“È solo attraverso il dialogo e il negoziato che i popoli e le Nazioni sentono di essere protagonisti attivi dei loro propri sforzi di pace. Senza un senso collettivo di proprietà e attaccamento alle iniziative che li concernono, tali iniziative saranno sempre sentite come qualcosa di imposto dall’esterno”.
E proprio per questo, tutti i processi di peacebuilding “devono andare al di là della negoziazione formale”. Questo il punto centrale dell’intervento dell’arcivescovo Bernardito Auza, nunzio apostolico, osservatore permanente della Santa Sede, al dibattito aperto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sul tema Peacebuilding in Africa, ieri, 28 luglio.
“I differenti risultati degli sforzi di peacebuilding nei Paesi africani nelle situazioni di post conflitto — ha spiegato Auza, come riferito da L’Osservatore Romano — suggeriscono che non esiste un solo modello di peacebuilding. Alcuni Paesi hanno raggiunto pace e stabilità e realizzato una crescita sostenibile, mentre altri continuano a sguazzare nel pantano della estrema povertà e con istituzioni instabili se non proprio inesistenti”.
Per avere risultati concreti occorre superare il livello delle negoziazioni formali: il dialogo “tecnico” deve “essere accompagnato da forme di ‘diplomazia informale’, dal dialogo tra clan e tribù alla collaborazione tra religioni e altri gruppi della società civile”. Inoltre, “particolarmente importante per il peacebuilding sono i contributi di donne e giovani”.
Santa Sede: forme di peacebuilding in Africa
L’arcivescovo Auza, osservatore permanente della Santa Sede, è intervenuto ad un dibattito sul tema al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite