immigrants cross the border between Greece and Macedonia

© Save The Children

Tomasi: "I migranti lavoratori hanno contribuito a pagare le pensioni di 600mila italiani"

Di ritorno dagli Usa, l’arcivescovo spiega perché gli immigrati sono una risorsa per la società e l’economia di un Paese. Invita quindi a diffidare degli “allarmismi” e si dice preoccupato delle politiche di Trump

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Al di là degli allarmismi e delle paure fomentate da una certa politica italiana, gli immigrati sono una risorsa preziosa per la società e, soprattutto, per l’economia del nostro Paese. Ne è certo mons. Silvano Maria Tomasi, segretario delegato del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, già osservatore permanente per la Santa Sede presso l’Onu di Ginevra, che avvalora la sua affermazione con i dati offerti recentemente dal Ministero degli Interni. Uno su tutti: il fatto che i migranti lavoratori, assunti regolarmente in Italia, hanno contribuito con le loro tasse a pagare la pensione di oltre 600mila italiani. A ZENIT, a margine della presentazione della Conferenza Internazionale sul tema “I leader d’impresa, agenti di inclusione economica e sociale”l’arcivescovo indica la strada per una integrazione possibile e ‘prudente’ e auspica la realizzazione in Europa di una politica “a lungo raggio” che vada alle cause del fenomeno migratorio prevenendo i conflitti nei Paesi d’appartenenza. Un modello da esportare anche negli Stati Uniti dove attualmente si temono duri provvedimenti politici per i migranti da parte del nuovo presidente Donald Trump. Di seguito l’intervista a mons. Tomasi.
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Secondo lei, come viene percepito il fenomeno migratorio in Italia e dagli italiani?

Credo che ci limitiamo troppo agli allarmismi e alle false paure. Si trascura invece il contributo che i lavoratori migranti regolari forniscono all’economia generale dell’Italia. Gli immigranti hanno costruito migliaia di piccole imprese nel nostro Paese e alcune danno lavoro anche a diverse persone. Inoltre ci sono dati del Ministero degli Interni diffusi recentemente dal ministro Gentiloni che indicano che, nel 2015, le tasse pagate dai lavoratori migranti regolari – circa 6/7 miliardi di euro – hanno contribuito a pagare le spese dell’Italia circa il lavoro di accoglienza e ospitalità immediata degli immigranti che sbarcano sulle nostre coste. Si parla di poco più di 3 miliardi l’anno. Oltre a tutto questo hanno contribuito a pagare le pensioni di 600mila italiani. Quindi la presenza degli immigrati non è un peso per il nostro Paese ma qualcosa di positivo; una presenza che se gestita intelligentemente contribuisce all’economia nazionale e alla demografia nazionale, in modo da creare una società più vivace e ricca.

Ma, secondo lei, è realmente possibile integrare tutti? Considerando che, secondo statistiche recenti, si parla di circa 160mila sbarchi solo nel 2016…

È chiaro che l’Italia non può accogliere tutti, perciò è necessaria la solidarietà di tutta l’Europa. Poi serve una politica di lungo raggio da parte dell’Unione Europea che vada dritta alle cause che provocano l’immigrazione forzata che vediamo oggi. Bisogna cioè prevenire i conflitti: non si può avere un’interferenza di qualche Paese occidentale che provoca milioni di rifugiati e poi dice: ‘Ok, ora faccio il generoso e dò 100 milioni di euro per aiutarli’. Il vero problema è evitare di creare i rifugiati! Per questo deve essere promossa una politica illuminata da parte della UE, del mondo occidentale, in modo da prevenire i conflitti e creare possibilità di lavoro, facendo accedere al mercato internazionale anche i Paesi in via di sviluppo.

In questo contesto, quale contributo può offrire il nuovo Dicastero per il servizio dello Sviluppo umano integrale, dove peraltro la sezione dei migranti sarà gestita direttamente dal Papa?

Stiamo lavorando per mettere in piedi questo nuovo organismo. Il contributo maggiore, attualmente, viene offerto dal Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti ma lanciato in un contesto più vasto. Oggi, i problemi sono molto connessi fra loro: non si può parlare di rifugiati se non si parla di pace. Se c’è pace non si creano rifugiati. Mettendo insieme questa interconnessione dei problemi, cercheremo di essere più efficaci come Chiesa per dare una risposta pronta e intelligente al fenomeno.

Quindi come si agirà nel concreto?

Stimoleremo le Chiese locali a fare al loro meglio per accogliere gli emigrati e soprattutto creare una politica globale che vada alla radice del problema, quindi focalizzandosi sulle cause: la violenza, la povertà, le disuguaglianze sociali estreme che forzano il movimento di milioni di persone. Il primo diritto di ogni persona è quello di non emigrare.

Come Santa Sede siete preoccupati per la politica del presidente eletto degli Usa, Donald Trump, che ha promesso di espellere dal Paese 3 milioni di immigrati clandestini condannati per reati gravi?

Ero qualche giorno fa negli Stati Uniti e ho parlato con i vescovi della Conferenza Episcopale riuniti per la plenaria a Baltimora. C’è, in effetti, una preoccupazione da parte della Chiesa e delle persone di buona volontà per queste parole del presidente eletto. Soprattutto c’è paura tra le famiglie dei migranti indocumentati perché subiscano una divisione. Cioè che i genitori che sono clandestini magari vengano spediti in Messico, in Guatemala o in altri paesi, mentre i figli nati in America e quindi cittadini americani rimangano nel Paese. Il problema, di fatto, esiste. Tuttavia le ultime battute di Trump sono molto più moderate e ragionevoli, quindi si sta cercando di trovare una strada per negoziare e far capire che è nell’interesse dell’economia americana che tutti questi immigrati clandestini, molti dei quali stanno sostenendo la ripresa economica degli Usa, rimangano a lavorare e trovino un modo legale di partecipare nella società.

La Chiesa può intervenire in questo? Ci può essere un dialogo con il presidente Trump per fornire un riconoscimento legale a queste persone?

La Chiesa sta cercando e cercherà di dialogare con il presidente e con il Congresso per far capire la sua posizione e soprattutto per far capire che c’è un interesse umano ma anche economico per gli Stati Uniti di trovare una sistemazione di questi migranti che da anni vivono sul suolo americano  e sono parte della struttura del Paese. Di fatto contribuiscono con il loro lavoro, la loro presenza, i loro consumi, al bene dell’America.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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