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Il Re condannato per amore dei suoi sudditi

Commento al Vangelo di domenica 20 novembre 2016, XXXIV Domenica del Tempo Ordinario – Solennità di Cristo Re dell’Universo

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C’è un Regno nel quale il Re, per amore dei suoi sudditi, si fa condannare, ingiustamente, alla loro stessa pena. La salvezza e la felicità dei sudditi allora dipende da una sola cosa: accettare d’aver peccato e meritare la pena, e non sbraitare e inveire cercando una impossibile giustizia, quella tutta umana di vedere i chiodi della pena sfilati da mani e piedi grazie a un buon avvocato capace di nascondere le responsabilità. Impossibile e ingiusta giustizia, perché non centra il vero problema.

Che senso e che bene sarebbe vedere accordato un perdono peloso e buonista che liberi dalla pena e dalle conseguenze dei peccati senza cambiare davvero il cuore? Che giustizia è quella che chiude un occhio sulle responsabilità impedendo così l’accesso al Paradiso, alla libertà autentica e definitiva? Non si può essere giustificati se non si ha nulla da farsi perdonare! Può desiderare e assaporare e difendere la libertà solo chi riconosce d’essere stato schiavo! Il ladrone pentito lo aveva compreso bene, e tu? Desideri il Paradiso o un condono che, come una sbianchettata, ti tiri fuori di prigione per un paio d’ore, lasciando il cuore schiavo degli stessi peccati.
Il Regno assolutamente nuovo, il Paradiso che profuma di libertà, brilla tutto nel suo Re che, come i suoi sudditi, è in questo mondo ma non è di questo mondo. È il nostro Re, Colui che accetta di essere trapassato dalla stessa nostra pena. Il nostro Re prende e porta i nostri peccati, sino a fare della nostra pena la sua pena, della nostra croce la sua Croce, di sangue e di Gloria, di morte e di Vita. Lui, dirà San Paolo, si è fatto maledizione per noi perché noi potessimo divenire la sua Giustizia. Tutto è pronto, basta solo accettare di essere giustamente condannati alla stessa pena alla quale Lui è ingiustamente condannato.
Sulla Croce pendeva la scritta “Questi è il Re dei Giudei” a indicare il trono di misericordia del suo Regno, da cui è sgorgato il preziosissimo sangue che ha lavato ogni peccato. È il giudizio crocifisso che, proprio perché condanna il Signore alla “nostra stessa pena” è sempre un giudizio di perdono. Gesù è esattamente dove siamo noi, “oggi”. Ci attende nelle conseguenze dei nostri peccati. Ciò significa che anche la situazione più difficile, anche la morte che si schiude al di là del peccato, proprio perché raggiunta dalla presenza del Signore, può divenire il Paradiso!
Che cosa aspettava il ladrone dopo la morte? L’inferno, giusta conseguenza per i suoi peccati. E invece lo attende il Paradiso, perché vi entra “con Lui”. Da soli è impossibile, occorre poter alzare lo sguardo sul Re crocifisso che allarga i confini del suo Regno eterno sino al patibolo di ogni uomo. Così accadrà “oggi” per noi. Nei momenti più dolorosi alziamo lo sguardo e vedremo il Signore accanto a noi, per accompagnarci in Paradiso.
La sua Croce è la porta che ci fa entrare nella morte conseguente ad ogni peccato già da vittoriosi, da perdonati, come uomini nuovi. Il miracolo è restare con Cristo crocifissi alla storia, territorio infinito del suo Regno, senza scappare; i suoi chiodi, infatti, sono il sigillo che ci fa figli di Dio con Lui. Figli laddove tutto e tutti, sommi sacerdoti religiosi scandalizzati e soldati secolarizzati e sarcastici, hanno sempre da dubitare e da schernire. Figli nel Figlio dove il Figlio è Figlio. Crocifissi con Lui.
A noi compete solo il santo timore, un abbandono totale e fiducioso al suo cuore, che non delude, mai. Neanche nel momento peggiore. Neanche tra le grida assordanti d’un mondo che ci incita a scendere dalla Croce avvinti dal dubbio del “se davvero sei figlio….”: allora perché il tuo matrimonio si è incagliato in quella crisi e non se ne esce? Perché hai un carattere così difficile che ti umilia ovunque? Perché tua figlia si è intestardita ad uscire con quell’uomo sposato? Perché hai perso il lavoro? Perché questa malattia?
Ma proprio lì sulla Croce, come Isacco e Abramo sul Moria, siamo chiamati a consumare l’intimità celeste di chi, in completa fiducia, si guarda diritto e profondo negli occhi: “Oggi, ora sarai con me nel Paradiso, nel Regno eterno, nell’amore infinito”. Sulla Croce il nostro cuore è cambiato dalla sua misericordia. Un cuore di carne eppure celeste, crocifissi eppure risorti, morenti eppure vivi e regnanti con Cristo.
E così siamo tutti re nel Reinviati anche oggi nell’oggi di chi ci è accanto, perché divenga per tutti l’oggi del Paradiso. Accanto alla moglie e al marito in crisi, senza più desideri, apatici e depressi: crocifissi con il coniuge, scontando la stessa pena. E così con i figli, i colleghi, gli amici e i fidanzati, soprattutto con chi ci è ostile. Hanno diritto ad averci accanto a loro, perché solo in noi potranno incontrare lo sguardo misericordioso di Gesù che si fa di nuovo peccato per loro nella nostra vita.
Ecco la meravigliosa e fondamentale vocazione della Chiesa e di ciascuno dei suoi figli: essere re crocifissi in ogni spicchio di terra e frammento di storia, perché ovunque si estenda il Regno celeste e ogni uomo possa “entrare” con Cristo nel Paradiso preparato per lui.
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Antonello Iapicca

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