede la risurrezione attraverso la Croce e la tomba. 
E’ grano che biondeggia per accogliere Cristo ogni persona in cui ci imbattiamo: il collega astioso, la moglie nevrotica, il marito irascibile, i figli testardi, l’amico che tradisce, il vicino avaro. Grano che biondeggia come siamo ciascuno di noi, rigenerati dall’amore di Dio.
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Antonello Iapicca

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