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Family - geralt, Pixabay

La “Chiesa, compagna di viaggio” nella Lectio Magistralis di don Maurizio Gronchi

Un messaggio di gioia al di là delle difficoltà della vita, un richiamo all’esercizio della propria coscienza: questa la nuova teologia del matrimonio nata dal Sinodo

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Don Maurizio Gronchi, professore ordinario di Cristologia presso la Pontificia Università Urbaniana e consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, è stato ospite il 20 novembre a Viterbo, per un incontro svoltosi presso lo storico Palazzo Santoro, nella sala conferenze dei Cavalieri dell’Ordine di Malta.
Nel corso dell’evento, organizzato a conclusione del Giubileo Straordinario della Misericordia a cura di due associazioni locali – Crescere Insieme e Gruppo Missioni Africa – con il patrocinio dell’amministrazione comunale, è stato presentato il volume, scritto dallo stesso Gronchi, Amoris Laetitia – Una lettura dell’Esortazione apostolica postsinodale sull’amore nella famiglia (2016, Edizioni San Paolo).
Partendo dal significato della Amoris Laetitia quale inno alla gioia, all’amore nella famiglia e nella vita, don Gronchi ha richiamato la Gaudium et Spes di Papa Paolo VI, uno dei documenti più importanti del Concilio Vaticano II, e la Evangelii gaudium, la prima Esortazione apostolica di Papa Francesco: “Il messaggio comune a questi documenti – ha detto – è un messaggio di gioia, al di là di tutte le difficoltà dell’esistenza. Un invito a gioire nonostante le fatiche che comporta l’amore. Nonostante i percorsi ondulatori della vita…”.
“Papa Francesco – ha proseguito Gronchi – ci insegna a guardare all’amore in modo nuovo e diverso: l’amore è l’origine e il fine dell’esistenza. Nella nostra educazione l’amore oscilla continuamente fra l’idea del premio e l’idea del castigo. Siamo abituati a pensare che l’amore ‘si merita’: infatti, quando riceviamo un dono, sentiamo subito il bisogno di ‘ricambiare’. E abbiamo la tendenza ad attribuire questi sentimenti anche a Dio. Invece l’amore di Dio è un amore gratuito, che ci precede: Dio ci ama comunque, così come siamo…”.
È appunto questo – secondo don Maurizio – il vero nucleo dell’Esortazione Amoris Laetitia. Un concetto analogo alla parabola del “figliol prodigo”: non bisogna mai guardare con l’occhio di chi giudica, di chi antepone il rispetto delle regole all’amore di Dio; qualsiasi cosa di male tu possa fare, per il Padre resti sempre un figlio.
“L’amore rende anche vulnerabili, così come vulnerabile è Dio di fronte al rifiuto dell’uomo di lasciarsi amare. L’innamoramento consiste nella gioia della sorpresa, e anche se l’abitudine può portare talora ad avvertire la famiglia come una sorta di ‘contratto’, l’origine di tutto resta sempre la sorpresa. Questo è lo sguardo di Dio, che rimane sempre nel perenne stupore dell’innamoramento per l’uomo…”.
“Anche per questo Papa Francesco guarda ai poveri – ha osservato don Gronchi -. Perché sono quelli che non possono ricambiare: proprio come siamo noi di fronte a Dio. Il Papa crede nell’uomo perché crede in Dio. Ecco perché accetta l’uomo anche nelle sue situazioni imperfette e fallimentari”.
Don Gronchi ha poi esplicitato un concetto che ha colpito l’uditorio: “la Chiesa, compagna di viaggio”. La compagnia – ha spiegato – non è solo lo sguardo della “terza età” quando, passata la passione, “ci si fa compagnia”. La compagnia è ciò che ci permette di guardare alle persone nella loro dimensione reale. Con Papa Francesco la Chiesa abbandona il mondo come “dovrebbe essere”, il “mondo di sopra” platonico, e incontra la realtà.
Quest’ultima è un’idea che ritroviamo anche nella Evangelii gaudium, dove i sacerdoti vengono invitati ad accompagnare i fedeli assumendo, di volta in volta, posizioni diverse: avanti, per indicare la strada; di fianco per dare sostegno; indietro, per lasciare all’altro la libertà di rischiare. Questa è la compagnia. Una compagnia reale sa essere dinamica. Non ha nulla a che fare con la compagnia oppressiva di chi ti rimprovera gli obiettivi mancati. E questo vale anche per la famiglia, per il rapporto tra genitori e figli…
Don Gronchi, che ha partecipato al Sinodo in qualità di esperto, ha proseguito spiegando che, durante tutto il percorso sinodale, il Papa ha sempre cercato di mantenere uniti i Vescovi, la Chiesa e il popolo di Dio con un costante atteggiamento di ascolto. Nessun altro documento della Chiesa ha dietro di sé un processo ecclesiale così articolato. Quello sinodale è stato un cammino faticoso, ma è stato un cammino fatto insieme. Nel documento finale ci sono le tracce di tutti coloro che hanno partecipato.
Nell’ultima parte dell’intervento, trasformatosi in una illuminante lectio magistralis, sono stati affrontati anche i temi della passione e dell’eros, visti alla luce della poesia che pervade le relazioni umane quando sono autentiche. “L’amore – ha affermato don Gronchi – nasce da uno slancio, da una passione, e quindi anche l’eros, che il Creatore ha messo dentro di noi, non dev’essere interpretato in modo negativo. Anche Benedetto XVI, nella sua prima Enciclica Deus Caritas est, parlava di eros e agape in relazione a Dio…”.
Don Maurizio ha quindi ha osservato che la Amoris Laetitia fa riferimento all’Inno alla Carità scritto da San Paolo: La carità è paziente, / benevola è la carità; (…) Tutto scusa, / tutto crede, / tutto spera, / tutto sopporta. “La bellezza dell’amore – ha spiegato – è anche nella capacità di condividere la vita quotidiana. C’è una grazia che si rinnova in questa bellezza. È la bellezza della Croce. I primi cristiani nascondevano la Croce in quanto simbolo di vergogna per il supplizio inflitto a Gesù. Ma poi la Croce è diventata un simbolo positivo, un simbolo bello perché tale è l’amore, anche se rifiutato e ferito”.
L’amore è una forma di “artigianato”, un’opera d’arte fatta anche di ferite, di cadute. E questo vale anche per il tema della sessualità. Occorre superare i sensi di colpa per ritrovare la sostanza della relazione. Papa Francesco – ha sottolineato Gronchi – non ha paura di lanciare uno sguardo positivo anche sui temi difficili.
“Questa Esortazione apostolica – ha concluso don Maurizio – vuole anche spingerci ad una salutare autocritica. Occorrono realismo e umiltà. La precedente teologia del matrimonio era improntata ad una idealizzazione eccessiva, dove il fine ultimo era la procreazione. E invece bisogna dare più spazio all’autonomia dei fedeli, richiamandoli all’esercizio della loro coscienza…”.

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Deborah DAgostino

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