La teoria del gender è oggetto di un dibattito sempre più di massa. Con buona pace dei ‘negazionisti’ in questo ambito, il delicatissimo tema dell’educazione all’affettività dei minori è approdato in fascia protetta in una popolarissima trasmissione come Forum su Rete 4.
Durante la puntata di giovedì scorso, il giudice di Forum ha dato ragione alla madre di un alunno di una scuola elementare di Roma, che aveva fatto ricorso contro il preside, il quale ai primi di agosto, aveva convocato le famiglie – molte delle quali in vacanza – comunicando la sua intenzione di avviare un corso contro le discriminazioni, per valorizzare l’inclusione.
Ad anno scolastico in corso, il figlio della signora poi ricorrente aveva un giorno domandato alla madre: “Mi è stato detto che posso scegliere se diventare maschio o femmina: è vero?”. Superato lo sgomento, la madre gli aveva spiegato l’assurdità di quelle affermazioni, diffidando poi il preside dal proseguimento di quelle lezioni e chiedendone l’esonero del bambino.
A sua difesa, il dirigente aveva invocato la legge 107 e il principio di parità tra i sessi. L’obiezione della madre, che pure aveva accettato il progetto del preside, condividendone le finalità non discriminative, riguardava il fatto che la parità doveva avere ad oggetto i diritti fondamentali, la dignità e l’opportunità di accesso al lavoro e ai servizi, non certo l’identità sessuale.
La contro-obiezione del preside aveva tirato in ballo gli stereotipi di genere, con il classico esempio del bambino che gioca con le bambole e della bambina che gioca a calcio, i quali non andrebbero discriminati.
Nella motivazione della sentenza, il giudice ha messo in luce sia la pericolosità degli insegnamenti sull’identità di genere, sia l’incrinazione del rapporto di fiducia tra scuola e famiglia che ne deriva.
La vicenda è stata commentata a ZENIT da Giusy D’Amico, responsabile del settore scuola del Comitato Difendiamo i Nostri Figli, e presidente dell’associazione Non si tocca la Famiglia, che per tre volte (25 giugno davanti al Ministero della Pubblica Istruzione, 4 agosto davanti al Ministero delle Pari Opportunità, e 30 settembre davanti al Quirinale) a cavallo dell’estate, ha portato centinaia di famiglia in piazza per la libertà educativa e per il “consenso informato”
“L’identità sessuale non è un dato irrilevante – sottolinea la D’Amico – e comunque non è un tema che si può affrontare con i bambini delle elementari, confondendo loro le idee e provocando dei traumi, nella fase di costruzione dell’identità. L’educazione affettiva deve spettare alla famiglia”.
Secondo l’attivista del Family Day, “un conto è giudicare o etichettare le persone, altro conto è inculcare nei bambini delle storture ideologiche”. A nome delle associazioni pro family di cui fa parte, la D’Amico contesta due aspetti dell’iniziativa del preside romano: “In primo luogo non ha spiegato in modo completo quali erano i contenuti e le finalità del corso. Inoltre si è rifiutato di esonerare gli alunni dalla frequenza del corso stesso con il quale, peraltro, intendeva anticipare le linee guida della legge 107, che ancora non sono state approvate”.
L’associazione Non si tocca la Famiglia denuncia, quindi, sia le forzature ideologiche dei programmi di scuole come quella romana in oggetto, sia la scarsa trasparenza nel comunicare ai genitori i contenuti dei programmi stessi, con le scuole che, non permettendo agli allievi neppure lo svolgimento di un’attività alternativa, li costringono sostanzialmente a cambiare istituto.
“Noi continuiamo a proclamare il primato educativo – prosegue la D’Amico – in ordine a questioni che, essendo così sensibili e intime, toccano il bagaglio valoriale della famiglia, la quale dovrebbe avere sempre l’ultima parola nelle scelte per i figli”.
L’esposizione del caso della scuola romana in una trasmissione a diffusione nazionale come Forum, secondo l’attivista, è un segno di come la questione educativa ed antropologica, specie a partire dal Family Day del 20 giugno 2015 a piazza San Giovanni, sia ormai ben presente nell’opinione pubblica, con un numero sempre maggiore di famiglie mobilitate.
“I genitori hanno il diritto alla trasparenza nei programmi educativi ma altrettanto importante è il diritto al consenso informato e all’esonero del figlio se il consenso non c’è – afferma ancora Giusy D’Amico -. Non si può costringere i bambini a stare a casa in quelle ore, loro hanno il diritto a rimanere a scuola, secondo la normativa vigente. Si tratta di tematiche troppo ‘sensibili’, non stiamo parlando di discipline curricolari come matematica, storia, geografia, inglese o informatica. Il fatto che l’educazione all’identità di genere sia inserita in orario scolastico, non la rende affatto una materia curricolare”.
La battaglia dell’associazione Non si tocca la Famiglia e del Comitato Difendiamo i Nostri Figli prosegue ora in particolare in ambito scolastico, con la rivendicazione del diritto al consenso informato, che molti istituti di fatto negano e che una regione come il Friuli Venezia Giulia ha praticamente messo al bando.
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Per approfondimenti si consiglia la lettura dell’intervista al prof. Stefano Zecchi: https://it.zenit.org/articles/zecchi-lindifferentismo-sessuale-e-nichilismo/
Gender: il giudice di “Forum” dà ragione ad una madre
Vinto il ricorso contro il preside di una scuola di Roma, che aveva proposto un corso contro le discriminazioni, senza specificare ai genitori la natura educativo-sessuale del progetto