Di fronte ad eventi tragici, come la perdita di un figlio, di una padre o di una madre, di fronte ad un orrore come le tragedie dei lager e dei gulag, di fronte ad eventi come il terremoto che ha sconvolto parte dell’Italia centrale, alcuni si chiedono dov’è Dio? Seguono le domande, ma se Dio vuole il nostro bene perché permette queste tragedie? perché il dolore e la sofferenza? E dov’è Dio quando gli uomini si disperano per le tante perdite? La teologia si è interrogata a lungo su questo tema. Di recente, nel corso di un incontro che si è svolto il 4 novembre alla Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” con il titolo “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso “– 800 anni del Perdono di Assisi nell’Anno della Misericordia” Padre Raniero Cantalamessa, Predicatore della casa Pontificia ha sostenuto che Dio soffre e piange insieme all’uomo ed ha spiegato che l’amore di Dio trionferà su ogni specie di dolore, trasformando il male in bene, e l’odio in l’amore. Per cercare di conoscere e capire di più, ZENIT ha intervistato, fra Domenico Paoletti OFMConv, del Sacro Convento di Assisi, docente di Teologia fondamentale alla Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” – Seraphicum di Roma.
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Dopo le tante persone colpite dal terremoto che ha interessato il Centro Italia, alcuni si cono chiesti perché Dio permetta che il male faccia tante vittime innocenti?
La presenza del male nel mondo, inteso nel suo ampio spettro che va dalle catastrofi naturali alle malattie, dalle sofferenze alla morte è il problema che suscita il più angosciante e tormentato “perché” e accompagna il cammino dell’uomo da sempre e ovunque. È il problema che questiona l’uomo e questiona l’esistenza di Dio. Perché i flagelli della natura? Perché tanta sofferenza nel mondo? Sono questi interrogativi l’ostacolo principale a riconoscere l’esistenza di un Dio personale e misericordioso. Da un punto di vista teoretico resta senza risposta quanto sostenuto da Epicuro: Dio o vuol togliere il male e non può; o può e non vuole; o non vuole e non può; o vuole e può. Se vuole e non può, è debole; se può e non vuole, è malvagio; se non vuole e non può, è malvagio e debole; se vuole e può, come si addice a Dio, perché esiste il male? Perché Dio non lo impedisce? Dio non potrebbe forse impedirlo anche senza pregiudicare la libertà dell’uomo? Non potrebbe preservare dal peccato e dalla sofferenza?
Domande senza risposta. Non si riesce in realtà a comprendere che tipo di relazione esiste tra il male e Dio. Va detto che di fronte a tale scenario di sofferenze c’è chi nega l’esistenza di Dio. Ma a pensarci bene il problema del male e della sofferenza è scandalo più per i credenti che per gli atei per i quali, non credendo in Dio, tutto rientrerebbe in un processo senza senso. Per chi nega l’esistenza di Dio la sofferenza e il male sarebbero definitivi, perché il male più grande rimane la morte e la fine di tutto! Tra i credenti, la stragrande maggioranza degli uomini, si possono delineare due visioni di Dio. Quella del Dio pagano, che castiga per ripristinare una supposta giustizia, e quella del Dio che si è rivelato nell’evento Gesù Cristo, che è solo Misericordia (come ci ricorda spesso papa Francesco) e che abbiamo celebrato nell’Anno Santo straordinario della Misericordia. Perché Dio permette il male che ha mietuto vite innocenti? Di per sé Dio esprime la sua misericordia innanzitutto ponendo in essere il creato, un mondo con un dinamismo suo proprio che genera vita. Dio rispetta l’autonomia del cosmo con le sue leggi e i suoi movimenti, tra cui i terremoti che la scienza indaga e riconosce come essenziali per la stessa possibilità di vita sulla terra. Dio rispetta tale dinamismo, così come rispetta la libertà dell’uomo. Va ripensata una teologia troppo “interventista” di Dio che, arbitrariamente, sconvolge le “cause seconde”, per dirla con la scolastica.
Dove sta la Misericordia di Dio quando avvengono disastri come il terremoto?
