Natasha Korsakova e Manrico Padovani con Benedetto XVI

Mito e mistero di Stradivari

Un affascinante parallelo tra due celebri strumenti musicali: il “Cannone” di Paganini e il “Messia”, il violino mai ascoltato

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Sempre atteso, mai ascoltato. È il “Messia”, il celeberrimo violino a cui è imposto il silenzio. Lo strumento che Stradivari costruì nel 1716 e che, da allora, è rimasto integro nel suo stato originale. Ora il “Messia” torna in Italia in occasione del 300° anno dalla sua creazione. Al gioiello, da cui il maestro liutaio non si separò mai, fanno compagnia, fino al 18 dicembre al Museo Stradivari di Cremona, i preziosi violini di Natasha Korsakova e Manrico Padovani: due giovani artisti di fama internazionale. ZENIT li ha intervistati.
Cosa lega i vostri strumenti, due copie esatte del “Messia” realizzate dal Vuillaume nel 1870-1873, al celebre violino di Stradivari?
I nostri due preziosi strumenti sono stati costruiti da Jean-Baptiste Vuillaume (1798-1875), il maggior liutaio francese dell’800, denominato lo “Stradivari francese”. Lo stesso Paganini possedeva un suo violino, che ha poi donato al suo allievo Camillo Sivori e che è oggi esposto a Palazzo Tursi, a Genova.
Vuillaume conosceva alla perfezione il “Messia”, essendone stato il proprietario per oltre vent’anni. E ha dato il meglio di sé cimentandosi con violini ispirati al “Messia”, del quale ha prodotto un discreto numero di copie molto ricercate.
I nostri due strumenti, benché leggermente differenti nella vernice, sono molto simili nella qualità sonora. Il loro stato di conservazione è altrettanto spettacolare e questo spiega il fatto che siano stati richiesti per questa eccezionale esposizione del “Messia” a Cremona. Suonando questi violini, ci siamo spesso domandati, con un certo rimpianto, che suono avrebbe il “Messia” originale…
Parliamo della voce del “Messia”. Perché a questo violino viene imposto il silenzio?
Il silenzio è imposto per motivi di conservazione. Il “Messia” di Stradivari è un violino che, fin dalla sua nascita, ha avuto un destino diverso da ogni altro strumento. Dopo averlo costruito, Stradivari non lo mise in vendita e lo custodì gelosamente per 21 anni. Dopo la sua morte passò nelle mani dei figli, che lo conservarono per altri quattro decenni, finché Paolo, l’ultimo figlio ancora in vita, lo cedette al conte Cozio di Salabue nel 1775.
Il conte portò lo strumento a Torino ed, essendo consapevole del fatto che era stato custodito con tanta cura, continuò sulla stessa strada evitando di farlo suonare. Da quel momento, il “Messia” è divenuto un oggetto di culto.
Questo, comunque, non significa che il violino non abbia mai emesso un suono nella sua vita. Semplicemente non venne mai concesso a solisti durante i loro giri concertistici. Diversi noti interpreti dell’epoca hanno però avuto il piacere e l’onore di provarlo. Tra questi i violinisti Joachim e Milstein, che definirono il suono “estremamente dolce e al contempo assolutamente grandioso”, descrivendo l’emozione come un’esperienza indimenticabile. Il grande liutaio Jean-Baptiste Vuillaume sosteneva di “aver sentito la voce degli angeli”.
Il divieto assoluto di far suonare il “Messia” è stato introdotto nel 1940, anno in cui venne imposto il silenzio dai proprietari Hill di Londra come clausola per la donazione all’Ashmolean Museum di Oxford, dove tutt’ora è conservato.
Cosa ha di particolare il “Messia” rispetto ad altri celebri violini, come ad esempio il “Cannone” di Paganini?
I due violini hanno avuto una storia diametralmente opposta. Il “Cannone” di Paganini era la voce dell’inarrivabile virtuoso, ed ha creato emozioni legate in modo imprescindibile all’esecutore stesso, che suonò questo strumento per quasi tutta la vita. Il “Messia” divenne famoso per il mistero creato dai racconti di chi ne conosceva l’esistenza, come il collezionista Luigi Tarisio, che ricevette il violino direttamente dal conte Cozio di Salabue nel 1827.
Tarisio compiva ogni anno un viaggio a Parigi e menzionava sempre un violino di una bellezza e perfezione impareggiabili. Questa situazione si ripeteva ogni anno, terminando sempre con la promessa di portarlo con sé nel viaggio successivo. Finché il noto violinista Alard, marito della figlia di Vuillaume, spazientito, giunse ad esclamare: “Signor Tarisio, il vostro violino è come il Messia per gli ebrei; lo si attende sempre ma non appare mai!…”.
Da quel momento il violino fu chiamato “Messia”. Sarà poi lo stesso Vuillaume ad acquistarlo, dopo la morte di Tarisio avvenuta nel 1854, portando lo strumento a Parigi, definitivamente fuori dall’Italia.
Spesso quando si parla dei violini e dei suoi artisti, scende il mistero. Si tratta davvero di uno strumento diabolico?
Il violino può risultare diabolico ma anche angelico. Dipende dal temperamento e dall’uso che il violinista decide di farne, o dal repertorio che intende suonare. In ogni caso, grazie ai musicisti e ai liutai che, nel corso della sua storia, si sono cimentati con questo oggetto magico, il mistero di così tanta profondità ed espressione rimane sbalorditivo.
Quanto la qualità di uno strumento influenza la bravura di un artista?
Senza dubbio è molto importante avere uno strumento che sia in grado di ispirare l’esecutore. Su un grande violino da concerto le possibilità di espressione si moltiplicano. Le capacità di un grande strumento sono un lusso ed un valore aggiunto. Però desideriamo sottolineare che un ottimo esecutore riuscirà ad eseguire una buona interpretazione anche su un violino mediocre, mentre un mediocre esecutore non otterrà grandi risultati nemmeno suonando il “Cannone” di Paganini.
È difficile per un giovane artista aggiudicarsi un violino di livello?
In effetti è parecchio difficile, soprattutto a causa dei prezzi già alti e sempre in crescita. Per fortuna ci sono diverse fondazioni, banche e compagnie assicurative che investono in grandi strumenti e li mettono a disposizione dei giovani musicisti di valore, anche se spesso per un periodo determinato.
Comunque, con tutto il rispetto per la liuteria storica, esistono anche liutai contemporanei di grande talento. Come Domenico Fantin, genio autodidatta di Varese (solisti come Menuhin e Ughi hanno usato i suoi strumenti in concerto), S. Trabucchi e V. Ferron di Cremona, F. Tarchi di Firenze, lo svizzero M. Eggimann a Roma, solo per citarne alcuni che conosciamo personalmente. Il loro lavoro è stupendo ed è finanziabile senza doversi indebitare pesantemente; sono in grado di produrre copie esatte di famosi strumenti del passato o creazioni personali piene di ispirazione.
Si afferma spesso che il talento dà i suoi frutti solo se accompagnato da tanto lavoro, studio e sacrificio. Questo è particolarmente vero per i violinisti?
La perseveranza, la pazienza e l’impegno sono motivati dalla passione. Riuscire ad interpretare le composizioni dei grandi autori del passato, come Bach o Mozart, far rivivere il loro genio tramite le nostre capacità, è come il coronamento di un sogno, che cancella qualunque sacrificio.
Siete spesso in giro per il mondo per i vostri concerti. Un progetto che vi piacerebbe realizzare?
Un concerto in duo con il “Messia” e il “Cannone”, magari sulla luna! Fuor di metafora, avere la possibilità di divulgare la musica cosiddetta “seria” in modo giocoso, e riuscire ad avvicinare alla musica anche le persone più giovani che non hanno un contatto diretto con questo mondo meraviglioso, tutto da scoprire.
Dove suonerete prossimamente?
Abbiamo in programma numerosi appuntamenti, che ci porteranno a suonare in Germania, Svizzera, Francia, Grecia, USA, Giappone e, naturalmente, in Italia. Inoltre stanno per essere pubblicati diversi Cd, tra cui uno dedicato ad importanti concerti per due violini ed orchestra, tra il barocco e il moderno.
 

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ZENIT Staff

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