Nella sua rubrica di liturgia, padre Edward McNamara LC, professore di Liturgia e Decano di Teologia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, risponde questa settimana alla domanda di un lettore statunitense.
Lei ha mai trattato la sempre più diffusa pratica liturgica di rimuovere per l’intero periodo quaresimale l’acqua santa dai bacini destinati ad essa nelle chiese? Per favore, ci può fornire dei documenti per dimostrare che questo NON rappresenta il pensiero della Chiesa. — K.B., Bloomingdale, Ohio (USA)
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In realtà sì, avevo già trattato questo argomento in due diverse occasioni, nonostante esso tenda a rispuntare periodicamente. Spiegammo sia il 23 Marzo 2004 sia ancora nel 2009 le ragioni per cui questo non andrebbe fatto, citando una risposta ufficiale della Congregazione per il Culto Divino (3/14/03: Prot. N. 569/00/L). A prova di ciò:
“Questo Dicastero è in grado di rispondere che la rimozione dell’Acqua Santa dai bacini durante il periodo quaresimale non è consentita, in particolare per due ragioni:
“1. La legislazione liturgica in vigore non prevede questa innovazione, che oltre ad essere praeter legem, è contraria all’equilibrata comprensione del periodo quaresimale, che pur essendo nel profondo una stagione di penitenza, è però anche ricca del simbolismo dell’acqua e del battesimo, costantemente evocati nei testi liturgici.
“2. Bisogna comprendere che l’incoraggiamento verso il fedele, da parte della Chiesa, ad avvalersi frequentemente dei sacramenti va applicato anche al periodo quaresimale. Il digiuno e l’astinenza che il fedele abbraccia in questa stagione non si estende all’astensione dai sacramenti o dai sacramentali della Chiesa.
“La pratica della Chiesa è stata invece quella di svuotare le acquasantiere nei giorni del Sacro Triduo, in preparazione alla benedizione dell’acqua durante la Veglia Pasquale, che corrisponde a quei giorni in cui l’Eucaristia non viene celebrata (ovvero il Venerdì e il Sabato Santo).”
Tutto ciò è abbastanza chiaro.
La tradizione di collocare acquasantiere all’ingresso della chiesa ha probabilmente origine dall’usanza dei primi cristiani di lavarsi le mani in una fontana, opportunamente collocata nell’atrio e chiamata cantharus o phiala, prima di entrare nella basilica. L’usanza non era a solo scopo pratico, come si può leggere nell’ammonizione di san Giovanni Crisostomo a coloro che “entrano in chiesa lavando le loro mani non i loro cuori” (Omelia LXXI su san Giovanni).
Una fra le più famose di queste fontane era la pigna di bronzo, risalente al primo secolo, alta quasi 4 metri, che originariamente sorgeva vicino al Pantheon e al tempio di Iside a Roma, e che venne poi spostata nel cortile dell’originaria basilica di San Pietro. Nel 1608, durante la costruzione della nuova basilica, venne nuovamente spostata verso quella che è la sua attuale posizione, nel “Cortile della Pigna,” che fa ora parte dei Musei Vaticani.
Quando, con il passare del tempo, l’atrio della maggior parte delle chiese venne ridotto a un portico o nartece, il cantharus fece posto a dei più piccoli bacini collocati proprio all’ingresso della chiesa.
Questo cambiamento condusse inoltre alla scomparsa di ogni utilizzo pratico dell’acqua, lasciando solamente il significato religioso, come simbolo di battesimo e purificazione. Nonostante la pratica fosse già esistente in alcune località, fu papa Leone IV (847-855) che impose ai sacerdoti di benedire ed aspergere i fedeli con l’acqua santa ogni Domenica prima della Messa. In alcuni luoghi ciò veniva compiuto dal sacerdote mentre la gente entrava in chiesa. L’attuale usanza di farsi la croce è evidentemente di origine più tarda.
Sono rimasti relativamente pochi esempi esistenti di acquasantiere anteriori all’XI secolo, nonostante ci siano invece alcuni reperti probabilmente risalenti addirittura a secoli ancora prima, come un bacino del IX secolo contenuto nel Domschatz (Tesoro) di Aquisgrana. Non sono state mai stabilite regole universali circa misura, forma e modello delle acquasantiere, e se ne possono trovare quindi di vari tipi.
Le norme diocesane emanate per Milano da san Carlo Borromeo (1538-1584) influenzarono però notevolmente gli usi successivi. Egli scriveva: “L’utensile concepito per l’acqua santa… dovrà essere di marmo o pietra solida, né porosa né con crepe. Verrà collocato su un pilastro adeguatamente ornato il quale non sarà fuori dalla chiesa ma all’interno e, nei limiti del possibile, alla destra di coloro che entrano. Ve ne sarà uno a fianco della porta da cui entrano gli uomini e uno per la porta delle donne. Non dovranno essere fissati al muro ma separati da esso secondo la convenienza. Li supporterà una colonna o un piedistallo, che non dovrà avere rappresentato nulla di profano.”
[Traduzione dall’inglese a cura di Maria Irene De Maeyer]
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I lettori possono inviare domande all’indirizzo liturgia.zenit@zenit.org. Si chiede gentilmente di menzionare la parola “Liturgia” nel campo dell’oggetto. Il testo dovrebbe includere le iniziali, il nome della città e stato, provincia o nazione. Padre McNamara potrà rispondere solo ad una piccola selezione delle numerosissime domande che ci pervengono.
Acquasantiera, chiesa San giovanni fuorcivitas, Pistoia - Wikimedia Commons
Origine delle acquasantiere all'ingresso delle chiese
Non è corretta la pratica di rimuovere l’acqua santa dai bacini destinati ad essa nelle chiese per l’intero periodo quaresimale