La domanda di tutti era: “Canterà o no?”. Ma mons. Antonio Staglianó, il vescovo di Noto reso noto (il gioco di parole è voluto) dalle sue omelie canterine che su YouTube hanno guadagnato circa 200mila visualizzazioni, ha regalato molto più dei versi delle sue amate “canzonette” al pubblico di Crotone, la sua diocesi natale in Calabria, venuto ieri sera ad ascoltarlo e applaudirlo in piazza Immacolata per la presentazione del libro Credo negli esseri umani (Rubbettino editore).
Vere perle di teologia, filosofia, metafisica, accompagnate da analisi lucide e apertamente critiche di quella “realtà dell’ipermercato” che risucchia la società di oggi, che il vescovo ha intervallato coi versi di canzoni pop prese dall’ultimo Sanremo o dalle recenti hit parade – tutte rigorosamente italiane – intonate brevemente a cappella con la voce modulata di chi canta da prima di entrare in seminario.
Alla fine, applaudito e incoraggiato dalla folla, don Tonino – come tutti continuano a chiamarlo, nonostante porti lo zucchetto dal 2009 – si è concesso pure un assolo con il suo cavallo di battaglia Credo negli esseri umani di Marco Mengoni, col supporto di una bravissima band locale e dell’artista Maria Vittoria Mungari.
Nella serata, durata quasi due ore e mezzo, ha spaziato invece da Aristotele ad Arisa, da Platone a Patty Pravo, da Shakespeare, Sartre ed Hegel a Mina, Francesca Michielin, Lorenzo Fragola, fino a Nek e la sua Fatti avanti amore urlata al microfono con le strofe sostituite da un rap catechetico che parlava di carità e dono di sé.
La specialità di questo vescovo del Sud, prete dall’84, laureato alla Gregoriana, che preferisce imbracciare la chitarra più del pastorale, è proprio quella di far scivolare nell’animo della gente, dei giovani in particolare, concetti antropologicamente fondamentali come la morte, il nulla, il dolore, non attraverso una tediosa omelia bensì con le note che passano ogni giorno nelle stazioni radio.
Quindi per esortare ad un coraggioso “impegno di vita” che vada al cuore delle cose lui preferisce cantare L’essenziale di Mengoni, o per parlare dello “sballottamento tra la vita e il nulla” che annichilisce giovani e adolescenti cita Vuoto a perdere di Noemi. E per spiegare l’importanza del vivere recita a memoria L’Infinito di Giacomo Leopardi, ma alla fine canticchia Noi siamo infinito di Alessio Bernabei che forse aiuta a digerire meglio il concetto.
Qualcuno storce il naso di fronte a queste modalità poco ortodosse di annunciare il Vangelo. Ma a don Tonino poco importa; come afferma lo stesso Papa Francesco: “L’omelia è la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di un Pastore con il suo popolo”. Quindi se il linguaggio universale della musica è in grado di “stabilire una connessione” aprendo il cuore di ragazzi oggi spesso “inebetiti” dietro una tastiera – per dirla con le parole del rapper napoletano Rocco Hunt – rendendoli sensibili alla parola di Dio, ben vengano le ‘canzonette’! E ben venga questa evangelizzazione svecchiata da tanti manierismi e moralismi se capace di spronare le nuove generazioni “a porre in atto una rivoluzione che migliori la vita”.
“I giovani sono capaci di grandi cose, di grandi gesti di solidarietà. Lo vedo come si attivano con i profughi nella mia diocesi”, ha detto infatti Staglianò. Serve solo una spinta per farli viaggiare Controvento, come recita il brano di Arisa, e non farli assorbire dalla “logica dell’ipermercato”. Quella per cui sei qualcuno solo nel momento in cui hai soldi da spendere e tempo da consumare. “Il problema non è che non vai in chiesa, ma il fatto che vai all’ipermercato, perché l’ipermercato mica ti risolve la vita anzi te la svuota” ha ammonito il presule. Oggi “nella borsa di una donna (e qui un’altra citazione di Noemi) non ci sono le speranze di una mamma con 4-5 figli che si sacrifica per dare un futuro, ma milioni e milioni di scontrini… Comprare è un inutile anestetico al dolore. Puoi comprarti il mondo ma la frustrazione non ti passa”.
