Meno di un mese fa, non se lo aspettava nemmeno lontanamente ma è avvenuto. Padre Arturo Sosa si è letteralmente “arreso all’idea” di diventare nuovo preposito generale della Compagnia di Gesù, primo successore di Sant’Ignazio di provenienza extraeuropea.
In una lunga intervista (link), pubblicata sul sito della 36° congregazione generale dei Gesuiti, padre Sosa ha raccontato in prima persona l’impatto con il nuovo incarico, rievocando anche buona parte della sua vita, la storia della sua vocazione e delle varie tappe che lo hanno portato, all’età di 68 anni, sotto i riflettori del mondo cattolico e non solo.
Che il ‘pericolo’ fosse dietro l’angolo, il gesuita venezuelano l’aveva percepito già il primo giorno di murmurationes, ovvero quella fase della congregazione, della durata di quattro giorni, in cui i padri capitolari pregano e discutono a due a due, per valutare una rosa di candidati all’elezione a superiore generale.
Il secondo giorno, padre Sosa ha iniziato a sentirsi fare domande sul suo conto, mentre il terzo, racconta, “cominciai a preoccuparmi perché le cose erano più dirette, e il quarto ancora di più. Negli ultimi tre giorni ho parlato con 60 persone, e molti mi facevano domande sulla mia salute”.
Il futuro padre generale iniziava così ad ‘adattarsi all’idea’, pur chiedendo ai compagni “di prendere sul serio quello che dice Sant’Ignazio, cioè di andare alla votazione senza una decisione definitiva”. Una volta eletto, poi, Sosa ha intuito “in profondità” di doversi fidare del “giudizio dei fratelli”, perché, ha sottolineato, “del mio non mi fido”.
“Se mi hanno eletto, sarà pur stato per qualcosa, e cercherò di rispondere il meglio possibile”, ha commentato il nuovo superiore dei Gesuiti, per il quale è stato “considerato un valore l’esperienza del lavoro locale e internazionale”, specie i suoi ultimi anni trascorsi a Roma.
Padre Sosa ha interpretato la sua elezione come “una conferma della linea iniziata nella Compagnia al tempo di Arrupe” e di ciò che i Gesuiti dovranno “continuare in futuro”.
Nato a Caracas, il 12 novembre 1948, nel “brevissimo periodo di democrazia” vissuto dal Venezuela nella prima metà del XX secolo, Arturo Sosa è un bimbo di appena dodici giorni, quando nel suo paese avviene un colpo di stato contro il primo presidente democraticamente eletto.
Di umilissime origini, Arturo cresce in una “famiglia molto ampia” e in un focolare domestico che accoglie più generazioni. “Le nostre case non avevano pareti, non vi era distinzione tra un giardino e l’altro, vivevamo tutti insieme”, ricorda. La sua è una famiglia “molto cattolica” ma senza ostentazioni. “In un ambiente come questo, ho imparato a guardare la realtà con la prospettiva di andare al di là di quello che c’è, perché le cose non sono necessariamente come sono”, ha detto padre Sosa.
Già a partire dalla generazione dei genitori di Arturo, la famiglia Sosa inizia a godere di un certo benessere che permette ai suoi ragazzi di studiare. “Mi hanno sempre motivato moltissimo a conoscere la realtà, aprirmi al mondo, imparare le lingue”. Il padre di Arturo è economista ed avvocato e riceverà più volte incarichi governativi; è anche una delle dieci persone che, in Venezuela, “leggevano la rivista Time”.
I Gesuiti entrano nella vita di Arturo già in tenerissima età. Dai 5 ai 18 anni, studia al Collegio Sant’Ignazio, dove matura subito la sua vocazione religiosa, sia pure inizialmente senza avere la “mira” sul sacerdozio. Al tempo stesso, il giovane sviluppa uno spiccato interessa per la situazione socio-politica del Venezuela. “Pensavo – spiega – che uno potesse fare qualcosa per la situazione del paese e, per me, il posto migliore era la Compagnia”.