Dov’è Dio? L’unica risposta che la rivelazione cristiana ci offre è la stessa domanda gridata e piena di angoscia che Gesù stesso rivolge al Padre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” La sofferenza più grande è il sentirsi abbandonato dal Padre! Dov’è Dio? È lì dov’è la sofferenza. Il Dio che Gesù ci ha rivelato non castiga ma solidarizza col sofferente fino a prendere su di sé tutta la sofferenza per amore e così ci salva. È nella sofferenza e nella morte che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, ha vinto la morte. Questa è la Misericordia di Dio che si fa miseria con noi e per liberarci dalla miseria accoglie tutte le nostre miserie.
In tutta la vicenda di Gesù Cristo si manifesta solo e soltanto la misericordia, e tale è il volto del Padre che Gesù ci rivela con le sue parole e le sue azioni, in particolare con la sua passione, morte e risurrezione. Chi guarda Gesù, e lo riconosce come il Signore, non può restare legato a una concezione pagana di un Dio che chiede sacrifici. Il Vangelo non ci mostra un uomo che si sacrifica per Dio, ma narra e annunzia il Dio vivo e vero che si abbassa, si incarna, lava i piedi e si dona fino alla fine all’uomo per amore. La Croce di Gesù ci dice, infatti, che Dio è presente nel male, ma in quanto solidale con le vittime e a loro fianco nel dolore, fino ad addossarsi tutto il male del mondo. C’è una espressione molto evocativa di Benedetto XVI nella Deus Caritas est quando afferma “che l’amore di Dio per l’uomo è talmente grande e appassionato da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia”. Questo Dio, che è solo amore, con la sua passione, morte e risurrezione ci invita alla prossimità e ad amare “come” ci ama lui. Ecco perché c’è da restare sconcertati di fronte a un certo linguaggio sentito nella vicenda dell’ultimo terremoto tanto lontano dalla visione donataci nella rivelazione cristiana.
Va meglio compreso che i terremoti rientrano nel processo evolutivo generale del creato e di per sé non sono un male. Quello che vediamo e ammiriamo è conseguenza di tanti terremoti avvenuti nella formazione della terra. Il fatto dei terremoti, del pesce più grande che mangia il più piccolo e dell’uomo che mangia l’animale non è negativo perché tutto è finalizzato all’ordine globale dell’universo. L’uomo vertice e fine della creazione è chiamato a non soccombere alle conseguenze dei terremoti con la precauzione e la messa in sicurezza delle abitazioni, come giustamente si sta dibattendo in questi giorni ai vari livelli di responsabilità. Difatti dove si sono rispettate le norme antisismiche nella ricostruzione del dopo-terremoto del 1997, come per esempio a Norcia, la scossa del 30 ottobre scorso non ha fatto nessuna vittima e le case ricostruite secondo la normativa antisismica hanno resistito. Quello che fa scandalo è il male morale provocato dall’uomo nelle varie forme di sofferenza fino alle guerre e agli stermini. Questo male morale, secondo la rivelazione cristiana, è in relazione con la nostra chiusura a Dio e con la chiusura verso il prossimo che ne è conseguenza.
La sofferenza è il prezzo della libertà?
La sofferenza resta un problema che solo nel mistero di Cristo riceve luce e senso. C’è una relazione tra sofferenza e libertà? Occorre distinguere vari tipi di sofferenze: dell’innocente, dell’abbandonato, della vittima di tragedie, la sofferenza gridata da Giobbe che solo alla fine riconosce nel Mistero incomprensibile di Dio una ragione che va molto oltre la nostra ragione, anche se non la contraddice. C’è una sofferenza strutturale del cosmo, come accennato, legata al processo evolutivo. Ma c’è anche la sofferenza che proviene dall’abuso della libertà umana, cioè il male causato dagli uomini a se stessi e agli altri. Creando il mondo per amore, Dio rispetta la libertà dell’essere umano, che è il culmine della creazione, e come tale è l’unico essere dotato di intelligenza e viene chiamato a dare una risposta libera all’Amore. Il male non è affatto voluto da Dio che non vuole assolutamente il male, la sofferenza, la sventura. Il massimo dono che Dio ha fatto all’uomo è la libertà con la quale può dire no all’amore con cui è creato, impastato e chiamato. In questo senso la sofferenza è il prezzo della libertà non vissuta nella verità come risposta alla vocazione costitutiva dell’uomo all’amore. Gesù ci ha ridonato la libertà con il farsi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. La croce di Gesù, rivelazione massima della misericordia di Dio, è il prezzo della nostra libertà. Gesù prende su di sé tutta la sofferenza dell’umanità, e sulla croce condivide, vive e manifesta nella propria carne la misericordia del Padre per tutti gli uomini. Possiamo dire che il male dell’uomo è la sofferenza che Dio ha pagato a caro prezzo.