Allora bisogna “fuggire dall’ipermercato e tornare all’essenziale”, quello che “è invisibile agli occhi” come fa dire Antoine Saint-Exupery al Piccolo Principe. L’essenziale è anche il dolore, lo stesso che don Tonino ha provato davanti alla morte prematura di suo fratello Pino: “In quel momento ho capito che quel dolore non si poteva consolare solo col tempo. Questo dolore doveva restare nudo e crudo in me perché questo mi rende un essere umano, questo mi fa provare il dolore che provano tutti gli esseri umani che muoiono”.
“Restare umani può e si deve” è l’imperativo di mons. Staglianò. “Se l’essere umano è un animale dotato di capacità di amare l’unico modo di realizzare la sua vita è amare”, con un amore “che si realizza nel corpo” come quello di Dio che “si è mostrato corporeo agli esseri umani attraverso Gesù Cristo”.
Poi, bisogna tornare a “pensare”: “Pensare vuol dire sapere chi siamo” ha spiegato il vescovo, “è gustare la vita, sentirne il sapore. Ritornare a pensare significa riflettere criticamente sulla realtà che ci stanno costruendo che è un paese dei balocchi, non la vera vita”.
Il problema, infatti, è che “non riusciamo più a stupirci” e dimentichiamo la “bellezza grande che è dentro di noi”. È bene allora recuperare questo stupore a cominciare dalle piccole cose. “Inizia dal bere un bicchiere di vino con tuo padre a cui magari hai rubato i soldi e l’hai parcheggiato in una struttura super organizzata in Svizzera!” ha detto Staglianò. Che ha ricordato l’ultimo periodo di vita del suo papà, segnato dalla malattia: “La sofferenza di mio padre era animata dal vedere che intorno a lui circolava l’affetto e l’amore dei suoi cari. Il problema degli esseri umani è infatti la solitudine, non il dolore o la sofferenza”.
Solitudine che diventa “brigantaggio” che “schianta e distrugge le famiglie”. “Sarebbe bello che in questo momento di crisi ci fossero famiglie che nelle parrocchie adottano altre famiglie” ha esclamato il vescovo di Noto. Ognuno – ha aggiunto – può compiere miracoli, può moltiplicare pani e pesci e far camminare i paralitici ovvero i disabili del nostro tempo. Come? Anzitutto guardando in faccia la realtà e chiamandoli per nome, senza fare “maquillage linguistici tipo ‘diversamente abili’ solo per togliersi fuori dalla coscienza di dover fare qualcosa per loro”. Il disabile, invece, “ha bisogno di te che spingi la carrozzella. Noi i paralitici possiamo farli camminare. Dobbiamo andare controvento in questa opulenta società europea e creare banche del tempo nelle nostre parrocchie”.
Oscillando tra Dostoevskij e Nek, il presule ha poi riflettuto sul tema della bellezza. Non la bellezza di Narciso che porta alla morte, ma quella del Crocifisso che vogliono togliere dalle pareti delle scuole perché “brutto” agli occhi del mondo, ma che è bellissimo per il cristiano perché simbolo dell’amore infinito di Dio. E la bellezza del presepe, anch’esso “brutto” perché narra la miseria e l’emarginazione che subì il Figlio di Dio nascendo. “Il presepe assomiglia a quelle donne che vengono incinta nelle nostre coste e magari muoiono pure in mare”, ha osservato Staglianò. E ha esortato: “Lasciati colpire dalla bruttezza del presepe così avrai occhi per la bellezza che Gesù ti comunica, che ti dice: ‘Nessun altro essere umano nasca come sono nato io’.
“Portatevi questo a casa in saccoccia – ha raccomandato infine il vescovo – la fede cristiana non è credere in Dio, ma credere in ciò che Dio Padre crede degli esseri umani che ha creato a Sua immagine e somiglianza….”. Frasi che potrebbero benissimo comporre il testo di una canzone originale, magari da presentare al prossimo Sanremo. In fin dei conti dopo una suora vincitrice ad un talent sarebbe interessante vedere un vescovo sul palco dell’Ariston, no?