Durante l’adolescenza, accoglie il Concilio Vaticano II come una “grande notizia”, quasi un “romanzo” da seguire “passo a passo”. È proprio in quegli anni che arriva, come una “boccata d’aria nuova”, l’elezione di padre Pedro Arrupe a Superiore Generale della Compagnia di Gesù. Tutti segnali di speranza per una chiesa “molto fragile” come quella venezuelana, praticamente “sterminata durante l’Ottocento” e con una “società molto più laica di quella del Messico o della Colombia, religiosamente molto meno espressiva”.
Sempre in quegli anni, i Gesuiti fondano in Venezuela il Centro Gumilla, destinato alla ricerca e all’azione sociale, per il quale Sosa farà magistero a Barquisimeto, salvo poi dover trasferirsi “a malincuore” a Roma, non essendovi la possibilità di studiare teologia nel suo paese. Rientrato in Venezuela, studia Scienze Politiche.
Dal 1977 al 1996, lavora presso il Centro Gumilla e alla rivista SIC, attraverso la quale i Gesuiti propongono “una cronaca mensile della realtà sociale”, incoraggiando anche la formazione socioeconomica degli studenti, dei gruppi parrocchiali, dei gruppi popolari. A Barquisimeto promuovono cooperative di risparmio e credito nei villaggi, e cooperative agricole nelle zone rurali.
A lungo superiore provinciale (1996-2004), padre Sosa ha partecipato alle ultime quattro congregazioni della Compagnia di Gesù, la prima delle quali, a 34 anni, nella vesta di “congregato più giovane”. Con la 35° congregazione e l’elezione a superiore generale di padre Adolfo Nicolas, inizia il suo coinvolgimento nel governo centrale dei Gesuiti, pur rimanendo di base in Venezuela e recandosi a Roma essenzialmente nei tempi forti, tre volte l’anno. “Fu una tappa faticosa – ricorda – ma ho imparato molto, perché significava mantenere il contatto con la Compagnia universale, e a livello di governo, e non in chiave deliberante come sono le congregazioni”.
A Roma, padre Sosa si trasferirà in pianta stabile dopo la sua nomina – accettata per pura obbedienza – a responsabile delle case internazionali dei Gesuiti.
Papa Francesco l’ha incontrato quattro o cinque volte nei suoi tre anni e mezzo di pontificato, intrattenendo con lui, un rapporto “molto gentile e molto vivace, con la sintonia di cui questo Papa è capace e che nasce dalla simpatia”.
Secondo il nuovo superiore generale dei Gesuiti, Bergoglio sta portando nuovo entusiasmo nella Compagnia, confermandola in qualche modo nella propria missione ed incoraggiandone i membri ad “andare oltre”, come se dicesse: “Siete ancora molto indietro rispetto a quello che potete fare”.
Padre Arturo Sosa è convinto che “non vi è Compagnia se non di Gesù”, se non vi è “un’intima unione con il Signore”. Due sono i temi ritenuti fondamentali dal nuovo superiore generale: “la collaborazione e l’interculturalità”. Il Vangelo, infatti, “è una chiamata alla conversione di tutte le culture per garantirle come culture e portarle a Dio. Il vero volto di Dio è multicolore, multiculturale ed estremamente vario. Dio non è un Dio omogeneo”, ha osservato il superiore generale.
A conclusione dell’intervista, Sosa dichiara di vedere una Compagnia di Gesù “molto viva”, con una “passione” fondata sulla “certezza che accompagniamo la gente con la garanzia che Dio è con noi”.
Foto: GC36
Padre Sosa: “Il Vangelo è una chiamata alla conversione di tutte le culture”
Il nuovo superiore generale dei Gesuiti racconta la sua storia e la sua inaspettata elezione sul sito della 36° Congregazione Generale