“Quella dei rifugiati non è una questione che riguarda ‘gli altri’. Tutte le persone in difficoltà condividono con noi un destino comune”. È per questo che i Domenicani – che da oggi fino al 21 gennaio celebrano un Congresso internazionale, clou del Giubileo per gli 800 anni dalla fondazione – hanno voluto dare un loro contributo destinando monasteri vuoti all’accoglienza dei profughi.
“Mi sembra una cosa normale metterli a disposizione di questi nostri fratelli in difficoltà”, afferma il maestro padre Bruno Cadoré ai giornalisti che lo hanno incontrato oggi in Sala Stampa vaticana, durante un meeting point di presentazione dell’evento che sabato sarà coronato dalla Messa presieduta dal Papa a San Giovanni in Laterano. “Per esempio – racconta il frate – il monastero di Pisa doveva essere venduto, ma c’è stata un’emergenza e lo abbiamo ceduto ad un’associazione che si occupa di accoglienza, dato che i frati non avevano il tempo né le competenze”.
Proprio “competenza” è, secondo il superiore dei Frati Predicatori, la parola chiave per orientare i gesti a favore delle popolazioni in difficoltà. “Non bisogna prendere decisioni di compassione immediata che però poi non continuino nel futuro. Questi possono essere ancora più pericolosi”, sottolinea. E ciò vale soprattuto per la politica: oltre all’aiuto alle vittime, bisogna, secondo il frate, partecipare al dibattito politico offrendo un sostegno ai Paesi ospitanti in Europa. Per l’accoglienza, certo, ma anche per “elaborare politiche competenti sui rifugiati”.
“Bisogna aiutare i nostri Paesi a non produrre la necessità dei rifugiati, a non usare i rifugiati, a non crescere sulle spalle dei rifugiati”. Punto di partenza è la consapevolezza che “la compassione immediata che poi non porta frutto è pericolosa per i poveri”. Più della compassione è necessaria infatti una compartecipazione, nel senso “che la pena dei migranti deve essere una pena per noi tutti, per tutta la famiglia della Chiesa”.
Per i Domenicani lo è ancora di più dal momento che molti fratelli e sorelle di zone dell’Africa e del Medio Oriente sono colpiti da tale dramma. “Un buon numero di membri dell’Ordine in tutto il mondo viene da famiglie di migranti o rifugiati”, racconta il padre generale. “Per esempio quando ho visitato i miei frati in Centrafrica abbiamo visto famiglie di confratelli vivere sul tarmac degli aeroporti. O le nostre suore in Iraq hanno perso tutte le loro case. Da 10 anni, hanno visto distruggere i loro conventi a Mosul, a Qaraqosh, e ora stanno cercando dove vivere, cosa fare”.
Ci sono poi i Domenicani che vivono in contesti difficili come quelli del Sud del mondo: “Alcuni di loro non hanno ricevuto neppure il visto per partecipare al Congresso”, rivela rammaricato padre Bruno. Che osserva: “Oggi c’è gente che non può viaggiare o viaggia con difficoltà, mentre i soldi viaggiano velocissimi e molto facilmente. Oggi si dovrebbe rivisitare la morale del denaro”.
Questo sarà uno dei temi al centro dei lavori del Convegno, che segue il Capitolo generale svoltosi dal 14 luglio al 4 agosto scorsi. All’incontro, che si terrà nella Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum), parteciperanno oltre 600 persone provenienti da tutto il mondo: non solo frati ma tutti i membri della “famiglia” domenicana, quindi anche consacrati e laici. “Inviati a predicare il Vangelo” è il tema dell’evento che sintetizza “la nostra missione, quello che dobbiamo fare: go and preach, vai e predica”, spiega Cadorè. Quindi “come presentare la ‘buona notizia’ al giorno d’oggi a tutto il mondo, non solo a coloro che conoscono la fede”, e “come offrire alla Chiesa, e per la Chiesa al mondo, il servizio cristiano specifico della nostra vita religiosa”.
Vita religiosa che, per il superiore, va intesa come “servizio” e “segno specifico di fraternità, gioia, condivisione”. “L’obiettivo della vita religiosa è mettere il mondo in crisi”, afferma, “non vuol dire creare disordine, ma dire al mondo che quello che sembra molto ben organizzato, sistemato, forse potrebbe essere sistemano in modo diverso”.
La “crisi della vita religiosa”, afferma padre Bruno rispondendo ad un’altra domanda, “avviene quando non sappiamo più come fare questo quando pensiamo più alle nostre organizzazioni e strutture che al sistema”. Perciò “dobbiamo pensare sempre in maniera sistemica”, ricordando che “la vita religiosa è una scelta interiore ma anche collettiva, pubblica, fatta per essere in dialogo con il mondo, non per essere nascosta. È un dialogo con il mondo per mettere il mondo in crisi”.
Sul calo di vocazioni, invece, afferma: “Abbiamo avuto molti frati, in certi periodi di più, in altri un po’ di meno. Non si deve ridurre la questione alla contabilità, nella Bibbia dicono che non sono importanti i numeri…”.
Il superiore dei Domenicani parla anche di eresia, quella contro cui lottava il fondatore Domenico Guzman. Attualizzata ai giorni nostri, “l’eresia maggiore – dice il maestro – è fare dire a Dio qualcosa che lui non ha fatto o detto. È usare Dio per prendere potere sugli altri. È una tentazione di molti ed è la tentazione più pericolosa contro cui Gesù voleva combattere. Dio non si può usare. Ma ci sono molti modi per farlo: non solo il terrorismo delle armi, ma tutte quelle forze che usano Dio per giustificare un potere umano, come l’ideologia del liberalismo assoluto secondo cui non esiste un altro sistema possibile”.
Le quattro giornate del Congresso saranno scandite da laboratori al mattino, sessioni plenarie nel pomeriggio seguite dai Vespri nel tardo pomeriggio nelle Basiliche romane. Giustizia, pace, cura del creato, diritti umani, migranti, dialogo interreligioso, carcere, salute, ministero parrocchiale tra i temi affrontati durante le tre giornate. Tutte si potranno seguire in live video sul sito dell’Ordine in francese, inglese e spagnolo. Gli utenti potranno inoltre porre le loro domande ai relatori utilizzando l’hashtag #OP800.