Nel corso del convegno che si è svolto il 4 novembre alla Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” con il titolo “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso “– 800 anni del Perdono di Assisi nell’Anno della Misericordia” Padre Raniero Cantalamessa, Predicatore della casa Pontificia ha riflettuto sul tema del perché la sofferenza, ed in che modo Dio assiste e partecipa al dolore degli umani.
Riportiamo di seguito alcuni passaggi della sua relazione.
Il testo intero dell’Intervento di Padre Raniero Cantalamessa verrà pubblicato in un volume che comprenderà diversi interventi sul tema della Misericordia.
Ha detto Padre Raniero Cantalamessa: “La sofferenza umana. Su questo punto, la teologia ha registrato una novità che ancora non è entrata nella coscienza di tutti.
Nella seconda parte del secolo scorso, alcuni dei più noti teologi hanno parlato della sofferenza di Dio. Dietro il giapponese K. Kitamori [1], lo hanno fatto, partendo da punti di vista diversi, K. Barth [2], J. Moltmann [3] e H .U. von Balthasar nella sua Teodrammatica. La Commissione Teologica Internazionale ha dato un giudizio sostanzialmente positivo su queste aperture [4]. Questa visione, con le dovute precisazioni e cautele, è stata accolta da san Giovanni Paolo II che nell’enciclica sullo Spirito Santo ha scritto:
“La concezione di Dio, come essere necessariamente perfettissimo, esclude certamente da Dio ogni dolore derivante da carenze o ferite; ma nelle “profondità di Dio” c’è un amore di Padre che, dinanzi al peccato dell’uomo, secondo il linguaggio biblico, reagisce fino al punto di dire: “Sono pentito di aver fatto l’uomo!”… Il Libro sacro ci parla di un Padre, che prova compassione per l’uomo, quasi condividendo il suo dolore.
In definitiva, questo imperscrutabile e indicibile “dolore” di padre genererà soprattutto la mirabile economia dell’amore redentivo in Gesù Cristo, affinché, per mezzo del mistero della pietà, nella storia dell’uomo l’amore possa rivelarsi più forte del peccato […]. Nella umanità di Gesù Redentore si invera la “sofferenza” di Dio” (Dominum et vivificantem, n. 39).
Non si tratta di un’idea nuova, dettata da necessità apologetiche, ma è la riscoperta del vero volto del Dio della Bibbia, oscurato dall’idea del “dio dei filosofi”, motore immobile, che muove tutto senza essere mosso – e tanto meno commosso- da nulla.
Un noto rabbino ebreo era arrivato alla stessa conclusione dei teologi cristiani, solo studiando e commentando la Bibbia. Scriveva molto prima degli autori che ho citati sopra: “Iddio soffre? Il pensarci è per me un dovere del cuore […]. Iddio resta sempre ferito, Iddio sempre soffre, o nella giustizia, o nella sua pietà. [cioè sia quando punisce il peccato, sia quando passa sopra al peccato degli uomini]. Soffre a causa dell’uomo che pecca e con l’uomo che pecca”[5].
Origene, anche lui profondo conoscitore della Scrittura, scriveva già nel II secolo queste parole ardite:
“Il Padre stesso, Dio dell’universo, lui che è pieno di longanimità, di misericordia e di pietà, non soffre forse, in qualche modo? O forse tu ignori che, quando si occupa delle cose umane, egli soffre una passione umana? Egli soffre una passione d’amore”[6].
È sorprendente come, su questo punto, gli artisti abbiano precorso di secoli i teologi. Nell’arte occidentale con il titolo “la Trinità” si intende una rappresentazione in cui si vede il Padre che, con le braccia distese e il volto sofferente, regge la croce di Cristo e tra il volto del Padre e quello del Figlio c’è la colomba dello Spirito Santo.
Innumerevoli sono le rappresentazioni di questo tipo, sia nell’arte popolare che in quella di grandi autori. L’esempio più noto è la Trinità di Masaccio in Santa Maria Novella a Firenze. La Trinità intera era sulla croce.
Se c’è una precisazione o una correzione da apportare alla tesi della sofferenza di Dio è proprio quella messa in luce dagli artisti. Quando si parla di sofferenza di Dio non si deve insistere unilateralmente sulla sofferenza del Padre, ma di tutte e tre le persone divine. Anche la sofferenza in Dio è trinitaria! Lo stesso Spirito Santo, essendo l’amore di Dio in persona, è anche, di conseguenza, “il dolore di Dio in persona” [7].
