Mancano ancora tre giorni al 20 gennaio, data dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Ma è già iniziata la battaglia del neo-presidente degli Stati Uniti contro l’industria abortista Planned Parenthood.
Nel settembre scorso, nel vivo della campagna elettorale, il magnate newyorkese aveva lanciato una Pro-Life Coalition con le organizzazioni americane che si battono contro l’aborto. Di qui la promessa di approvare il Pain-Capable Unborn Child Protection Act, legge che impedisce di praticare aborti su feti che già percepiscono il dolore, finora bloccata dall’ostruzionismo dei democratici.
E infine aveva garantito che, una volta eletto presidente, avrebbe negato i finanziamenti pubblici alla Planned Parenthood. La più grande industria di aborti americana, colpita nell’estate 2015 da un grave scandalo legato al commercio di feti abortiti, percepisce ingenti somme di denaro pubblico. Dopo aver ricevuto il sostegno del presidente uscente Barack Obama e di Hillary Clinton, Planned Parenthood potrebbe ora veder tramontare il suo eldorado.
Il repubblicano Paul Ryan, presidente della Camera dei Rappresentanti, ha affermato che tale de-finanziamento è incluso in un progetto di legge in discussione al Congresso.
La strada si preannuncia tuttavia scoscesa. Secondo una relazione annuale presentata nei due rami del Parlamento Usa, Planned Parenthood riceve finanziamenti da diverse fonti governative.
Secondo l’organizzazione, il 75% dei finanziamenti deriva dalla Medicaid, un programma per pagare i servizi medici ai pazienti a basso reddito. Un’altra parte dei finanziamenti proviene dalla Title X Family Planning, programma governativo di sussidi per il controllo delle nascite delle famiglie povere.
Il nodo è proprio questo. La legge da cui derivano i due programmi impedisce che possano essere modificati. Tribunali federali hanno infatti bloccato alcuni Stati che avevano deciso di metter mano alla Medicaid per lasciare la Planned Parenthood a secco di risorse pubbliche. Chi è riuscito nell’intento è invece il Texas, dove a seguito di questa iniziativa legislativa si è registrato un aumento dell’1,9% di nascite coperte dal servizio sanitario.
I repubblicani proveranno a seguire l’esempio texano. Per farlo hanno bisogno di 51 voti al Senato, dove attualmente ne possiedono 52. Il rischio è però forte, in quanto almeno tre senatori repubblicani sarebbero tutt’altro che favorevoli ad impugnare le armi contro l’industria abortista.
Invece non ha affatto intenzione di abdicare la propria battaglia contro Planned Parenthood gran parte del popolo americano. Oltre 5mila persone hanno partecipato sabato scorso alla Walk for Life, una marcia che si tiene ogni anno in Nebraska per affermare il diritto alla vita.
Il vento che soffiava sui manifestanti sferzava loro il viso e rappresentava simbolicamente il cambio di mentalità che sta investendo gli Stati Uniti. Va interpretata così la chiusura negli ultimi due mesi di cinque cliniche di Planned Parenthood, tre in Pennsylvania e due in Massachusetts. Secondo il comunicato stampa dell’organizzazione, il motivo va ricercato nel fatto che “le esigenze dei pazienti sono cambiate”.
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Usa: inizia la battaglia di Trump contro Planned Parenthood
Il neo-presidente proverà ad onorare l’impegno di togliere i finanziamenti pubblici all’industria abortista, che intanto è costretta a chiudere cinque cliniche