Nei Vangeli ci sono diversi episodi dove Gesù piange. Possiamo immaginare che anche Dio piange per le sventure che affliggono gli uomini?
Dio non solo piange per le sofferenze degli uomini, per le sventure e per la morte, ma muore per amore degli uomini, come detto. Non un Dio che chiede sacrifici, ma un Dio che si sacrifica per l’uomo. Questo è il Dio cristiano. Una certa teodicea del passato sconfinava in una visione pagana di Dio. Occorre ricentrare tutto su Gesù Cristo, la verità dell’amore che si è manifestato nell’incarnazione, nella passione, nella morte di croce e tutto alla luce della Risurrezione, verità che più forte della sofferenza, del male e della morte è l’amore. Il Dio di Gesù Cristo ha risposto al male e alla sofferenza non indicandone il valore, ma attraversandone tutta l’amarezza e la bruttura. L’evento storico di Gesù Cristo, che culmina nel mistero pasquale, capovolge i termini del problema: Dio non è più imputato che deve difendersi e giustificarsi di fronte al male immenso e alla sofferenza del mondo, ma Lui stesso in Gesù Cristo, imputato, soffre della sofferenza più disumana. Non c’è dolore, non c’è terremoto a cui Egli sia estraneo e tantomeno responsabile. La croce di Cristo è il luogo dove si concentra tutto il male del mondo e la sofferenza dell’umanità. La croce rivela il vero volto di Dio, che è solo misericordia, e il nostro volto amato da questo Dio.
Nel corso di una relazione svolta al Seraphicum, padre Raniero Cantalamessa ha detto che “Dio non sta a guardare gli uomini che soffrono, ma soffre con loro”. Cosa ne pensa?
Come più volte evidenziato nel corso della presente conversazione, la croce di Gesù Cristo ci dice che Dio con-patisce con l’uomo, si identifica con la sofferenza e la morte dell’uomo, e risorge come il Crocifisso risorto con i segni della passione. Padre Cantalamessa ha ben sottolineato che sulla Croce con Gesù c’è anche il Padre e lo Spirito Santo, come raffigurato da molte crocifissioni presenti in tante nostre antiche Chiese artistiche. Particolarmente rappresentativa è la crocifissione con la Trinità del Masaccio nella basilica di Santa Maria Novella a Firenze.
Si chiedeva Origene: “Il Padre, non ha sofferto anche lui la passione?”. E rispondeva: “Sì, il Padre ha sofferto per amore”. Senza cadere nell’eresia patripassiana, che non distingue il Padre e il Figlio, siamo autorizzati ad affermare dalla rivelazione cristiana che il Dio che è amore non può non soffrire di fronte all’uomo amato che soffre. La sofferenza di Dio non è causata da mancanza. È quanto ci narra la parabola di Lc 15: il figlio si ritrova nella sofferenza per aver dilapidato tutto, una libertà senza verità porta al vuoto di senso, la più grave sofferenza. Il Padre soffre non per mancanza, ma per pienezza di amore; e soffre più del figlio perché dall’inizio sa che la decisione del figlio di allontanarsi lo porterà a una bassezza disumana. Pur sapendo ciò il Padre rispetta la libertà del figlio, perché l’amore è tale solo se è libero. La verità dell’amore esige la libertà che è tale solo nell’amore. Il Padre non assiste indifferente alla sofferenza del figlio, ma soffre con lui e più di lui; quando ritorna gli corre incontro non con il bastone, ma lo abbraccia, lo bacia e fa festa. C’è una espressione molto forte e profonda di Paul Claudel che rende bene l’idea della sofferenza di Dio, “la lancia di Longino è andata oltre il cuore di Cristo. Ha trafitto Dio, è trapassata fino al cuore stesso della Trinità”.
Fra Domenico Paoletti: "Dio piange e condivide la sofferenza degli uomini"
Secondo il docente di Teologia fondamentale al Seraphicum di Roma: “Il Dio che castiga è un Dio pagano”