Basta, come si vede, un rapido sguardo all’insieme della Bibbia per scoprirvi il volto di un Dio tutt’altro che “impassibile” (apathès), come era quello dei filosofi greci, “motore immobile”, che muove tutto senza essere, lui stesso, mosso (e commossso!) da niente. Il Dio biblico è un Dio “appassionato”, pieno di pathos.
“Dio è amore” (1 Gv 4,10) e l’amore è la cosa più vulnerabile che esista al mondo. Se è vero amore, esso deve infatti lasciare libero l’amato di accoglierlo o rifiutarlo, e il rifiuto dell’amore, specie da parte della propria sposa o dei propri figli, come si sa, è una delle sofferenze più acute dell’essere umano. Di esso si lamenta Dio in Isaia: “Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me” (Is 1, 2). “Non si vive in amore senza dolore”, scrive l’autore del libro L’Imitazione di Cristo, e questa legge si attua prima di tutto in Dio.
Quello che riconcilia il discorso sulla sofferenza di Dio con la nostra irrinunciabile fede nella sua infinita perfezione e potenza è che alla fine l’amore trionferà su ogni specie di dolore; non ci sarà più “né lacrima, né lutto, né dolore, né morte”, né in noi né in Dio. L’amore trionferà, ma a modo suo, cioè non sbaragliando il male e ricacciandolo fuori dai propri confini (non lo potrebbe fare senza distruggere la libertà umana), ma trasformando il male in bene, l’odio in l’amore.
Io ho sperimentato di persona la forza liberatoria che può avere questo annuncio della sofferenza di Dio. Un anno, nella predica in San Pietro del Venerdì Santo, parlai della sofferenza del Padre che era con Gesù quel giorno sul Calvario. Dalle reazioni che ci furono ebbi l’impressione che la gente aspettasse da sempre di sentire una parola come quella. Esso riconcilia con Dio Padre. Fa capire che egli non è lontano, lassù nel cielo, a guardare l’uomo che soffre sulla terra; è con lui. Piange con la madre che piange la perdita del figlio, e con chiunque è nel dolore.
Perché allora, ci si domanda, non interviene, se anche lui soffre con l’uomo? Perché la sofferenza? Evitiamo, noi ministri della parola, di dare l’impressione che per noi il dolore umano non ha misteri; non somigliamo agli amici di Giobbe.
In presenza di certe sofferenze, imitiamo Gesú che davanti al dolore per la perdita di una persona cara (il figlio della vedova di Nain, Lazzaro) si commuoveva e piangeva. Dopo potremo, come faceva lui, annunciare la risurrezione e la vita. Potremo dire con Giovanni “Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,4). Dio ha l’eternità per farsi “perdonare”, non lo dimentichiamo mai.
Sono ben note e spesso ripetute le parole che Dostoevskij pone in bocca a uno dei personaggi a lui più cari, l’Idiota: “Il mondo sarà salvato dalla bellezza”. Ma, a quella affermazione, egli fa seguire subito una domanda: “Quale bellezza salverà il mondo?” [8]. È chiaro, anche per lui, che non ogni bellezza salverà il mondo; c’è una bellezza che può salvare il mondo e una bellezza che può perderlo. Di qui la sua conclusione: “Al mondo esiste un solo essere assolutamente bello, il Cristo, ma l’apparizione di questo essere infinitamente bello è di certo un infinito miracolo”[9]. La bellezza di Gesú è la sua misericordia ed è essa che salverà il mondo. Non dunque l’amore della bellezza, ma la bellezza dell’amore”.
[1] Theology of the Pain of God. Richmond, 1965.
[2] Dommatica ecclesiastica, IV/1, 303 s.
[3] Der gekreuzigte Gott, München 1972, pp. 184-267.
[4] Cfr. “Teologia, cristologia, antropologia”, in “Civiltà Cattolica”, 1983, pp. 50-65.
[5] Eugenio Zolli, Prima dell‘alba. Autobiografia. Ed. San Paolo 2004, pp. 73 s.
[6] Origene, Omelie su Ezechiele, 6, 6, in GCS 1925, p. 384
[7] H. Mühlen, Das Herz Gottes. Neue Aspekte der Trinitätslehre, in “Theologie und Glaube”, 78 (1988) 141-159.
[8] F. Dostoevskij, L’Idiota, parte III, cap.5., Ed. Garzanti Milano 1983, pp. 478-479.
[9] Lettera alla nipote Sonja Ivànova, in L’Idiota, ed. cit. p. XII.
Dio soffre e piange insieme all’uomo
Parlando della sofferenza Padre Raniero Cantalamessa ha spiegato che l’amore di Dio trionferà su ogni specie di dolore, trasformando il male in bene, e l’odio in l’amore